attualità, politica italiana

"Il ladro di realtà", di Miguel Gotor

Ora che Fassino ha conquistato Torino di slancio e che Pisapia ha staccato la Moratti di sette punti sono in tanti a dire: «Io l´avevo detto». Prima, però, l´orizzonte di attesa era ben diverso: Berlusconi, proprio nella sua città, doveva dimostrare di essere in sintonia con la pancia del Paese.
Al massimo insidiato dal successo di una Lega finalmente moderata; a livello nazionale il Terzo polo era destinato a veleggiare con il vento in poppa degli auspici, mentre i coccodrilli per il Pd di Bersani, «il caro estinto», erano gia pronti. Costa ammetterlo, forse più a sinistra che a destra, ma le cose stavano così.
Quanti hanno avuto la possibilità di assistere agli ultimi giorni di campagna tra Milano e Torino non hanno dimenticato che anche nell´elettorato progressista da tempo l´insoddisfazione e il timore serpeggiavano profondi. A Torino la vittoria di Fassino al primo turno era in discussione con il solito rosario di argomenti: l´uomo è grigio, imposto dal partito di Roma, ormai da decenni lontano dalla città che non conosce più, incapace di entrare in connessione con il nuovo dinamismo terziarizzato della società civile sabauda. A Milano in tanti criticavano la campagna di Pisapia e, dalla vicenda dei manifesti di Lassini in poi (annunciato recordman di preferenze), il coro era unanime: Berlusconi ha personalizzato e radicalizzato la campagna, ha convocato l´ennesimo referendum sulla propria persona e, ancora una volta, si è mostrato un maestro della comunicazione politica costringendo il solito centrosinistra allo sbando a inseguirlo vanamente sul suo terreno. Commentatori, sondaggisti, pubblica opinione erano tutti lì a riflettere sui roboanti effetti dell´ennesima zampata del Cavaliere scudettato, alcuni ammirati, altri sconsolati o tremebondi.
I risultati di queste elezioni comunque si vogliano leggere e comunque vada a finire la vicenda di Milano (tutt´altro che chiusa), dicono che il centrosinistra è pienamente in campo e competitivo, proprio in quel nord produttivo dove il canto dominante lo dava in via di evaporazione. Eppure un sentimento di incertezza, di smarrimento e persino di disfattismo ha accompagnato parte del suo elettorato, il primo a non credere in se stesso e nelle proprie possibilità, evidentemente condizionato dal tono complessivo assunto dal dibattito.
Si tratta di un problema serio, un dato psicologico prima che politico, il quale merita di essere analizzato perché costituisce uno dei frutti più seduttivi e avvelenati del berlusconismo. Il Cavaliere si mostra capace di compiere un vero e proprio «furto di realtà» anche nel campo avversario e presso l´opinione pubblica in generale che per superficialità, pigrizia o convenienza si acconcia alla propaganda dominante. Certo, ciò avviene per lo strapotere televisivo dello schieramento governativo in grado di dispiegare nei momenti elettorali tutta la sua forza senza controllo e disciplina, a parte i buffetti degli ammonimenti e delle multe dell´Agcom, peraltro di solito oculatamente bipartisan. Ma sarebbe questa una spiegazione parziale.
Il «furto di realtà» deriva anche dalla compresenza di un altro fattore, ossia dall´egemonia conquistata dalla retorica terzista in televisione come nella carta stampata: se affermiamo che Berlusconi non governa, dobbiamo anche dire che le opposizioni sono inadeguate altrimenti il discorso non può farsi. E intanto, mentre i commentatori erano impegnati con il loro bilancino a dosare dissensi e sfumature, nella società produttiva del nord cambiavano gli umori elettorali e cresceva il fastidio per questo governo non governante. In particolare, il Pd, la principale forza di opposizione, è sempre e solo descritta come una litigiosa armata in rotta e le campagne giornalistiche che hanno denunciato i comportamenti del premier sono addirittura considerate controproducenti per le sorti del fronte progressista. Siamo davanti a un terzismo moderato che serve a tutelare convenienze e occasioni di un pezzo di classe dirigente, la quale ha uno straordinario vantaggio a prosperare nel discredito complessivo della politica in quanto tale e a trattare con un Berlusconi indebolito. Non bisogna farsi illusione perché è sempre stato così. Costoro vorrebbero che il tramonto del Cavaliere dimezzato non smettesse mai di finire e attenderanno l´ultimo raggio di luce, il momento in cui il suo sole scomparirà definitivamente dall´orizzonte, per alzare lo sguardo dal «particulare» dei propri interessi e guardare a quelli generali dell´Italia. Nel frattempo, però, levano queruli lai sulla dissoluzione italiana, che non avrebbe speranze, alternative né possibilità di salvezza: o Ruby o morte e loro a bilanciare con la giusta stadera dell´opportuna attesa. Sono gli stessi che ora agitano lo spettro del «pericolo rosso» a Milano fingendo di non sapere che Berlusconi ha perso contro la mitezza del sorriso di un gentiluomo borghese come Pisapia perché l´estremista è stato lui.
Sarebbe tuttavia sbagliato non registrare anche l´esistenza di un terzismo progressista che ha fatto breccia soprattutto nella sinistra intellettuale, quella persuasa che con «questi dirigenti non vinceremo mai», per ricordare il grido di dolore di Nanni Moretti del 2002. È questa un´idea oltremodo seducente in quanto deresponsabilizzante che consente di salvarsi l´anima rinchiudendosi in una postura indignata e antipolitica che consola, persino ristora, nell´immediato, ma non produce analisi rigorose né la grinta necessaria per affrontare lo scontro con l´avversario che così finisce sempre per partire in vantaggio. Sembrerà l´ennesimo paradosso italiano, ma c´è dell´indifferentismo anche nell´esibire la propria indignazione poiché, in fondo, se Berlusconi vince o perde a loro non cambia nulla, anzi l´inadeguatezza dei suoi comportamenti li fa sentire migliori sul piano etico-civile senza sforzi particolari. Tanto gli italiani sono così (dicono) e si sentono automaticamente buoni, ma non vale più la pena di impegnarsi per difendere la trama liberale e riformista di questo Paese: o radicalismo o morte e, come tanti reduci di una guerra mai per davvero combattuta, si beano nella mistica purificatrice della sconfitta.
Queste due forme di terzismo hanno prosperato nel corso dell´ultimo ventennio ai piedi del tronco berlusconiano e proprio la loro intensità e durata rivelano quanto quell´albero sia ancora ben piantato nel cuore del potere italiano. Sarebbe bene non dimenticarlo.

La Repubblica 19.05.11

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“Basta favori a Silvio” la rabbia dei lumbàrd invade Radio Padania, di Rodolfo Sala

Tra i militanti che telefonano c´è chi avrebbe voluto Salvini candidato sindaco a Milano al posto della Moratti. “Con lui in pista la gente ci avrebbe votato di più E a Torino ci voleva Borghezio”
“Feste con le donne, la guerra alla Libia insieme a quel ministro con la barbetta… A noi queste cose non piacciono. E siccome contiamo meno nel governo, molti di noi non sono andati a votare”
Non si ferma, nonostante i ferrei rimbrotti dei conduttori, l´onda del malcontento leghista su Radio Padania. Chiama una signora da Milano, dice di non aver votato la Moratti «perché ha governato male» e che la Lega ha sbagliato ad appoggiarla di nuovo: «Se avessimo proposto Salvini, la gente ci avrebbe votato di più». Le ricordano subito, ligi all´ordine impartito dai vertici («Ventre a terra per vincere ai ballottaggi») che se Letizia dovesse perdere «noi andremo all´opposizione, e allora Milano sarebbe invasa dalle moschee».
Ma lo stesso concetto espresso dalla leghista meneghina lo ritrovi nero su bianco sulla Padania di ieri, nella rubrica delle lettere: «Se a Torino avessimo avuto un candidato forte, come poteva essere su tutti Mario Borghezio, avremmo rischiato di vincere dopo anni di sconfitte», scrive un militante. E sempre in vista della prossima sfida elettorale, compare una lettera intrisa di sarcasmo, e che allude in modo chiarissimo alle campagne acquisti di Berlusconi. Titolo: «Annuncio pubblicitario pro-ballottaggio». Testo: «Aaa, cercasi per Milano e Napoli tanti, molti scilipoti; non si bada a spese, ottime ricompense».
Non c´è niente da fare, l´esito di queste elezioni ha allargato il solco che divide il “sentire padano” dalle sorti del Cavaliere. E proprio mentre Bossi lancia il grido di battaglia («Il Pdl non ci trascinerà a fondo»), alla radio arriva una telefonata dal Veneto: «La Lega non sta affatto andando bene, anzi sta dando segnali di stanchezza e insofferenza per quello che fa Berlusconi; con lui finisce sempre a tarallucci e vino, e noi perdiamo». «L´alleanza con Berlusconi ha fatto il suo tempo», aggiunge un altro ascoltatore. Segue il lamento di un signore attempato, che punta l´indice contro il governo: «Altro che uomini del fare, la situazione economica è un disastro, bisogna mettere nelle tasche della gente un po´ di quattrini, e questi non fanno niente». Hai voglia a rispondergli, come fa il conduttore, che «con tre ministri possiamo dare solo un´impronta all´azione di governo», che «le cose sono state fatte, ma male comunicate perché si è parlato troppo di giustizia».
Gli arrabbiati non vogliono sentire ragioni. Qualcuno, da Bergamo, rispolvera un vecchio slogan leghista: «Né neri né rossi, ma liberi con Bossi; oggi purtroppo siamo troppo vincolati al centrodestra e a un premier che fa la guerra insieme al ministro con la barbetta, che ha accolto Gheddafi con le amazzoni, che si diverte a far le feste con le donne. Queste cose ai leghisti non piacciono, e siccome contiamo meno nel governo tanti non sono andati a votare». A Varese, città simbolo del Carroccio dove stavolta Lega e Pdl dovranno andare al ballottaggio, scuote la testa Fabio Binelli, assessore uscente del Carroccio e recordman delle preferenze: «Se si perde Milano, viene meno uno dei fattori che ci tiene uniti a Berlusconi, credo che potrebbe essere messa in discussione la tenuta del governo». Se ancora non fosse chiaro: «Noi stringiamo alleanze per necessità, ma se questo ci fa perdere consensi, quanto meno c´è da discutere; è già molto difficile adesso convincere i militanti che bisogna correre col Pdl». Concetto ripreso da un sindaco del Veneto: «Fino ai ballottaggi tutti zitti e buoni per non rischiare contraccolpi dannosi, ma se si perde Milano, come ha già detto Bossi, la colpa sarà tutta di Berlusconi. E allora tra noi e loro saranno legnate». Un deputato brianzolo fissa anche la data per staccare la spina: «In autunno, subito dopo l´approvazione degli ultimi decreti attuativi del federalismo; a quel punto che ci stiamo a fare in maggioranza? Per votare leggi ad personam sulla giustizia?». E un altro parlamentare leghista confida all´agenzia Dire che le sorti del governo sono segnate: «Berlusconi ci ha causato danni seri, con la guerra in Libia, con la carica dei sottosegretari meridionali e con lo stop alle ruspe anti-abusivi a Napoli».

La Repubblica 19.05.11