attualità, politica italiana

"La regola dell'insulto", di Nadia Urbinati

La moderata sindaco uscente di Milano, Letizia Moratti, ha usato un´arma immoderata nel duello mediatico con il candidato Giuliano Pisapia. Ha messo da parte argomenti politici sui temi che riguardano le elezioni comunali e ha lanciato un attacco alla persona di Pisapia, con risvolti che vanno al di là della candidatura a Palazzo Marino. L´arma è quella che si chiama demolizione dell´avversario politico.
Nel caso in questione, Moratti ha accusato Pisapia di essere stato responsabile di un furto, citando una vecchia sentenza della Corte d´assise che dichiarava il reato estinto per amnistia. Non ha però detto che Pisapia non si è accontentato dell´amnistia ma ha presentato appello perché voleva essere riconosciuto innocente, come era. La strategia della mezza verità, dell´informazione non completa, ha il compito di mettere l´avversario sotto una luce opaca. Inoltre, poiché è basata sull´effetto-immediatezza del percepito, è una strategia che punta sull´efficacia della prima notizia: la precisazione verrà comunque dopo e non sarà altrettanto efficace negli effetti emotivi. Non avrà probabilmente la stessa attenzione d´ascolto e può non essere ascoltata o essere rubricata sotto la categoria umiliante dell´auto-giustificazione.
Una mezza verità è terribilmente dannosa, peggio di una maldicenza, proprio perché non può essere accusata di falsità, ma deve essere completata con l´altro pezzo di verità mancante; e spesso questa aggiunta di informazione ha un posto secondario. Negli obiettivi di chi pratica il killeraggio del carattere, l´esito delle mezze verità deve essere quello di far sì che nell´opinione della gente resti in primo luogo l´associazione immediata del nome di Pisapia con un processo penale per furto e un amnistia (non l´innocenza). Agli artefici della campagna elettorale importa questo. Importa che la notizia di quel fatto incompleto proprio per come è stata confezionata riesca a generare il dubbio nella mente degli elettori, inducendoli a pensare che se fumo c´è significa che c´è stato incendio. La notizia crea la cosa. Il dubbio crea la diffidenza. La diceria fa concludere che anche quel candidato non è, in fine dei conti, meglio del suo avversario.
Il killeraggio dell´avversario è un capitolo della propaganda. La propaganda come strategia di persuasione (la prima forma fu istituita ufficialmente dalla Chiesa nel 1622 con la Sacra Congregatio de Propaganda Fide, appunto per “propagare” nel mondo la fede cattolica) è un sistema di organizzazione della persuasione che si propone di neutralizzare la ragione per far presa sulle emozioni e sull´immaginazione. La propaganda non è un´azione isolata o eccentrica. Richiede un centro motore, un cervello organizzativo che si avvalga di varie competenze allo scopo di: escogitare tattiche, raccogliere le informazioni che servono a metterle in pratica, diffondere dicerie e “voci” su obiettivi nemici, infine e se possibile fare affidamento sul monopolio dell´attenzione mediatica. Lo scopo è di spostare l´attenzione dell´opinione da un obiettivo a un altro; di cambiare completamente il tema del discorso e dell´attenzione se necessario.
Da questo momento fino alle elezioni di domenica prossima, questo fatto giudiziario e le illazioni che ha generato avranno un´assoluta esposizione, mettendo tutto il resto in secondo piano. Come nel caso celebre che ha coinvolto e che ancora coinvolge il presidente Obama: le cose che fa diventano irrilevanti quando un sistema ben orchestrato insiste nel dirlo non americano. In questo caso si tratta di una falsità, non di una mezza verità, ma l´effetto è non meno devastante per la credibilità di chi ne è vittima. Il presidente ha mostrato a tutti il suo certificato di nascita ma non è stato sufficiente. Visto che i certificati di nascita, dicono i fedeli del Tea Party, sono prodotti da uffici governativi, non sono un documento veritiero. Non è del resto la menzogna il mezzo usato dalla propaganda, ma il far credere che ciò che si dice “potrebbe essere vero”. Ecco quindi l´obiettivo del killeraggio del carattere: generare un senso indefinito di diffidenza che erode la fiducia e fa pensare che, in fondo, anche le certezze certificate siano un artefatto e come tale una potenziale non-verità. Non c´è scampo per chi è stato fatto oggetto di attacco diretto. Anche perché l´attacco è perpetrato perché si presume che ci sia molta gente pronta a credere, e a ignorare le “prove”.
La demolizione dell´avversario presuppone un´opinione politica polarizzata; presuppone due paesi, l´uno disposto a dubitare sistematicamente dell´altro, e quindi pronto a credere ciò che dell´altro si dice, anche qualora a diffondere le notizie sia un centro di propaganda. Le democrazie mediatiche, personalistiche e spettacolari nel carattere, sono particolarmente esposte alla proliferazione di questi mezzi indecenti. Le trasmissioni televisive dette di “approfondimento” sono un teatro collaudato. Ministri e politici che vi partecipano sono velocissimi nel trasformare una discussione sulle “cose” in un attacco diretto a un interlocutore che non dice le “cose” che piacciono. La demolizione del carattere consiste nel gettare discredito sulla persona proprio quando le proprie ragioni non sono efficaci. Lo scopo è far sì che chi ascolta smetta di prestare attenzione a quel che l´interlocutore dice e si concentri su quel che si dice di lui. Non c´è moderazione nell´uso di questa strategia proprio come non c´è nella propaganda di guerra, quando l´avversario diventa un nemico totale da demolire.

La Repubblica 12.0511

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“Se questa è una moderata”, DI NATALIA ASPESI

Una signora così elegante, non solo nelle borse ma anche nei modi, chi l´avrebbe mai detto? Magari noiosa ma sempre impeccabile, e infatti era del tutto impensabile che la sua nota, signorile compostezza si rifugiasse nella sola sua marmorea cotonatura, e che lei si allineasse ai metodi più che fangosi della sua parte politica. È accaduto ieri nel faccia a faccia su Sky 24 tra lei, Letizia Moratti, sindaco uscente di Milano, ricandidata dal Pdl, e Giuliano Pisapia, che ha l´immane compito di riportare il Comune di Milano al centrosinistra.
La signora è precipitata in una di quelle figuracce che da buona dama milanese educata nel famoso Collegio delle Fanciulle, era sempre riuscita ad evitare. E lo ha fatto con metodo, studiato dai suoi rustici ispiratori, adusi alle massime porcherie, aspettando la chiusura per lanciare la sua immondizia sull´avversario, sapendo che lui non aveva diritto di replica.
Lo ha accusato all´improvviso di essere stato un ladro, più o meno quarant´anni fa, o meglio «di essere stato giudicato responsabile del furto di un veicolo usato per il sequestro e il pestaggio di un giovane. Poi è stato amnistiato». La povera signora sudava e balbettava sventolando un documento, vistosamente affranta perché, pur essendo adusa alle bugie e alle fantasie, non innocue ma neppure fatali, forse non immaginava che sarebbe stata costretta ad arrivare a tanto: a unirsi alla folla della bassa politica berlusconiana, ad usare quei dossier finti e menzogneri di cui devono essere pieni i cassetti del premier e del suo personale di servizio, a diventare lei, una Moratti nata Brichetto Arnaboldi, ricca di famiglia e di petrolio, benefattrice di San Patrignano, ex ministro sia pure mediocre dell´Istruzione, dell´Università e della Ricerca, ed ex presidente non luminoso della Rai, un Sallusti, un Feltri, un Belpietro, addirittura uno Scilipoti, una Santanché, uno dei tanti innominabili che hanno tolto ogni dignità alla politica.
Sia il moderatore, Emilio Carelli, che lo stesso Pisapia, che sino a quel momento, elegante come non capita spesso di vederlo, aveva picchiato dura sulla inquieta sindaca, sono rimasti di sale. È stato uno dei soliti momenti cui ormai siamo abituati, in cui i brandelli che restano di una democrazia si sfilacciano del tutto. Carelli non ha avuto la prontezza, dopo la carognata bugiarda, di permettere la replica all´avversario poi, chiusa la trasmissione con quel funesto, vergognoso finale, ha ricordato che da quell´inesistente reato Pisapia era stato assolto con formula piena «per non aver commesso il fatto». Naturalmente gli informatori lo sapevano e non ne hanno tenuto conto, come fanno sempre: si poteva pensare che la Moratti non lo sapesse, ma in questo caso prima di distruggere per sempre la sua già pericolante immagine, avrebbe dovuto informarsi. O forse lo sapeva, ma non è stata in grado di opporre la sua dignità alla violenza distruttiva di chi la comanda, o peggio ancora, terrorizzata dal pensiero che le elezioni si possono anche perdere, e in questo caso non succede niente di grave, soprattutto se una è milionaria e ultrasessantenne, ha scelto di assoggettarsi a un gesto vergognoso, che le toglie per sempre il titolo di «moderata» di cui anche ieri la signora si vantava. E ha continuato a vantarsene, in conferenza stampa, sostenendo di aver usato quella notizia (e pazienza se falsa) proprio per marcare la differenza «tra la mia storia e la sua», una storia, quella morattiana, vistosamente moderata, mentre quella di Pisapia, almeno allora, sul piano politico non lo era. Nella sua giacchina bianca, moderatissima, la sindaca ormai straparlava, non riuscendo nessuno ad afferrare il suo corrucciato ragionamento. In ogni caso, ormai si è capito che «moderato», è definitivamente diventata una brutta parola, visto che si definiscono tali persone che la signora Moratti in altri tempi non avrebbe mai invitato nel suo appartamento milanese su tre piani, e neppure nella casa Batman del figlio, e che ora sono i suoi compagni di viaggio, specialisti nel far uso di estremismo verbale, killeraggio mediatico, attacco alle istituzioni, abitanti di un nuovo mondo dove ogni vergogna è possibile.
L´incontro tra i due contendenti seduti in poltrone fin troppo lontane, come a prevenire un´eventuale scazzottata, poteva essere molto importante per i milanesi sotterrati dai manifesti della ridente fata Letizia che promette da ogni angolo nero di inquinamento della città ben 61mila posti di lavoro nuovi ogni anno e abbraccia coppie di vecchietti adoranti cui promette case gratis, e che di Pisapia conoscono soprattutto l´aspetto e i discorsi ultramoderati, mentre scarpina infaticabile in ogni angolo cittadino per raccontare la sua Milano. Il sindaco magnificava corrucciata il già fatto, preferendo comunque i verbi al futuro, faremo, costruiremo, daremo…, del tutto impermeabile al buon senso pisapiano che le rinfacciava lo stato malinconico della città, le infiltrazioni mafiose, l´Expo ancora per aria. Era la prima volta che i milanesi sentivano parlare di Milano, il che pareva addirittura stravagante, pur trattandosi, per il 15 e il 16 maggio, di elezioni amministrative, cioè dell´elezione del sindaco. Della Moratti. Di Pisapia, non di Berlusconi. Ma poiché gli italiani non possono mai occuparsi di se stessi, dei loro problemi, della loro vita, e nel caso dei milanesi, della disoccupazione, della mancanza di case, delle strade dissestate, della sicurezza in periferia, della solitudine che attanaglia tutti, ma solo del premier, soprattutto questa volta non sono chiamati a decidere se questo sindaco ha amministrato bene, o come capita ovunque esista la democrazia, si può provare a cambiare. Noi disgraziati cittadini siamo chiamati a votare soprattutto pro o contro la magistratura, pro o contro il premier. Ci derubano della nostra città, della nostra quotidianità, di noi stessi. Non contiamo nulla. Forse la pessima figura che ha fatto la Moratti potrà aiutare i milanesi a capire, e come dice Pisapia, a voltare pagina. A non accettare più, oltre alla pessima amministrazione, anche certi metodi politici infamanti e indegni. A sognare di nuovo che Milano torni ad essere la capitale morale del Paese.

La Repubblica 12.05.11