ambiente

"Un patrimonio da non svendere", di Giulia Maria Mozzoni Crespi e Fulco Pratesi*

Caro direttore, ci dobbiamo affidare a un saggio presidente della Repubblica, a una vigile Unione Europea e all’impegno dei tanti ambientalisti per evitare che uno degli ambiti più preziosi del Paese diventi oggetto di mercanteggiamento, a vantaggio di pochi e a danno di molti: soprattutto a danno dell’Italia che si configura proprio per le sue coste. È cosa buona che si torni indietro, raccogliendo gli appelli di chi si era opposto fin dall’inizio all’assegnazione di spiagge, coste e aree demaniali, che sarebbero state conferite con diritto di superficie per 90 anni. Ma ci permettiamo di dire che temiamo non basti: il problema, infatti, non è soltanto il tempo per cui vengono cedute le aree, ma lo strumento con cui questo avviene. Il «diritto di superficie» (regolamentato dal codice civile) viene rilasciato per fare o mantenere una costruzione o un’opera, appartenente a un soggetto diverso dalla proprietà del suolo. Mentre invece con la concessione ogni opera rimane in capo al Demanio: la differenza è sostanziale. Già ora, dato che ombrelloni, lettini, cabine e chioschi-bar sembrano pochi, molti stabilimenti hanno realizzato palestre, ristoranti, negozi, discoteche. Con il diritto di superficie si tenta di attribuire la proprietà di tutto ciò ai privati, con conseguenze che andranno oltre i 20 anni di cui si parla. Già oggi con la concessione viene stravolto il vincolo paesaggistico, autorizzando, a 300 metri dalla battigia, la costruzione di piscine, campi sportivi, alberghi e ristoranti, cancellando in questa maniera il senso della gloriosa legge Galasso, che era parzialmente riuscita a preservare parte delle nostre coste, eliminando altresì il controllo delle Soprintendenze che sono l’unico serio guardiano del nostro territorio. A questo punto viene anche da domandarsi se quei tratti di mare incontaminati e quelle spiagge rimaste miracolosamente intatte e pubbliche saranno in futuro al riparo da un probabile tentativo di venire pure loro affidati alla speculazione privata. Vorremmo ricordare che il National Trust inglese possiede 900 miglia di coste integre che sono frequentate da un turismo crescente, così come le proprietà del Fai e le oasi del Wwf sono sempre più ampiamente visitate. Difatti un turismo moderno e soprattutto giovanile ricerca sempre maggiormente luoghi preservati dove regna la biodiversità e quell’Armonia dell’Ecosistema che genera Forze Salutari ma anche Spirituali. Un patrimonio collettivo non può essere svenduto. Novant’anni sarebbero stati un tempo abnorme, fuori da ogni logica e misura, che rendevano pressoché proprietario il gestore. Proprietario di un tesoro e una risorsa, anche economica, di tutti, che noi italiani abbiamo mantenuto sino ad oggi e che dobbiamo trasmettere a figli e nipoti. Perché la nostra arte, le nostre coste e i nostri mari sono irripetibili risorse non esportabili che, se custoditi e mantenuti rimarranno, qualunque fatto avvenga, un’ineguagliabile meta per le future generazioni e anche per un turismo futuro che, se ben programmato e ben gestito, potrà contribuire enormemente a ridurre il tasso di disoccupazione.

*Giulia Maria Mozzoni Crespi presidente onorario del Fai
*Fulco Pratesi presidente onorario del Wwf

Il Corriere della Sera 13.05.11

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Fai e Wwf: resta l’allarme cemento sulle spiagge italiane

È un bene che si torni indietro riducendo a 20 anni il diritto di superficie per le concessioni delle spiagge italiane, «ma temiamo non basti, occorre tornare al ‘diritto di concessione’ che è ora in vigore». Il Fai-Fondo Ambiente Italiano e WWF Italia tornano sul decreto sulle concessioni delle spiagge, alla vigilia della pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, confermando l’ipotesi che il Governo, recependo anche le osservazioni dell’Unione Europea e del Quirinale, decida di abbassare il termine di diritto di superficie, inizialmente fissato a 90 anni, portandolo a 20.

In ogni caso, denunciano le associazioni, «è un inghippo la trasformazione del diritto di concessione in diritto di superficie che mette a rischio cementificazione le spiagge. Si vuole infatti separare la proprietà del terreno da quello che viene edificato e questo significa garantire ai privati la proprietà degli immobili, già realizzati o futuri sul demanio marittimo. Tutto questo non era fino ad oggi possibile perchè tramite la concessione gli immobili, anche se realizzati da privati, rimanevano in uso per il tempo della concessione ma erano del demanio. In concreto – spiegano Fai e Wwf – questo significa che con l’introduzione del »diritto di superficie» se lo Stato vorrà le spiagge libere da infrastrutture una volta scaduto il termine dei vent’anni, dovrà pagare ai privati il valore degli immobili realizzati perche questi saranno a tutti gli effetti di loro proprietà e quindi potranno essere venduti o ereditati. Si riduce il potere che lo Stato può esercitare sulle coste perche con la concessione lo Stato aveva la possibilità di revoca in caso di violazione dei termini del contratto, visto che la concessione stabiliva anche le dimensioni delle strutture che potevano essere edificate. In via teorica, anche se poco applicata, lo Stato può ora revocare le concessioni in caso di violazioni cosa non più possibile con il diritto di superficie».

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