attualità, lavoro, partito democratico

"La strada obbligata dell’Italia: ricominciare dal lavoro", di Stefano Fassina

Il fallimento del neoliberismo dimostra come non ci possa essere crescita senza una adeguata cultura del lavoro. Due borse di studio del Pd nel nome di Massimo D’Antona ed Ezio Tarantelli. Irisultati del primo turno delle elezioni amministrative assegnano al Pd le maggiori responsabilità nella ricostruzione di una «Repubblica democratica fondata sul lavoro». Il Pd, con tutti i suoi limiti, è l’unico grande partito nazionale. Per essere all’altezza della sfida, il Pd deve irrobustirsi, innanzitutto in termini di cultura politica.
I partiti fondatori dell’Italia repubblicana erano soggetti culturali forti, prima che organizzazione, macchina elettorale e sistema di potere. Esprimevano una visione autonoma delle cose, una cultura politica diffusa e radicata, condivisa dalla sua classe dirigente, dai suoi iscritti e, almeno in larga misura, dai suoi elettori. Erano intellettuali collettivi e strumento di formazione e di selezione di classi dirigenti adeguate.
Erano,come le grandi organizzazioni sindacali, i principali vettori di mobilità sociale in Italia. Il rapporto tra partito ed intellettuali era un rapporto sistematico e proficuo. I partiti avevano al proprio interno le migliori forze intellettuali del tempo.
Oggi, siamo in un’altra storia. Non ha senso tentare di tornare alle forma-partito del passato. Tuttavia, è evidente che per ritrovare slancio politico ed offrire una capacità di governo all’altezza del passaggio di fase il Pd e, più in generale, tutte le forze riformiste europee devono rafforzare le proprie fondamenta culturali. Per i riformisti, la perdita di autonomia e autorevolezza culturale è stata particolarmente acuta sul terreno economico e sociale. Dalla metà degli anni ’80, hanno subito il paradigma neo-liberista: regressione del lavoro e smantellamento della contrattazione collettiva e del sindacato come chiave per la crescita; fallimento immanente di ogni intervento pubblico ed infallibile capacità di autoregolazione dei mercati; aumento della disuguaglianza come unica via per aumento della produttività, quindi attacco alla progressività fiscale e agli interventi redistributivi. Subalterni all’egemonia delle destre, i riformisti hanno perso capacità di rappresentare un variegato universo del lavoro segnato, anche nelle classi medie, da cambiamenti regressivi. Oggi, le forze progressiste possono ritornare a intercettare le domande di larghissime fasce di elettori preoccupati e spaventati dalle incognite della grande transizione in corso a condizione che scavalchino il recinto del paradigma neo-liberista e riavviino una strategia di valorizzazione etica, economica e sociale del lavoro. Per ricostruire partiti adeguati a rivitalizzare una democrazia fondata sul lavoro, la strada è in salita. Si deve nuotare contro-corrente. La corrente impetuosa dell’antipolitica, alimentata senza sosta dalla degenerazione privatistica e personalistica della politica stessa e da interessi forti, impegnati a lasciare la politica ancella dell’economia. Ma non ci sono scorciatoie. Senza partiti culturalmente attrezzati la democrazia perde l’anima, il lavoro continua ad arretrare e i problemi non si risolvono. Le alternative tecnocratiche o, all’estremo opposto, populistico- aziendaliste sono illusorie in quanto deboli o degenerative. Il Pd è impegnato in un intenso lavoro culturale. La segreteria Bersani ha avviato i forum tematici per ritessere il rapporto tra politica e cultura, tra direzione politica ed elaborazione programmatica. Ha investito sulla formazione dei suoi quadri, si è dotato di un centro-studi, ha in cantiere una rivista di approfondimento. In tale quadro, il Dipartimento Economia e Lavoro del Pd intende promuovere due borse di studio, da assegnare per merito, a due giovani economisti/e (bando sul sito del Pd). Le due borse sono dedicate a Ezio Tarantelli, professore di Economia Politica a La Sapienza, ucciso a Roma dalle Br il 27 marzo 1985 e Massimo D’Antona, professore di Diritto del Lavoro, anche lui a la Sapienza, caduto il 20 Maggio 1999 sempre per mano della stessa organizzazione terrorista. Abbiamo scelto loro perché erano intellettuali di rango, innovatori nei rispettivi campi disciplinari, impegnati a prezzo della vita nei sindacati e nella politica come servizio al Paese e, in particolare, alle persone che lavorano. Non erano terzisti alla moda o à la carte. Erano lontani anni luce dal servilismo intellettuale, dal cerchiobottismo e dalla presunta neutralità tecnica, così diffusi e ben remunerati. Oggi, la classe dirigente della politica è, in blocco e indiscriminatamente, sul banco degli imputati per il rinsecchimento etico ed economico della nostra democrazia. Poca attenzione si dedica alla responsabilità costituzionale degli intellettuali. Noi vogliamo ricordare Ezio Tarantelli e Massimo D’Antona per motivare l’impegno civile e politico delle giovani generazioni di intellettuali e per sollecitare l’irrobustimento culturale delle forze politiche e sindacali.

L’Unità 20.05.11

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“No alla precarietà e al contratto unico”, di Gianni Del Vecchio

Non è più tollerabile che un’intera generazione venga flagellata dalla precarietà. Non è più tollerabile che un giovane su tre sia disoccupato, né che il tasso di occupazione delle donne sia largamente al di sotto delle medie europee, Mezzogiorno in testa, dove quasi due donne su tre non lavorano.
Per rispondere a queste vere e proprie piaghe sociali, il documento di Stefano Fassina contiene una precisa ricetta, condivisa dalla maggioranza del partito, un po’ meno dalla minoranza veltroniana.
Per battere la precarietà, infatti, bisogna fare in modo che le imprese siano invogliate ad assumere a tempo indeterminato invece che far ricorso alla variegata tipologia di contratti atipici. E questo si può fare con una riforma degli oneri sociali: alzare il livello dei contributi previdenziali per il lavoro flessibile e contestualmente abbassarlo per quello stabile.
In questo modo, alle aziende converrà assumere quei giovani che oggi si vedono rinnovare costantemente un contratto a termine. A questa prima misura vanno però aggiunte altre, come ad esempio una forte sfoltita dei contratti precari: abolizione del contratto di associazione in partecipazione, delimitazione degli spazi per i contratti a progetto e quelli a chiamata, la restrizione del ricorso al lavoro a tempo determinato.
Va poi regolato un altro strumento attraverso il quale spesso chi si affaccia al mondo del lavoro viene sfruttato: lo stage. Fassina propone dei limiti di durata ben precisi, l’obbligo di un compenso e la garanzia di un vero contenuto formativo. Infine, bisogna prevedere l’introduzione di un salario minimo legale, uno strumento presente in quasi tutti i paesi europei ma non in Italia.
Nel documento, Fassina manda anche un forte segnale alla minoranza interna, dicendo chiaramente che la soluzione del precariato dilagante «non sta nel contratto unico e nella rimozione delle protezioni dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori». Anzi. «Dobbiamo archiviare il paradigma sbagliato e subalterno del “meno ai padri, più ai figli”, un’impostazione efficace ad allontanare dal centro-sinistra i primi senza riuscire ad avvicinare i secondi».
Così il responsabile economico del Pd rimanda al mittente una proposta che tanto piace al senatore Pietro Ichino e al leader MoDem Walter Veltroni, nonché all’economista e collaboratore di Repubblica Tito Boeri.
La terapia del Pd per sconfiggere la precarietà giovanile però non finisce qui. Nel documento si trovano anche altre proposte, come la necessità di riformare il contratto di apprendistato e l’introduzione di «interventi fiscali e creditizi destinati a incentivare l’imprenditoria giovanile, l’avvio di attività professionali e di lavoro autonomo». Agevolazioni fiscali che sono anche al centro della volontà democratica di sostenere il lavoro femminile. L’obiettivo è ambizioso: tre milioni di donne in più al lavoro entro la fine del decennio.
E per arrivarci ci sono diverse strade.
Prima di tutto, si devono rendere più vantaggiose le assunzioni femminili nonché è necessario «introdurre detrazioni fiscali per i redditi delle donne, in primo luogo quelle con figli minori». Accanto a meno tasse, Fassina propone poi il potenziamento dei servizi di cura per la famiglia, ovvero più asili nido e più assistenza per le persone anziane non autosufficienti.
Infine, bisogna «facilitare il ritorno al lavoro dopo la maternità, rafforzare i congedi parentali, promuovere le pari opportunità nelle carriere professionali e le quote rosa nei consigli d’amministrazione».

da Europa Quotidiano 21.05.11