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"Indignados di Milano", di Federico Orlando

A Milano il comune dovrebbe preoccuparsi, insieme allo stato, di 111mila giovani disoccupati: tre anni fa erano 70mila. A Napoli di 146mila disoccupati, erano 123mila (Istat 2011). Ogni anno diecimila matricole universitarie chiamano Milano “la città proibita”. Lo dice il rettore del Politecnico, Giulio Ballio, 70 anni, docente in Costruzioni d’acciaio, che dal Corriere della Sera chiede a Pisapia e Moratti: cosa fareste per renderla “città amica”.
Altri “grandi vecchi” che di Milano sanno tutto, l’architetto Bellini, l’economista d’impresa Vitale, e la più giovane docente in marketing Annamaria Testa, pongono la stessa ed altre domande ai due candidati. Tutte girano intorno a cinque superproblemi: Expo, casa, giovani, lavoro, integrazione.
Giovani, casa, lavoro spesso sono tutt’uno. Incredibile, ma nelle risposte – fornite lunedì – della Moratti, il soggetto “giovani” non ricorre mai, salvo nell’aggettivo “giovani coppie” (per le case da assegnare, di cui Pisapia lamenta lo scandalo che ce ne siano 5.000 tuttora vuote). Al contrario, l’obiettivo del “ringiovanimento di Milano” e il connesso programma in funzione dei giovani occupano tutta la prima parte della risposta di Pisapia.
Meno male. Temevamo proprio che la sinistra si facesse ipnotizzare dalla violenza nera, che a Milano alcuni gruppi sociali riaccendono ogni due o tre generazioni; e che Pisapia dovesse perdere gran parte del suo tempo a ragionare col questore.
Sempre lunedì, il giornale della Confindustria, scavalcando il Censis, annunciava che entro i prossimi vent’anni gli under 35 diminuiranno in Italia ancora di 1,2 milioni di unità. E che il deserto dei giovani tuttavia non scioglie il nodo della disoccupazione e ha effetti disastrosi sul mercato della casa e sui consumi.
A Roma, un altro grande vecchio, lucidissimo pendolare fra università italiane e americane, Franco Ferrarotti, pubblica dall’editore Armando Armando La strage degli innocenti – note sul genocidio di una generazione, due edizioni in un mese. È valida – si chiede – la risposta degli indignados accampati a Puerta del Sol sotto la statua di Carlos III, per i quali destra o sinistra sono tutti brutti, sporchi e cattivi? O è valida la risposta degli indifferenti italiani, raccolti sotto la trinità nazionale famiglia-arrangiamento-lavoro nero?
Forse né l’una né l’altra, anche se c’è tanta dinamite negli uni e negli altri, e può scoppiare. Quando? In Italia, quando saranno prosciugati i risparmi dei nonni (questi vecchi) e dei padri anziani, sui quali vivono figli più giovani e nipoti. È il welfare improprio, appunto la famiglia, prima persona della trinità esistenziale, costruito coi risparmi di vite faticate e non schizzinose.
Naturalmente, né a Milano né altrove i candidati sindaci possono sbandierare nei loro programmi, il welfare domestico, l’arrangiamento che riduce i disagi, il lavoro nero che fornisce all’economia un po’ di mobilità contro l’irrigidimento sindacale. Infatti, Moratti incentra il suo welfare su tasse e tariffe basse e aiuti agli anziani bisognosi, Pisapia su giovani e nuove famiglie, occupazione giovanile e relative politiche culturali e strutturali, sul dialogo imprese-giovani fondato sul merito e sulla libertà dalla mafia e dalla raccomandazione, sulla valorizzazione degli anziani nei quartieri.
Finalmente una boccata d’aria a Milano, fra gli appelli di Berlusconi all’odio e il vaneggiare dei centri sociali; fra fantasmi di grandi moschee (a proposito, qualcuno sa che a Roma c’è la più grande moschea d’Europa e che a nessuno di noi, fascisti e razzisti inclusi, ha mai dato fastidio?) e accattonaggi di multe non riscosse e federalismo anagrafico delle strisce blu, cancellate “per i residenti”. A tanto può degradare una metropoli europea, se la destra cade nel panico.
Fossi in Pisapia, sottolinerei ancora in questi ultimi giorni il ruolo decisivo dell’educazione (familiare, scolastica, aziendale) nel predisporre i giovani a un’attiva collaborazione per il superamento della crisi, in cui il paese stagna da dodici anni. Non c’è bisogno di chiedere agli occupati di rinunciare a parte della loro “protezione”, che si riverbererebbe interamente sul welfare familiare fondato su quella protezione e sulla tutela del risparmio dei vecchi. C’è invece bisogno di spiegare a giovani e non giovani che il precariato nasce dalla velocità dell’innovazione tecnologica, che specie nelle piccole aziende blocca gli investimenti e quindi i contratti a tempo indeterminato.
Occorrerebbe superare anche in Italia, come in Usa, Olanda, Germania, la frattura fra colletto bianco e lavoro manuale, capire l’eguale dignità di tutti i lavori («Il presidente degli Stati Uniti e il portuale negro di New York – si diceva una volta in America – hanno pari dignità perché lavorano entrambi in cambio di un salario»), rivalutare attività agricole e artigianali e i lavori interstiziali tra manodopera e professioni, studiare le lingue per muoversi in Europa tagliando i cordoni ombelicali. Questo è il compito della politica nel mercato, che ha bisogno di mediazioni, in primo luogo per la formazione. Mandando per un po’ in vacanza le Gelmini e ricordando ai Tremonti che taglia oggi taglia domani arrivano le agenzie di rating a declassare il paese come “negativo” per i troppi “ingorghi” che attanagliano la politica.

da Europa Quotidiano 26.05.11