cultura

"Nuova e vecchia comunicazione", di Piero Bianucci

Berlusconi parla da cinque televisioni, tre sue e due di tutti. I fan di Pisapia si tengono in contatto con messaggini sui cellulari, «cinguettii» su Twitter, scambi di opinioni con Facebook. La lotta all’ultimo voto che va in scena a Milano è interessante anche dal punto di vista dei mezzi di comunicazione utilizzati. Si confrontano due tipi di rete. Berlusconi usa la rete a stella: l’emittente è centralizzata. Siamo in un universo tolemaico. Terra al centro e tutto il resto – Luna, pianeti e stelle – gira intorno. Il rapporto è monodirezionale: dal centro alla periferia, da chi emette il messaggio a chi lo riceve. La rete a stella è potente, nessuno dei suoi singoli utenti è in grado di intaccarla. Ma è anche fragile: un guasto al faro lascia tutti al buio.

I fan di Pisapia usano una rete multicentrica. Il loro rapporto è pluridirezionale. Non va dall’alto al basso, procede orizzontalmente a zig-zag. Inoltre è un rapporto interattivo. Ogni fan con il suo cellulare o i social network è un piccolo centro ricetrasmittente. Il singolo fan è debole. Ma l’insieme è forte. Se una piccola emittente per qualche motivo viene meno, ce ne sono migliaia pronte a subentrare creando percorsi alternativi. Negli Anni 60 il governo americano per rendere la rete di telecomunicazione inattaccabile creò Arpanet, la nonna di Internet, e lo fece proprio privando la rete di un centro unico e distribuendo il «potere» tra tanti centri minori interconnessi.

La rete multicentrica delle comunicazioni sta trasferendosi nel sociale. In Spagna «los indignatos» ne sono lo specchio. Da noi qualche tempo fa decine di piazze dalle Alpi al mare Ionio si sono affollate per difendere la Costituzione. Poi è successo per la scuola pubblica, la dignità delle donne, la ricerca scientifica, l’occupazione. Queste manifestazioni hanno una caratteristica comune. Sbocciano in pochi giorni, persino in poche ore. Non sono organizzate ma si auto-organizzano. Manca la regia. La diffusione delle idee e dei sentimenti che animano questo fenomeno ha i connotati del contagio. Come avviene che persone geograficamente e socialmente lontane si mobilitino insieme?

Paul Erdos, geniale matematico ungherese dalla vita nomade (non ebbe mai una casa, i suoi beni stavano tutti in una valigia), affrontò il problema di stabilire quante strade servono per collegare 50 città. Con 1225 strade la connessione è assicurata. Ma qual è il numero minino? Erdos ha dimostrato che ne bastano 98.

Se aumenta il numero dei punti da collegare ci sono sorprese. In media per connettere ciascuno dei 7 miliardi di abitanti della Terra a uno qualsiasi degli altri sono sufficienti sei passaggi. Per esempio un contadino del Brasile conosce il parroco del suo villaggio, che a sua volta dipende dal vescovo locale, il quale è in contatto con qualche cardinale che ha incontrato il Papa. Tra il contadino brasiliano e Benedetto XVI esistono soltanto tre gradi di separazione. E’ la teoria delle reti, e la troviamo nascosta sotto le realtà più diverse: il funzionamento del cervello, il diffondersi delle epidemie, l’imprevedibile successo di un libro, finanza e commerci, mode e fenomeni sociali. Se poi ad accelerare le connessioni interpersonali provvedono Internet e telefoni cellulari, che sono reti allo stato puro, il gioco è fatto.

Nel 1998 i matematici Duncan Watts e Steve Strogatz (Cornell University) scoprirono che in una rete sono decisivi pochi legami tra punti lontani distribuiti in modo intermedio tra ordine e caos. Sono questi legami a rendere veloci i rapporti, e l’esito può essere esplosivo. Ma pare che i nostri politici sappiano poco di Erdos, Watts e Strogatz.

La Stampa 23.05.11