attualità, politica italiana

"Dai Caraibi all´esilio russo tre anni di ipotesi sulla "fine" del Cavaliere", di Filippo Ceccarelli

Niente ha acceso la fantasia più della conclusione della carriera di Berlusconi. Ora l´epilogo è a portata di mano con la normalità del voto
Tra sogni e incubi, si è arrivati all´attuale disfatta, reale, elettorale. Da parte di un avvocato a Milano e di un magistrato a Napoli, Paradossi mediatici e cortocircuiti elettorali: per Berlusconi è la fine, ma come andrà a finire Berlusconi?
Film, esilio, vignette, galera, marketing, pazzia, biologia, Bagaglino, Sacre Scritture, guerra civile, successione del sangue e isole sperdute nei mari tropicali: di tutti i possibili esiti pregiudiziali, di tutte le ipotetiche conclusioni almanaccate prima del tempo, niente ha più acceso la fantasia della fine immaginaria del Cavaliere. The end, game over o tilt?
Ora che l´epilogo sembra a portata di mano, e attraverso la normalità di una pacifica sconfitta elettorale, varrà giusto la pena di ricordare che sono quasi tre anni ormai che se ne parla, e sempre con il retropensiero di un´esercitazione vana e anzi di solito rivelatasi così avventata da risolversi nell´incredulità.
«Bye bye Berlusconi» si leggeva ieri pomeriggio su uno striscione a piazza del Duomo. Ecco, era proprio il titolo di un film satirico tedesco, per la verità anche piuttosto crudo, che culminava nel sequestro del Cavaliere e in un processo collettivo tenutosi on line. Era il 2005, e per ragioni di opportunità che non si fatica a ritenere prossime alla censura, la pellicola fu distribuita in Italia con il titolo Buonanotte Topolino.
Per il resto, grazie anche all´imprevedibilità del protagonista, il carnevale delle opzioni sulla fine di Berlusconi ha pure dato luogo a un´operetta del Bagaglino, Il Silvio sparito, in cui si mettevano appunto in scena la scomparsa del premier e la confusione nella quale piombava non solo il Pdl, ma l´intero Paese, cui non veniva risparmiato il suicidio di Emilio Fede.
L´opera di Pingitore precedeva di un anno circa il caso Ruby. Per l´esattezza cronologica, e un po´ anche a futura memoria: è dopo il disvelamento del bunga bunga e della nipotina di Mubarak che la macchina della fantasticheria terminale cominciò a macinare ipotesi tra commedia e dramma, generi che in Italia paiono meno incompatibili che altrove. Se perde alle elezioni, si diceva, se i giudici lo condannano in uno o nell´altro dei suoi quattro processi, Berlusconi chiederà asilo al suo amico Putin – ma prima degli sviluppi nordafricani si valutava anche il possibile intervento dell´amico Gheddafi. Intanto Di Pietro sognava, per il giorno della caduta, «sfilate di majorettes», mentre Bersani, meno americaneggiante nella sua speranza, temeva che il Cavaliere si apprestasse invece a una resistenza biblica: «Crolli Sansone con tutti i Filistei».
Chi siano questi ultimi era già più complicato indovinare. Forse gli alleati leghisti: e in questo senso viene in mente il Bossi che giorni fa ha bofonchiato: «Non ci faremo trascinare a fondo». Oppure forse i Filistei sono gli stessi berlusconiani. Ma qui la faccenda si complicava per l´eventualità che ci fossero dei berlusconiani stanchi di Berlusconi, con il che l´incessante sogno andava a sbattere su una fatidica data della storia italiana, il 25 luglio, e quindi sul crollo della dittatura fascista determinato dal voto favorevole all´odg Grandi nella seduta del Gran Consiglio, seguito dalla convocazione del Re e dall´uscita del Duce da Villa Savoia su autoambulanza con i carabinieri.
Assai più truce, ma onestamente impossibile da omettere in tale contesto, il richiamo a piazzale Loreto. Senza volerlo approfondire, e tanto meno oggi, si fa presente che il riferimento originario e anche il suo reiterato uso si devono a Fedele Confalonieri, certo in funzione esorcistica. A parziale e rasserenante riequilibrio vale la pena di considerare l´istanza esotica, per così dire, o caraibica, secondo cui estenuato da magistrati e nemici politici, il Cavaliere avrebbe mandato tutti a quel paese ritirandosi ad Antigua o in una delle sue mille ville.
Qui, secondo una delle sceneggiatrici del Caimano, avrebbe insediato una specie di Repubblica Sociale e Tropicale del berlusconismo; mentre secondo il giornale di area ciellina Tempi la questione si sarebbe posta in modo meno impegnativo, come si deduceva da una copertina in cui un Berlusconi allegro, vestito da turista, salutava i lettori sullo sfondo del mare blu: «Sapete cosa vi dico?». Per la storia e per la memoria: c´è sul tema della fuga esotica anche una canzone di Apicella, con il testo del premier: «Scappiam, scappiamo».
In questo quadro s´è pure scritto che avrebbe lasciato l´eredità politica alla figlia Marina; mentre nella peggiore delle ipotesi, «il fendente d´Atropo», Franco Cordero ha messo in conto il rischio che i servi e famigli l´avrebbero «tenuto in sella anche morto, come il Cid campeador, sapendo quale destino li aspettava appena lui fosse sparito».
E tra sogni ed incubi eccoci all´odierna disfatta: reale e normale, quindi elettorale. Subìta per giunta da parte di un avvocato e di un magistrato: se la fine autentica di Berlusconi sembra avviata, forse è proprio grazie alle fantasmagorie dell´immaginario che la sua consumazione è già molto più avanti.

La Repubblica 31.05.11

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“La magia perduta del Cavaliere”, di Mario Calabresi

E’ un leader radioattivo»: il soggetto è Silvio Berlusconi, la battuta politicamente scorretta è stata pronunciata al termine del G8 da un uomo di primo piano dell’amministrazione americana che viaggiava con Barack Obama. Una battuta utile a capire il disagio di molti leader stranieri di fronte a un presidente del Consiglio che li assillava con il suo incubo dei complotti giudiziari. Una battuta che può servire oggi per comprendere la fuga degli elettori dai candidati sponsorizzati dal Cavaliere.

Il voto di ieri segnala un vento fortissimo di cambiamento che, in modo molto più incisivo che nel primo turno, ha travalicato il valore amministrativo di queste elezioni.

Un vento che ci racconta come Silvio Berlusconi abbia perso la sua sintonia con la maggioranza degli italiani, con la pancia del Paese. Il premier, fin dai tempi della nascita delle televisioni private, è sempre stato un perfetto interprete degli umori e dei desideri degli italiani: li sapeva anticipare e cavalcare con un tempismo perfetto. Berlusconi ha promesso ai cittadini, consumatori prima e elettori poi, di soddisfare ogni loro desiderio, di garantire ogni loro libertà. Oggi questo meccanismo creatore di consenso appare rotto e non per colpa di qualche inchiesta giudiziaria, ma perché il Cavaliere non è riuscito a capire cosa passa in questi giorni nella testa e nella vita degli italiani.

In tempi di crisi, di difficoltà, di risparmi che si assottigliano e di giovani che non trovano lavoro, non si può pensare che il tema della separazione delle carriere o la riforma della Corte Costituzionale scaldino i cuori e riempiano le urne. E dire che Berlusconi lo sapeva bene: per anni ha promesso di non mettere le mani in tasca agli italiani e di abbassare le tasse, ora invece si era convinto che la maggioranza dei suoi concittadini fosse indignata come lui con la magistratura e la sinistra.

Così hanno vinto candidati nuovi e imprevedibili, candidati che sulla carta non avrebbero dovuto avere alcuna possibilità: troppo radicali, troppo di sinistra o anche troppo giovani e inesperti. Ma soprattutto hanno perso le forze di governo, perfino nelle roccaforti del Nord, dove si contava sulla tenuta di una Lega fino a pochi mesi fa in ascesa.

Come è potuto accadere? Per anni Berlusconi ha proposto una sua visione per il Paese mentre i suoi avversari hanno sempre reagito costruendo campagne contro di lui e demonizzandolo. Questa volta i ruoli si sono invertiti: a giocare contro è stato lui, da mesi assistiamo a campagne politiche e giornalistiche in cui gli avversari vengono trasformati in caricature e fatti a pezzi. Da questo punto di vista il trattamento riservato a Pisapia è da manuale, è stato dipinto come il leader degli zingari, dei rom e degli estremisti islamici, una campagna di una tale rozzezza da aver allontanato la maggioranza dei milanesi dal candidato sindaco del centrodestra. Una campagna così poco «positiva» da aver spaventato perfino i moderati, che cinque anni fa avevano garantito la vittoria a Letizia Moratti. E dire che per perdere Milano ci voleva davvero impegno: è stato fatto un capolavoro.

Si può pensare di essere credibili se si tappezza una città con manifesti che strillano: «La sinistra vuole i vigili solo per le multe, non per la sicurezza» o con la minaccia di vedere Milano trasformata in «Zingaropoli»? Era una campagna talmente grottesca da prestarsi a mille parodie che hanno spopolato su Internet. Il migliore spot per Pisapia sono state proprio le caricature fatte su di lui: i filmati e le canzoni che lo dipingevano ancora più estremista dei manifesti leghisti o berlusconiani.

L’errore finale, incomprensibile, è stato poi quello di andare dal Presidente degli Stati Uniti a parlargli dei suoi problemi giudiziari, a insultare un corpo dello Stato italiano. Pensate se il nostro premier, dopo aver chiamato i fotografi ed essersi messo in favore di telecamera, avesse strappato a Barack Obama un impegno sulla Libia per frenare il flusso di clandestini. Il suo gradimento non avrebbe che potuto giovarsene. Invece ha scelto di inseguire la sua ossessione.

Cosa succederà adesso è difficile da prevedere, certamente si è messa in moto una valanga dagli esiti imprevedibili. Potrebbe metterci un giorno, un mese o anche due anni ad arrivare a fondovalle e Berlusconi è persona resistente, tenace, capace di reinventarsi continuamente e che combatte fino all’ultimo. Ma il vero dato di ieri è l’incapacità di leggere cosa passa nella testa, nella pancia e nel cuore degli elettori. E quando un politico smarrisce questo fiuto e questa dote allora per lui suona la campana dell’ultimo giro.

La Stampa 31.05.11