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"Il grande comunicatore senza parole", di Michele Brambilla

Da tre giorni non si hanno notizie di Berlusconi. Lunedì sera il suo portavoce Paolo Bonaiuti aveva fatto sapere che il presidente avrebbe espresso le proprie valutazioni il giorno dopo, cioè martedì, «a risultati definitivi». È passato martedì, è passato pure mercoledì ma le valutazioni del presidente sul voto restano un mistero di cui è probabilmente a conoscenza solo qualche stretto collaboratore. Al popolo italiano, e perfino a quello delle libertà, non è dato sapere che cosa pensi il premier su un risultato elettorale che ha già provocato un mezzo terremoto.

È un silenzio molto strano. Berlusconi è, per definizione, il Grande Comunicatore: o, secondo il professor Alberoni, quantomeno un Grande Seduttore. In ogni caso, un uomo che ha fatto del proprio rapporto diretto con il popolo il suo principale punto di forza. Berlusconi non si è mai sottratto alla pubblica esposizione, nemmeno quando si è trovato sotto scacco. Quand’è stato in difficoltà, ha sempre chiamato a raccolta la sua gente e ha contrattaccato, si è difeso con le unghie e con i denti, insomma ha sempre parlato, magari urlato. Mai si era nascosto come pare si stia nascondendo in questi giorni.

E come pare sia intenzionato a fare anche nei prossimi, se sono vere le indiscrezioni secondo le quali Berlusconi non si farà vedere a Milano nelle due settimane (che ormai sono diventate meno di dieci giorni) che separano dal ballottaggio.

Perché il Grande Comunicatore ha deciso di non comunicare e il Grande Seduttore ha deciso di non tentare neppure la seduzione? La prima risposta, malevola, è che Berlusconi vorrebbe evitare Milano perché sente aria di sconfitta, e sulla sconfitta non vuol lasciare le impronte. La seconda, ancora più malevola, è che il premier avrebbe capito che gli conviene stare alla larga da Milano, visto che la sua personale discesa in campo a fianco della Moratti ha prodotto più danni che benefici. Saranno anche cattiverie, ma resta un silenzio che – quand’anche il premier parlasse oggi – sarebbe comunque durato troppo.

Che cosa sta insomma succedendo non solo a Berlusconi, ma a tutta la sua «macchina da guerra» mediatica? Lui tace, le sue televisioni pure. Lunedì pomeriggio negli studi di Mediaset si assisteva alla surreale scena di trecento giornalisti sintonizzati tutti su Rai, La7 e Sky perché nessun canale della Casa si occupava di ciò di cui si stava occupando tutta Italia: le elezioni. Quando poi sono arrivati i tg, Emilio Fede ha impiegato quattro minuti e venti secondi prima di dare il risultato di Milano, e il Tg5 delle venti non dev’essere stato considerato molto appetibile, visto che ha fatto il 19,28 per cento di ascolti, quasi un record negativo. Tg a parte, solo alle 23,30 l’argomento è stato preso in consegna (su Canale 5) da Alessio Vinci a Matrix. Dopo di che, s’è tornato a parlar d’altro. Martedì sera Matrix si è occupato di sballo e sesso fra i giovani, ieri sera di Melania e Avetrana.

Anche il Milan, che insieme con la tv è stato il primo grande propulsore di Berlusconi, sembra non trainare più. Ha vinto lo scudetto, ha festeggiato a Milano proprio alla vigilia delle elezioni, eppure il suo patron ha perso. Pare quasi un segno dei tempi. Paradossalmente, Berlusconi appare in difficoltà proprio sul terreno che gli era sempre stato più congeniale, quello della comunicazione. Anche l’ammissione – da parte della stessa Moratti, ma pure dell’amico Fedele Confalonieri – di aver sbagliato i toni della campagna elettorale rientra in questo nuovo, e un po’ sorprendente, scenario di crisi della capacità di comunicare.

Con questo Berlusconi silente, parlano le seconde e terze linee. E spesso parlano più per far danni che per dare un contributo a una storica rimonta. Molti del Pdl accusano la Moratti e incredibilmente ripetono la panzana – sentita non so quante volte da lunedì pomeriggio ad oggi – secondo la quale il candidato sindaco avrebbe preso meno voti delle liste che la sostenevano (al contrario, la Moratti ha preso 273.401 voti, le liste della coalizione 257.777). Altri accusano i ciellini, che non si sarebbero impegnati abbastanza. Altri rovesciano sui leghisti l’accusa di freddezza. L’immagine che ne esce è quella di una nevrotica ricerca del capro espiatorio che sollevi il grande capo da ogni responsabilità; e, al tempo stesso, l’immagine di una squadra divisa, che si appresta a giocare il secondo tempo in stato confusionale.

Lui, per ora, tace. Vedremo se ancora una volta sarà capace di uno scatto dei suoi. Il primo dovrebbe essere quello di liberarsi di cortigiani di un così basso livello. Se non è troppo tardi.

La Stampa 19.05.11