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«Una scelta per difendere la dignità dell’Italia» intervista a Romano Prodi di Claudio Visani

Voleva esserci Romano Prodi venerdì sera su quel palco in PiazzaMaggiore a Bologna. La piazza delle vittorie del centrosinistra. Lì festeggiò il 23 aprile 1996, arrivando in pullman da Roma tra l’entusiasmo dell’allora popolo dell’Ulivo. E lì tornò l’11 aprile 2006, la sera dopo la seconda vittoria su Berlusconi: vittoria “triste” quella volta alla guida dell’Unione, per appena 20mila voti e solo alla Camera. Voleva esserci per mandare un segnale all’Italia «offesa dalla volgarità di Berlusconi»; per la sua città che «pur avendo perso colpi, nel confronto con le altre se la cava ancora piuttosto bene»; per spazzare via i dubbi che qualcuno «interessato a dividere» aveva sparso sul suo presunto sostegno tiepido al candidato del centrosinistra, Virginio Merola. Così appena conclusa la “lectio magistralis” tenuta a La Spezia, nel tardo pomeriggio, ha salutato tutti e si è precipitato a Bologna. Quando è salito sul palco con Bersani, Errani e Merola, a metà comizio, la sorpresa è stata salutata da un’ovazione dai 15-20mila della piazza. Professore, cosa risponde a chi ha parlato di un Prodi freddo con Merola?
«C’è sempre chi ha interesse a dividere, qualcuno che ci prova. Ma il sostegno a Merola è senza riserve. A Bologna bisogna vincere, e vincere già al primo turno. Il mio impegno è questo. Per Bologna e per il Paese. Soprattutto adesso che la campagna elettorale è diventata una sorta di referendum generale, con una valenza politica nazionale evidente». Una campagna elettorale avvelenata, col Premier impegnato al massimo a colpire i candidati del centrosinistra e a dispensare promesse improbabili….
«Gli ultimi giorni di Berlusconi sono stati una roba incredibile, offensivi della dignità dell’Italia. Dall’uscita su “quelli di sinistra che non si lavano”, al disprezzo per le persone fino all’annuncio sulle case abusive che non si devono abbattere. Ovunque è andato ha portato ulteriori punte di volgarità.
La volgarità è diventata la sua bandiera, che ci fa vergognare nel mondo. Per questo dobbiamo impegnarci, votare. Dobbiamo vincere per salvare la dignità di questo Paese dalla volgarità del Premier».
Quanto peserà il voto nelle città sulla tenuta di Governo e maggioranza?
«È un voto che può incidere molto. Il braccio di ferro più simbolico è quello di Milano e Napoli. Ma anche Bologna avrà un peso: da qui può partire un segnale forte al Paese».
C’è chi sostiene che è già cambiato il vento nel Paese. Lei ci crede?
«Purtroppo non è ancora così, ma penso che l’aria non tarderà molto a cambiare. La crisi è pesante. Stanno aumentanto le iniquità. E cresce la distanza tra il Governo e il Paese. Le elezioni amministrative possono dare una mano a fare maturare in Italia la volontà di voltare pagina».
Come giudica la campagna elettorale
di Bologna?
«Mi pare che qui sia stata meno indecente che altrove. Salvo le battute da piccolo trivio su Merola-Alì Babà (Tremonti per marcare le origini meridionali
del candidato. E Bersani ha replicato: «Sempre meglio Alì Babà dei 40 ladroni», ndr) e sul governo della sinistra a Bologna equiparato alla mafia (Stefania Craxi, ndr), direi che è stata corretta. E la coalizione di centrosinistra è andata in crescendo, col tempo ha preso vigore».
La macchina del fango però è in azione, a Milano come a Bologna. Qui i “grillini” hanno dipinto un Merola alticcio e psichicamente instabile, e il
“Resto del Carlino” hapubblicato l’intervista a uno psichiatra sulla stanchezza del candidato…
«A Bologna più che la macchina del fango mi è sembrato di vedere squallore umano, di sentire qualche voce dal sen fuggita. A Milano è diverso: lì è chiaro che l’attacco della Moratti a Pisapia è stato pianificato dagli spin doctors».
Nel Paese c’è disaffezione per la politica, anche nei confronti del Pd. A Bologna dopo Delbono il centrosinistra teme l’astensione e il voto a Grillo.
Pensa che sia un timore fondato?
«A vedere la piazza di venerdì sera non direi. Nel centrosinistra siamo abituati agli esami continui, ma non mi pare ci sia uno specifico bolognese.
La disaffezione è un fenomeno generale, riguarda l’Italia, la crisi del Paese e della politica alimentata
dagli anni di Berlusconi».
Bologna però ha perso colpi…
«E’ vero, li ha persi. Ma se la paragoniamo ad altre città se la cava ancora bene. Certo, un tempo Bologna era un simbolo mondiale. Ora è una città più normale, costretta alla lotta dura per non arretrare, falcidiata
in modo micidiale dai tagli, con poche risorse a disposizione per garantire i servizi e le innovazioni del passato».
Cosa serve perché Bologna torni ad essere Bologna?
«Il coraggio. La voglia di sfidare il mondo, di rimettersi in gioco. Senza avere paura della internazionalizzazione. Puntando sull’Università, i saperi, la ricerca, che restano i nostri “francobolli” nel mondo».
Benigni dice che Bologna è sempre stata una buona fabbrica di sindaci. Report ha mostrato una città non più all’altezza, con candidati sindaco in grigio. Lei come lo vede Merola?
«Prima facciamolo diventare sindaco. Poi vediamo se la fabbrica ha funzionato. Io penso che farà bene. Certo, lo aspetta un compito difficile, più difficile degli ultimi che l’hanno preceduto. Per questo, come ho
detto sul palco, nei giorni feriali dovrà stare sul pezzo come un metalmeccanico e la domenica dovrà celebrare come un parroco».

L’Unità 15.05.11