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"Il bluff di Berlusconi sulle leggi per le grandi città", di Marco Causi

Berlusconi ormai non stupisce più, è un disco rotto che recita sempre gli stessi versi, incurante della caduta di credibilità che gli deriva dalla mancata realizzazione delle promesse elettorali. È così con le leggi speciali, promesse a varie città nei diversi turni elettorali, mai arrivate in porto, oggi brandite per illudere i cittadini di Napoli.
Si comincia con Roma, campagne elettorali del 2001 e del 2006, quando Berlusconi promise il rifinanziamento della legge speciale per Roma Capitale a condizione, naturalmente, che gli elettori della Capitale avessero scelto il candidato sindaco del centrodestra.
Ma si sa: il buongusto istituzionale non è proprio ciò in cui Berlusconi eccelle. Paradossalmente, la legge per Roma Capitale verrà definanziata dal 2010 dall’attuale governo a un sindaco “amico” come Alemanno. Tanto amico da farsi prendere in giro, accettando l’azzeramento della vecchia legge in cambio di un decreto su Roma Capitale nell’ambito del federalismo fiscale, decreto di cui non c’è alcuna traccia.
Si continua con Firenze, con promessa di legge speciale durante le elezioni del 2009, puntualmente smentita dai fatti. Il sindaco Renzi continua a pretendere che la promessa venga mantenuta, ma ha poche speranze.
Il teatrino più elaborato viene messo in scena a Venezia, durante le elezioni del 2010. Il copione si ripete: se votate Brunetta, insinua il centrodestra, verrà rinnovata la legge speciale per la città della laguna. I veneziani il teatro lo conoscono bene e non abboccano. Si ritrovano così, dopo aver eletto un sindaco di centrosinistra, con il ministro Brunetta delegato a svolgere le “funzioni di impulso, promozione e coordinamento delle iniziative legislative dirette a modificare la normativa vigente in materia di salvaguardia di Venezia e della sua laguna” (Dpcm del 14 maggio 2010).
Insomma: un candidato sindaco sconfitto diventa ministro delegato alle normative speciali per la sua città. Con buona pace del federalismo. Orsoni fa buon viso a cattivo gioco e collabora con il ministro delegato per predisporre un testo di legge. Ha fatto bene Orsoni, non solo per responsabilità istituzionale, ma anche perché per l’ennesima volta il gioco ipocrita di Berlusconi è stato scoperchiato. La bozza di legge per Venezia viene portata da Brunetta nel Consiglio dei ministri del 22 dicembre del 2010 e lì resta insabbiata. Ad oggi, non se ne ha notizia.
Promettere leggi speciali durante le campagne elettorali delle grandi città d’arte italiane è, insomma, uno degli sport preferiti da Berlusconi (comunque, meno dannoso di altri suoi svaghi prediletti…).
Che queste promesse non vengano mantenute è altrettanto automatico. Nel caso di Roma dopo il 2008, attenzione, anche con un sindaco di centrodestra.
Ci pensino bene allora gli elettori e le elettrici di Napoli, a cui in questi giorni vengono fatte promesse del tutto analoghe a quelle propinate ai cittadini di Roma, di Firenze e di Venezia. Anche i napoletani d’altronde, come i veneziani, conoscono bene i segreti dell’arte teatrale.
Piuttosto, Berlusconi e il suo candidato a sindaco di Napoli dovrebbero rispondere a una semplice domanda: perché questi interventi non vengono regolati con semplici decreti di attuazione della legge 42 del 2009 sul federalismo fiscale? Da alcuni mesi il governo sforna decreti attuativi del federalismo fiscale a rotta di collo, per la preoccupazione della Lega Nord che una crisi politica o la fine della legislatura possano interrompere la realizzazione di uno dei progetti che le sta più a cuore. Questa legislazione affrettata e compulsiva sta generando numerosi pasticci, soprattutto sul fronte della finanza comunale.
In ogni caso, proprio la legge 42 prevede che possano essere emanati decreti legislativi per “specifiche realtà territoriali, con particolare riguardo alla realtà socio- economica, al deficit infrastrutturale, ai diritti della persona… all’esigenza di tutela del patrimonio storico e artistico, ai fini della promozione dello sviluppo economico e sociale” (lettera c, comma 1, articolo 16).
La nuova grammatica istituzionale del federalismo non contempla più leggi speciali, ma “interventi speciali” nell’ambito di quanto previsto dal quinto comma dell’articolo 119 della Costituzione.
Se davvero Berlusconi avesse voluto fare un “intervento speciale” per Napoli, sarebbe bastato impegnare Calderoli a portare in parlamento un apposito decreto legislativo. Non solo ciò non è avvenuto, ma non è neppure previsto dalla programmazione dei futuri decreti annunciati dal governo.
Dopo Roma, Firenze e Venezia, insomma, anche a Napoli le bugie di Berlusconi hanno le gambe cortissime.

da Europa Quotidiano 14.05.11

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“Perdono anche se pareggiano”, di Stefano Menichini

Quando ieri mattina ho visto la prima pagina di Libero – la riproduzione del manifesto di Lassini, la scritta modificata in «Via le Br dalle liste», un editoriale di Feltri che ciancia di estremisti di sinistra nostalgici da tenere lontani dalla politica e dalle elezioni, senza citarne uno solo neanche di sfuggita, senza spiegare che cosa c’entrino le Br, che cosa c’entri Pisapia, di quali liste si parli – mi è venuta voglia di scrivere un commento insultante.
In fondo, l’ho fatto una sola altra volta, sbagliando, e l’ho pagata con un indennizzo deciso da un giudice (non rosso, evidentemente) a risarcimento della onorabilità di Vittorio Feltri: cinquemila euro. Diciamolo: non un grande valore per l’onore di una persona. E poi, eventualmente, un costo più che sostenibile per ribadirgli ciò che penso di un certo modo di fare giornalismo.
Poi mi sono calmato. Metterla sul personale è sempre orribile, inoltre mi è sembrato più interessante capire quanta paura di perdere ci sia dietro una prima pagina così carogna, e quanto sia grande la minaccia che questa gente proietta sui quindici giorni di campagna elettorale che potremmo ancora avere davanti a Milano.
Sulla paura di perdere c’è perfino poco da dire, talmente è evidente. Berlusconi ha sempre fatto finali incandescenti di campagne elettorali, ma non s’è mai visto un simile sforzo nelle due ultime settimane di “semplici” elezioni comunali, a sostegno di candidati in città anche medie e piccole. Una drammatizzazione tutta personale, che ha tagliato fuori l’intero Pdl, ha aggravato i problemi con la Lega e alla fine ha visto accanto al presidente del consiglio soltanto – appunto – i suoi due giornali strettamente di riferimento.
I sondaggi, per quel che se ne sa, questa volta non premiano il forcing berlusconiano. Naturalmente Moratti e Lettieri sono in grado di vincere al primo turno, come in qualsiasi altro momento sarebbe ovvio e scontato vista la storia di Milano e vista la catastrofe del centrosinistra a Napoli. L’obiettivo però rimane a rischio, e soprattutto non risulta che l’ingombrante presenza del premier abbia aiutato i due candidati.
A livello nazionale, poi, Berlusconi e il Pdl sono in rosso fisso: da mesi le percentuali non smettono di scendere, lentamente ma implacabilmente. Ecco allora la spiegazione di tante cose. Della furia devastatrice della Santanchè, del crollo di stile della Moratti, dell’imbarbarimento di Libero e Giornale.
Un’ansia che non riguarda palazzo Marino. Il pensiero è al 2012, alle Politiche a quel punto inevitabili, alla marcia di avvicinamento che potrebbe essere un calvario peggiore di quello che hanno alle spalle.
Alla vigilia delle Regionali del 2010, come si ricorderà, si sapeva che nel Pdl la corrente finiana sperasse in una sconfitta per aprire la resa dei conti. Berlusconi invece vinse. Ma la rottura ormai era talmente profonda e consumata, che Fini se ne andò lo stesso.
Ora la vicenda di Fli pare ridimensionata. Il Pdl però non s’è mai più ripreso da quel trauma: i rapporti interni sono se possibile peggiorati, la forza centrifuga è potentissima, i consensi emigrano altrove.
Questo è il problema “politico” della comunali 2011, per come le ha impostate Berlusconi: che vincerle a Milano e a Napoli per lui non è scontato. E che, se pure la vittoria alla fine arrivasse, anche stavolta potrebbe non servire a evitare una seconda (anzi, una terza, ricordando Casini) rottura.
Sarebbe sbagliato e illusorio dire che la Lega stia per mollare il premier. Ma l’autonomizzazione è ormai totale, dichiarata, si traduce in un’opa ostile sull’elettorato pidiellino al Nord e suona campane a martello per i berlusconiani di quelle terre.
Per milanesi e napoletani l’unica cosa importante è naturalmente, alla fine, sapere da chi saranno governati, e per questo forse i ballottaggi saranno decisivi.
Ancor più dei ballottaggi, però, sarà il primo turno a certificare lo stato di salute della coalizione di governo. Le conseguenze politiche di un risultato negativo potrebbero avvertirsi subito, da lunedì sera. E trasformare le settimane successive in un’ordalia.
Per questo occorre guardare con un certo spavento alla prima pagina di Libero di ieri. È dettata dalla paura, ma trasmette una minaccia. Accetteranno l’esito delle urne? Non cercheranno di alzare un fuoco di sbarramento per neutralizzare o mistificare il significato del voto? Non saranno tentati di inserire elementi di autentico terrorismo politico e psicologico nel dibattito – soprattutto al proprio interno – delle prossime settimane? Sono domande legittime, visto che ormai la linea del Pdl non la interpretano più non diciamo i Pisanu, i La Loggia, gli Schifani o gli Scajola, ma neanche i La Russa, i Cicchitto, i Gasparri.
È tutto in mano a due manipoli di estremisti raggruppati intorno a Libero e Giornale, per di più divisi a loro volta da una rivalità editoriale feroce che li porta a radicalizzarsi sempre di più. Berlusconi talvolta sembra ostaggio, talvolta regista, talvolta perfino vittima di tanta ferocia.
Le opposizioni hanno tenuto bene nella campagna elettorale: non era facile, di fronte a simili aggressioni. C’è competizione fra Pd e Terzo polo, si intuisce però un filo comune, un canale di comunicazione. La drammatizzazione imposta dagli altri, peraltro, aiuta la convergenza, la rende meno innaturale.
È però soprattutto la figura di Giorgio Napolitano che emerge in questi giorni, in realtà da mesi. Indici di popolarità pazzeschi. Grande lucidità politica. Una forte intenzione di tenere la barra. Se il mondo berlusconiano è un mare in tempesta, correnti impazzite e uragani violenti, le ondate della sua furia finiranno per infrangersi contro una roccia molto solida.

da Europa Quotidiano 14.05.11