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"Il premier lasci, ormai è alla paralisi poi riforma elettorale o si vada al voto", intervista a Pier Luigi Bersani di Goffredo De Marchis

Bersani al Pantheon festa PD dopo i risultati dei ballottaggi. Sudato e quasi senza voce. Dopo la festa al Pantheon, Pier Luigi Bersani continua a godersi il successo del centrosinistra ricevendo telefonate nel suo ufficio. Si toglie anche qualche soddisfazione personale. «Ricordo le risatine che accompagnarono il mio pronostico, tre mesi fa. Pisapia vince facile, avevo detto. Com`è finita?». Difende le sue metafore prese in giro da Crozza: «Nei bar mi capiscono quando dico che un maiale non è fatto solo di prosciutti».

Cosa significa il suo appello al premier per l`apertura di una fase nuova ?
«Che Berlusconi si deve dimettere. E che il Parlamento cerchi, in una fase molto stretta di poche settimane, la soluzione di una nuova legge elettorale. Dopo di che si va a votare».

Il Cavaliere dice che andrà avanti.
«Lo farà affrontando una verifica parlamentare dove dovrà certificare il ribaltone che ha portato a una maggioranza Berlusconi-Scilipoti-Bossi e con la sentenza drammatica delle amministrative sulle spalle. Elezioni che dimostrano inequivocabilmente due cose: la fine della coalizione di governo e l`impotenza della sua azione. Ma ha un`altra strada: si dimette, prende atto del nuovo scenario che si apre e lascia alle Camere la valutazione su una legge elettorale del tutto diversa dall`attuale. Noi siamo disponibili a un esecutivo solo per fare la riforma».

C`è questo margine ?
«Ci può essere da parte di qualche forza una riflessione costruttiva».

Sta parlando della Lega ?
«Certo, della Lega. Ma non solo. Nel Pdl frantumato e diviso vedo aree che mostrano disagio per la legge Calderoli. Noi siamo pronti a parlare con tutti. Ma il grado di probabilità che si realizzi questo scenario non è molto alto».

Già dopo il primo turno lei aveva difeso il bipolarismo italiano. Siete pronti a interrompere l`inseguimento del Terzo polo ?
«In questa fase mi rifiuto di parlare di terzi poli, di primi e di secondi. Osservo che nel fondo del Paese si è consolidato un assetto bipolare. Il che non significa che non ci sia lo spazio per una qualche elasticità. La nostra proposta di alternativa, avanzata più di un anno fa, non mette barriere a una convergenza delle forze progressiste e moderate. E’ una carta che giocheremo al di là del gioco politicistico delle alleanze».

Un nuovo amo a Casini o un avvertimento ?
«Un polo che si definisce moderato ha già votato ampiamente per il cambiamento e ha bocciato l`estremismo e l`avarizia politica dell`altro campo. Non significa che sono meno moderati di prima ma che percepiscono la fase. Se stiamo al merito delle questioni democratiche e sociali abbiamo la possibilità di creare un messaggio molto ampio. Credo che tutto il centrosinistra comprenderà questa esigenza. Perché dobbiamo mettere le paratie?».

Come dire: se non viene Casini verranno i suoi elettori. E il centrosinistra si presenterà con Pd Sel eI dv.
«L`importante, nel malaugurato caso che non ci sia un allargamento, è il messaggio che diamo agli italiani. Io sto largo nella proposta che è la chiave per vincere. Poi ci pensano gli elettori a premiarti».

Un fatto è sicuro: le primarie sono indispensabili. Ora le invoca persino il Pdl.
«Sono molto contento degli apprezzamenti di Quagliariello e Ferrara. Diciamo che noi siamo molto avanti con il lavoro. Le primarie sono state uno strumento formidabile in queste amministrative, ci hanno dato una spinta enorme se penso a Torino, a Bologna, a Milano ma anche a centri minori come Cattolica per esempio. Detto questo, si capisce anche che le primarie di per sé non possono essere un automatismo».

E per la scelta del candidato premier ?
«La sequenza che ho in testa da tempo prevede tre step. Primo: un Pd che si carica delle sue responsabilità al servizio della coalizione. Secondo: un centrosinistra che fa un programma di 10 punti per il Paese e lo propone a un arco di forze più ampio. Terzo: il meccanismo per la scelta del leader. Non salteremo nessun passaggio».

Aveva auspicato un` inversione di tendenza. E invece ?
«Invece è molto di più. Il centrodestra è sotto una valanga. Non mi aspettavo che avremmo superato lo straordinario risultato del 2006. Allora le vittorie furono 55, oggi sono 66. L`Italia sta cambiando nel profondo. E non è fatta solo di grandi città ma anche di centri piccoli e medi. Nei bar di quei paesini capiscono se dico che il maiale non è fatto tutto di prosciutti».

Non rischiate di fare gli stessi errori del 2006 quando alla fine la vittoria arrivò per un pelo e l`esperienza di quel governo fu disastrosa?
«So bene le cose che dobbiamo correggere. Il punto fondamentale è una rigorosa proposta di governo con un programma esigibile. Senza questo, tanto vale riposarsi».

Il Pd è stretto tra la sinistra di Pisapia e il giustizialismo di De Magistris?
«Sopportiamo anche le chiacchiere sul Pd strattonato dagli estremismi. Abbiamo avuto in realtà grandi risultati al primo turno. Su 29 città e province il candidato del Pd ha vinto in 24 casi. Negli altri 5 il partito si è messo a disposizione dei candidati, a cominciare da Pisapia. Abbiamo indicato la strada e ci siamo messi al servizio della coalizione».

Pisapia le è più simpatico di De Magistris ?
«De Magistris spunta da una vicenda più turbolenta e meno lineare come quella di Napoli. La differenza tra i due è molto semplice: Pisapia ha partecipato alle primarie e noi abbiamo introiettato il criterio che chi le vinceva bene a tutti. Tuttavia siamo stati leali anche con il candidato di Napoli».

Prodi era sul palco con lei ieri. Può essere il vostro candidato al Colle ?
«Finchè c`è Napolitano, un grande presidente, non parlo del Quirinale se non per sbarrare la porta a Berlusconi. Non è in dubbio la mia stima per Prodi ma qui mi fermo».

E sulla corsa a Palazzo Chigi? Ha fatto qualche metro in più la sua candidatura ?
«La risposta è sempre la stessa: io ci sono ma non mi metto davanti al progetto».

La Repubblica 31.05.11

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Bersani al governo: deve dimettersi. Nuova legge elettorale. «Noi alla guida in 66 città sopra i 15 mila abitanti»
di R. R.

ROMA— «Noi ci rivolgiamo al governo: la maggioranza che vinse le elezioni, non c’è più; punto secondo, abbiamo un governo paralizzato. È abbastanza per dimettersi? Berlusconi si dimetta e non tenga in ostaggio il Paese. C’è una riscossa civile, un risveglio civico e democratico» . Pier Luigi Bersani, leader del Pd, esulta per i risultati ottenuti nel ballottaggio delle amministrative. Lo fa durante una conferenza stampa e poi in un comizio romano organizzato in piazza del Pantheon, dove viene raggiunto sul palco da Romano Prodi: che lo abbraccia e resta al suo fianco, raccogliendo dal pubblico una lunga standing ovation. Bersani evoca ripetutamente le dimissioni: «Un leader che vuol bene al suo Paese non può far finta di niente davanti a cose di questo genere» e «bisogna mandarlo a casa e guarire dalla malattia, espellere le tossine che ha messo in tanti anni» ; però il segretario Pd non chiede che si vada subito a votare: «Dopo le dimissioni — spiega — in un sistema democratico la strada maestra sono le elezioni… Noi siamo pronti a considerare percorsi che consentano una nuova legge elettorale» . Stretto fra la consapevolezza che in città come Milano e Napoli la vittoria è andata a candidati che il Pd non voleva, le istanze di una rinvigorita ala sinistra la volontà di tessere nuove alleanze, Bersani dunque frappone un «percorso» tra il successo appena riscosso e una conta nazionale. E per le alleanze i messaggi sono chiari: Bersani richiede al centrosinistra di aprirsi a chi «vuole andare oltre Berlusconi» . A partire dall’Udc. Ma con richiami espliciti alla Lega: «Avete visto i risultati di Gallarate, di Rho, di Novara o di Arcore? Di quale Nord state parlando? Il centrosinistra ora governa a Torino, Genova, Milano, Trieste, Pordenone, Bologna… Dove pensate di andare? Non potete continuare a reggere la sedia dell’imperatore. Nel popolo leghista è scattato un meccanismo: trovare un’altra strada» . Perché tra Pdl e Lega «il matrimonio è in crisi» . Certo il presente segnala vittoria: «Nel 2006, il momento più alto per il centrosinistra, vincemmo 55 città sopra i 15 mila abitanti. Oggi ne abbiamo 66» . E Massimo D’Alema festeggia la crescita del Pd bollando come «deficiente» chi afferma il contrario. Ma intanto il futuro resta in fondo a un percorso.

Il Corriere della Sera 31.05.11

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Abbiamo smacchiato il giaguaro. Ora costruiamo un sogno con le gambe e ventre aterra sui referendum
Bersani: “Ora il premier si arroccherà. Sarebbe un disastro, ma spero nella Lega. Un governo breve solo per la legge elettorale”
di Carlo Bertini

Berlusconi dovrebbe dimettersi, ma credo purtroppo che si arroccherà e sarà un disastro per il Paese»: mentre scappa verso la sua auto dopo aver festeggiato in piazza con Prodi, Bindi, D’Alema e Veltroni, Pier Luigi Bersani ha un filo di sudore che gli imperla un volto affaticato e illuminato però dal sorriso dei grandi momenti. Sì, perché sebbene già da sabato avesse dato disposizioni per prenotare il Pantheon, una «valanga» così non se l’aspettava, al punto di lasciarsi andare «per la prima volta» alla commozione nell’abbraccio col Professore sul palco. E ora cosa succederà, il premier salirà al Colle? «Non credo, ma bisognerà vedere cosa farà la Lega perché il colpo è stato forte. E per saperlo dovremo aspettare tre giorni, perché quei partiti lì devono sentire i segnali che gli arrivano dal ventre più profondo del loro mondo. Certo quello che è successo al Nord è sorprendente, una roba così non me l’aspettavo proprio, non ci speravo. E’ vero che sul Nord ci ho lavorato molto, ma adesso voglio fare lo stesso al Sud che ci ha dato dei dispiaceri e qualche soddisfazione». Ma per provare a dare la stoccata finale al premier, Bersani si butterà da oggi «ventre a terra» nella campagna sui referendum, ben sapendo che un altro colpo ferale potrebbe arrivare il 12 giugno se si raggiungesse il quorum sul no al legittimo impedimento.
E quindi anche se in piazza urla a Berlusconi «dimettiti, così non si può andare avanti», il leader Pd sa che la guerra non è ancora vinta e che questo risultato andrà gestito con estrema cautela, sgombrando il campo da soluzioni che fino a qualche mese fa potevano esser prese in considerazione, anche se con le pinze: «Se ci offrono qualche spiraglio per fare una nuova legge elettorale con un governo di brevissima durata, discutiamo, ma poi si deve andare subito al voto che è la strada maestra». Quindi non ci sono margini per governissimi o esecutivi di unità nazionale? «Dopo una vittoria così non se ne parla proprio», sbotta Bersani, consapevole che la gente in piazza e i suoi alleati della sinistra vogliono sentir parlare solo di elezioni senza subordinate. D’altronde lo stesso Veltroni non può fare a meno di commentare con un «bene, benissimo, e ora di là saranno investiti da uno tsunami devastante…». Dunque tutti i problemi aperti nel Pd, come la primazia dei due candidati di Sel e Idv nelle sfide cruciali, oggi sono accantonati e l’unità interna è garantita, almeno fino a nuovo ordine. E dando uno sguardo alle bandiere di Sel, Idv, Pd, Verdi e alle facce rispuntate fuori dopo anni in piazza, la fotografia è quella di un cantiere del nuovo Ulivo più che di un Pd inorgoglito dal ruolo di asse portante. Non mancano volti noti, come Vincenzo Visco, Cesare Salvi, Franco Giordano o Pietro Folena, che rievocano la stagione dei governi dell’Ulivo. E anche questo è un segnale visibile di come questo successo possa intestarsi a un centrosinistra allargato, quello da cui Bersani vuole «ripartire», per poi continuare a rivolgersi ai moderati di Casini che ancora traccheggiano.
Quando alle sei del pomeriggio entra in maniche di camicia in sala stampa, sono due le cose che vuole dire con chiarezza: «Primo, noi governeremo per tutti, coi nostri valori e principi, ma dicendo chiaro che chi non ci ha votato non è un nemico». E il secondo punto, svolto nella forma di «un appello a Berlusconi», evoca la richiesta di quella «verifica parlamentare» chiesta dal Colle: «La maggioranza nelle Camere non è più quella uscita dalle urne e questi dati dimostrano che il centrodestra non ha più neanche la maggioranza nel Paese. Quindi riflettano e non impediscano che si apra una nuova fase alzando steccati».In piazza scalda gli animi: «Abbiamo smacchiato il giaguaro, ora il Pd ha una nuova responsabilità di costruire un sogno con le gambe per camminare». E la strategia resta la stessa. Perché per affrontare le manovre economiche promesse all’Europa è bene «partire da un centrosinistra che non si chiude: quando calerà il sipario purtroppo usciranno fuori i problemi».

La Stampa 31.05.11