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"La rivolta operaia contro la chiusura di Fincantieri", di Massimiliano Amato

A Castellammare di Stabia, dove si costruiscono navi dal 1783, hanno tirato giù dai piedistalli i busti di Vittorio Emanuele II e di Garibaldi custoditi in Municipio, dopo aver rovesciato armadi e dato fuoco a centinaia di delibere e atti amministrativi nel corso di una nottata da tregenda. Il sindaco Luigi Bobbio, dopo essere rimasto asserragliato per lunghe ore nel suo ufficio, parla apertamente di «infiltrazioni camorristiche » nella protesta. All’eroe dei due mondi non è stato risparmiato l’oltraggio estremo: la testa è stata ritrovata in un water. Sir Giovanni Edoardo Acton, primo ministro di Ferdinando IV di Borbone che realizzò il primo cantiere navale stabiese, sarebbe inorridito. A Genova si sono scontrati con i poliziotti: ci sono stati feriti da una parte e dall’altra durante un vero e proprio assalto alla prefettura con fumogeni, pietre, bottiglie di plastica e di vetro. Sulla Statale Sorrentina, l’unica arteria che collega la Penisola con il resto della provincia di Napoli, dalla tarda mattinata di ieri si circola a singhiozzo: i blocchi stradali vengono rimossi per pochi minuti allo scopo di far defluire il serpentone di auto e bus turistici, per essere ripristinati appena il traffico torna regolare. È la rabbia operaia a tenere unito lo Stivale, in questo tristissimo autunno industriale in cui Sud e Nord si ritrovano legate dal filo drammatico delle dismissioni Fincantieri annunciate dall’amministratore delegato Giuseppe Bono. E alla fine di una giornata da dimenticare si fa la conta dei danni e dei feriti: a Castellammare, devastazioni per centinaia di migliaia di euro in Comune, e quattro poliziotti contusi; a Genova, una decina di agenti feriti nel corso di una carica di alleggerimento davanti al Palazzo del governo, con quattro operai costretti a ricorrere a cure mediche. Il finimondo, insomma, mentre un imbarazzatissimo Romani, il ministro dello Sviluppo Economico che finora ha brillato per la sua assenza, convoca un tavolo con azienda e sindacati. Per il 3 giugno, però: campa cavallo. Il piano di Bono, che prevede la chiusura completa degli storici cantieri di Castellammare e Sestri Ponente e il ridimensionamento di quello di Riva Trigoso, in provincia di Genova, ha il potere di ricostruire l’unità sindacale andata in frantumi su Pomiglianoe Mirafiori. Le tre maggiori confederazioni non usano mezzi termini: «Un ulteriore colpo assestato a un’economia nazionale messa in ginocchio dalla crisi» per la Cgil. «Un piano irresponsabile» per la Uil. «Una cosa incresciosa» secondo la Cisl, mentre per l’Ugl «è troppo tardi convocare le parti il 3 giugno, gli operai Fincantieri hanno bisogno di risposte immediate». Si mobilita il sindacato, fanno altrettanto le istituzioni locali, con vertici che si susseguono a ritmo serrato, dall’incerta utilità. La situazione più grave in Campania. La illustra bene Raffaele Bonanni, segretario generale della Cisl: «Chiudere i cantieri di Castellammare significa lasciare campo libero alla camorra ». Duecentoventotto anni di storia cancellati di colpo. Sul piano della tenuta occupazionale una mazzata tremenda: 640 addetti diretti, e 1200 dell’indotto che si vedono di colpo azzerare il futuro. Nel 1861, anno dell’Unità d’Italia, i cantieri stabiesi, dai quali nel secolo precedente erano uscite le navi della potentissima flotta borbonica, occupavano 1800 persone.

LA LUNGA ATTESA La crisi, da queste parti, è arrivata da tempo: l’ultima commessa importante risale a due anni fa. Poi, un lungo periodo di cassa integrazione interrotto per pochi mesi quest’anno, per realizzare un pezzo di una nave da crociera. A Castellammare si guardava con fiducia alla realizzazione del nuovobacino di carenaggio: «Ci avrebbe permesso – racconta Antonio Vanacore, della Rsu aziendale – di realizzare le navi posacavi e rilanciare la produzione». In attesa di investimenti in tecnologia, che però Fincantieri si è sempre rifiutata di fare da dieci anni a questa parte. Il sindaco Bobbio sollecita «ipotesi di riconversione», ma gli operai non lo seguono: «Qui facciamo navi da più di due secoli – afferma Vanacore – èunmestiere che si tramanda da generazioni di padre in figlio. Non riusciamo ad immaginare cos’altro potremmo fare». La salvezza per il più antico cantiere navale d’Italia sarebbe legata alla rottamazione delle grandi navi. Le cosiddette «carrette del mare» parcheggiate nei porti di mezzo mondo. Sarebbe necessaria una politica di incentivi per i grandi armatori, ma l’Unione europea si è già messa di traverso rispetto a questa ipotesi, ritenendola perturbatrice del mercato e della libera concorrenza. Ma c’è un altro aspetto, che fa cadere anche quest’ulteriore speranza di un futuro produttivo. «La rottamazione – spiega un quadro dell’azienda – non conviene perché presenta costi molto elevati. Dismettere una nave, anche di grandi dimensioni, è molto semplice: basta spiaggiarla in India o in Africa, dove i controlli delle autorità locali sono praticamente inesistenti. Poi, provvedono i cacciatori di ferro a smantellarla, e lo fanno a costo zero».

L’Unità 25.05.11