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"Il garantismo dell’appartenenza", di Massimo Nava

A rileggere alcuni commenti sulla vicenda di Dominique Strauss-Kahn viene da chiedersi se un pregiudizio di colpevolezza o d’innocenza possa variare a seconda che l’imputato sia un potente o un individuo qualunque, un membro della famiglia o un estraneo, un amico o un avversario politico, un membro della propria comunità nazionale o uno straniero. Abbiamo visto confronti a senso unico fra la macchina giudiziaria americana e quella francese e sentito parlare di complotti della destra gollista contro il candidato della sinistra all’Eliseo e di imprecisate «spectre» finanziarie contro il presidente «troppo» europeista del Fondo monetario. Abbiamo ascoltato esaltazioni delle qualità intellettuali e umane di DSK, per sostenere quanto sia assurdo che la fama di seduttore possa avere avuto un suo rovescio di bassezze. Si è letto di una povera cameriera che potrebbe essere considerata inattendibile. E questa sembra la strategia della difesa. Qualcuno ha persino voluto sottolineare che la cameriera è musulmana e che DSK è ebreo. Giurano sulla sua innocenza familiari, amici e amiche, ma forse la reazione più naturale dovrebbero essere il disagio per un così grande spreco di talento e la compassione per un comportamento che potrebbe invadere la sfera della medicina. I sondaggi dicono che il 57 per cento dei francesi ritengono DSK innocente. Nella gauche molti fingono di non sapere quale fosse il punto debole del proprio campione. Alcuni intellettuali sono insorti contro l’esposizione pubblica dell’imputato. Per inciso, sono gli stessi che considerano Berlusconi spregevole al di là di ogni dubbio. Nessuno potrà mai risarcire abbastanza DSK se risultasse innocente, ma era sostenibile, sulla base delle accuse, che potesse tornarsene tranquillamente in Francia? Sarebbe accettabile che i giornali non parlassero di Ruby? Non sarebbe più utile interrogarsi su qualche punto opaco dell’inchiesta? Ad esempio: sull’assenza di security al piano vip del Sofitel; sul fatto che una sola cameriera fosse incaricata di rimettere in ordine una suite; sulla mancanza di reazioni ufficiali da parte della Francia per l’intrusione della polizia americana su un volo della compagnia di bandiera; sulla mancanza di precauzioni da parte dello stesso Strauss-Kahn che si muoveva da solo, senza scorta, senza nemmeno un segretario a protezione della privacy. La questione della «gogna mediatica» e dell’errore giudiziario è all’ordine del giorno in ogni tempo, dal caso Dreyfus al caso Sacco-Vanzetti, per limitarci alla diatriba fra Francia e Stati Uniti. Si potrebbe continuare ricordando la «sensibilità» degli americani rispetto alla sorte di Amanda Knox nella rete della giustizia italiana o le campagne sulla sorte dei detenuti di Guantanamo, certamente non tutti terroristi e molti in attesa di processo. Stupisce tuttavia una forma di garantismo la cui molla non sono soltanto la doverosa presunzione d’innocenza o il margine di dubbio sull’operato del procuratore, ma il senso di appartenenza, il giudizio di parte, le conseguenze politiche di un arresto. È la specie di garantismo per cui la metà degli italiani considera Berlusconi vittima di una macchinazione. È una specie di solidarietà di categoria che fa scattare l’applauso di industriali all’indirizzo degli imputati della Thyssen. È il riserbo che per molto tempo ha mantenuto la chiesa nei confronti dei casi di pedofilia. È l’atteggiamento di chi ritiene la giustizia americana brutale e quella francese egualitaria. Al contrario, succede che un pregiudizio di colpevolezza scatti nella «categoria» opposta a quella del presunto colpevole: italiani di sinistra, francesi di destra, femministe, dipendenti e piccoli azionisti, anticlericali, islamofobici. Stupore e incredulità supportano l’innocenza, così come ostilità e pregiudizio si trasformano in colpevolezza. È possibile che un immigrato sia un ladro o un arabo un terrorista o un nero un assassino. Non sembra immaginabile che un famoso leader politico — francese, ricco, di sinistra, bianco e amato dalle donne — tenti di stuprare una cameriera di colore.

Il Corriere della Sera 23.05.11