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"La coalizione degli elettori", di Stefano Menichini

Ci premeva tenere Torino e Bologna, cercando solo di essere competitivi a Milano e a Napoli. Ricordiamocelo, in una pausa di questa serata di felicità, mentre scorrono le immagini di piazze piene non più di rabbia e indignazione, ma finalmente solo di gioia, orgoglio, soddisfazione, speranza. Ricordiamocelo, perché il significato profondo del voto è proprio in questo abisso fra le aspettative e il risultato. Fra la percezione del paese che c’era, e ciò che il paese andava maturando dentro di sé. Fra il prima e il dopo.
È una lezione per la politica, di tutte le parti, e per chi se ne occupa professionalmente come noi: che come massimo di ottimismo (e a qualcuno sembrò troppo) invitammo due mesi fa il Pd a credere di più nella gara di Milano.
Altroché Milano. Un risultato che già da solo era considerato di portata storica, e in grado di per sé di provocare un terremoto nella foresta pietrificata del berlusconismo, finisce quasi annegato dentro un’ondata molto più alta, molto più potente, che discende la penisola da Nord a Sud e la attraversa da Est a Ovest. Milano è un segnale potente, Napoli è una sorpresa travolgente, Trieste e Cagliari sono colpi incredibili. Ma la sconfitta affonda e fa male a Gallarate, a Rho, a Novara, a Pavia, a Domodossola, a Chioggia, ad Arcore, a Macerata, nei comuni del Lazio, a Crotone, come nel primo turno a Olbia.
Un tale spostamento di consensi – quasi un inedito nel bipolarismo bloccato della Seconda repubblica – autorizza a chiedere ad alta voce che nuove elezioni politiche al più presto registrino e diano rappresentanza parlamentare ai mutati rapporti di forza nel paese.
Ma c’è più di questo, nel voto di ieri. Si sciolgono quasi da sé due nodi che parevano inestricabili: quello di una maggioranza che va in crisi senza avere un ricambio (che ora invece c’è); e quello delle difficili alchimie per costruire una coalizione alternativa vincente.
L’hanno fatta gli elettori, la coalizione alternativa. Ai partiti rimane solo di scavare un alveo in grado di raccogliere e indirizzare l’ondata che chiede, anzi impone, il cambiamento. Nel momento in cui l’Italia si mostra per quello che effettivamente è, e per quello che pensa, c’è chi vuole rimanere cieco.
La reazione di Berlusconi e dei suoi appare obbligata. Ma è un obbligo che porta diritto alle prossime e più catastrofiche sconfitte. Nessuno può credere che il rigetto manifestato dagli elettori possa di nuovo convertirsi in consenso perché si torna a propinare loro lo stesso esausto carnet di riforme.
Le promesse suonano false e fastidiose.
La faccia di Berlusconi che le ripropone risulta irritante. L’accoppiata fra promesse e Berlusconi suscita poi reazioni esplosive: da questo punto di vista Napoli è il risultato più eclatante, dopo tre anni di presidio personale della città da parte del premier.
Da mesi il centrodestra alterna risibili impegni solenni a far ripartire l’economia e a fare le grandi riforme del fisco e della giustizia, con le più frequenti e sincere scivolate del premier e dei suoi ultrà contro i giudici comunisti, gli elettori senza cervello e il capo dello stato di parte.
Questa linea schizoide ha condotto al risultato di ieri. Il giudizio degli elettori è una bocciatura senza appello, che premia il centrosinistra perfino oltre i suoi meriti (e, appunto, oltre le sue aspettative).
Qualcuno può credere che Silvio Berlusconi possa incarnare una linea diversa, e con essa una stagione nuova del centrodestra? È un’illusione che non regge neanche alla prima serata di commenti. Anzi. Perseverando sul continuismo, il centrodestra spalanca al centrosinistra l’orizzonte di una vittoria politica nazionale ancora più larga, e di una fuoriuscita dall’epopea berlusconiana più “di sinistra” di quanto si potesse mai immaginare.
A questo proposito, bisogna dire che sono accecati anche coloro che continuano a ripetere, per ammorbidire la durezza del risultato, che «Berlusconi ha perso, ma il Pd non ha vinto». Qualcuno si spinge addirittura, ancora, a strologare sulle sconfitte parallele.
Questo davvero vuol dire non avere occhi per vedere e testa per intendere.
Il Pd in queste settimane ha compiuto un piccolo miracolo aiutato, come anche il vincitore di giornata Bersani confermerebbe, da un indispensabile tocco di fortuna.
A Milano si è identificato totalmente col candidato che pure lo aveva sconfitto alle primarie, se n’è fatto trainare e lo ha trainato, dando alla coalizione un baricentro frutto dell’apporto di tutti e nel quale tutti si sono potuti riconoscere. A Napoli, il rigetto di Lettieri (che pure per qualche nostalgico bassoliniano rappresentava una sirena) aiuterà il Pd a ricostruire se stesso praticamente da zero: un’opportunità che da solo non era in grado di procurarsi.
Coalizione spostata all’estrema sinistra? Diciamo piuttosto che adesso gli italiani farebbero vincere gli avversari di Berlusconi con qualsiasi formula essi volessero presentarsi, a patto che abbia contenuti evidenti di novità e di rottura col passato.
Eccola, la coalizione fatta dagli elettori.
Loro non si chiedono se pende troppo a sinistra o al centro, se contiene questo o quel partito, se ha il volto austero di Fassino, quello timido di Pisapia, quello spaccone di de Magistris. La vogliono credibile e forte per l’unico obiettivo che in questo momento li accomuna, in ogni regione d’Italia “Padania” compresa (anzi, a partire dalla “Padania”): girare pagina, farla finita con Berlusconi.
In un certo senso, la sfida a essere seria alternativa di governo si porrà solo se il centrodestra romperà da sé la continuità berlusconiana e si presenterà sotto altra veste. Altrimenti – non è una bella cosa da dire, ma stasera è la verità – il centrosinistra per vincere non dovrà fare neanche troppi sforzi riformisti.

da Europa Quotidiano 31.05.11

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Prodi: «Berlusconi perde, non capisce più il mondo»

Lui lo conosce bene, l’ha battuto due volte, nel ’94 e nel 2006.
Romano Prodi ha un lampo negli occhi a fessura se gli chiedi un’opinione sulla batosta del Cavaliere: «La sconfitta di Berlusconi è grossa.
Non ha capito dove va il mondo, pensa che il mondo debba adattarsi a lui e non lui al mondo». È sceso dal palco allestito in fretta e furia al Pantheon, accolto da una specie di ohhh liberatorio, quello della gente di centrosinistra che rivede un’icona dei bei momenti andati. Grandi applausi, Bersani lo abbraccia, gli cede la parola. A Europa il Professore spiega che «la sconfitta di Berlusoni può diventare la nostra vittoria a patto che non commettiamo i suoi errori». Non capire il mondo, appunto.
Bisogna saper leggere la realtà, non imporsi al di sopra di essa. Un indizio di come sia necessaria una certa “umiltà”.
L’immagine di un premier che non capisce cosa stia succedendo, se ci si riflette, è abbastanza inquietante: ma è la fotografia di questa tornata elettorale.
La gente lo acclama, lo saluta, inutile far finta che c’è chi spera in un suo clamoroso ritorno: «Ma no, io tifo per il centrosinistra ma ho preso l’impegno di non tornare alla politica attiva».
C’è poi un’altra «lezione» che il Professore vule dare alla “sua” gente, al “suo” centrosinistra: «Bisogna cominciare subito a lavorare per il programma.
Oggi si festeggia, ma non c’è molto tempo se vogliamo costruire un’alternativa vincente». Una “fretta”, quella di Prodi, che – senza volerne forzare le parole – nasconde una certa preoccupazione per una perdurante incompiutezza della proposta programmatica della coalizione.
Già, la coalizione. Un’altra indicazione: «Abbiamo perso dove abbiamo litigato.
Noi vinciamo se siamo uniti». La mente torna sempre lì, a quella litigiosità della coalizione che fu la malattia mortale dei suoi due governi. Ma più larga è, più aumentano i rischi di conflittualità interna. Qui Prodi si blocca: «Ah, non è compito mio dire come deve essere la coalizione, questo è responsabilità dei leader dei partiti». Il problema però c’è, e forse, con molta discrezione, il Prof darà qualche consiglio.

da Europa Quotidiano 31.05.11