cultura, politica italiana

"La TV del potere sconfitta dal voto", di Nadia Urbinati

Tra i tanti significati che queste elezioni amministrative dall´esito felice suggeriscono a lettori attenti è la sconfitta del centralismo monopolistico del sistema di informazione e propaganda. Già da qualche anno gli scienziati sociali hanno messo in luce la relazione tra l´incremento di potere che i media online sono capaci di dare ai cittadini e il declino dei big media. Alcuni paralleli si possono tentare che diano il senso di questa considerazione sugli effetti politici della tecnologia informatica. La Tv via cavo è giunta in Italia qualche mese fa, vent´anni o giù di lì più tardi che negli altri Paesi occidentali (e non). E vent´anni di un´opinione diramata da monopoli televisivi hanno corrisposto, anno più anno meno, agli anni dell´egemonia di Berlusconi. Il ritardo tecnologico del nostro Paese non è stato casuale. Nemmeno casuale è, per converso, il nesso tra innovazione tecnologica e liberalizzazione delle opinioni. E, per fare un passo oltre, tra l´uso capillare della comunicazione tele-online negli anni più recenti (quella che ha portato Internet nelle nostre tasche) e la vittoria elettorale delle forze di opposizione nelle recenti elezioni amministrative. Un assaggio degli effetti politici della tecnologia decentrata della comunicazione si era avuto nel gennaio scorso, con il movimento democratico del Cairo. E un altro parallelo vale la pena di mettere in luce, quello tra i miliardi spesi dalla candidata Moratti e i pochi soldi spesi dal candidato Pisapia. Il centralismo dei sistemi di propaganda e creazione delle opinioni richiede un apparato costoso; i media online, decentrati e auto-gestiti dagli attori stessi, è low cost, con ricadute di straordinaria importanza per la democrazia. Infine, a completare il quadro, l´ultimo parallelo, anch´esso gravido di riflessioni politiche: lo scollamento fra il sistema di monopolio e ciò che i cittadini hanno in testa o pensano e vivono e, per converso, il legame stretto e quasi immediato che la comunicazione via rete consente.
Non c´è nulla di nuovo nel riconoscimento che il monopolio si autocondanni alla sconfitta: in questo, siamo tutti figli di Adam Smith. È un fatto fisiologico, poiché controllare e filtrare le informazioni genera l´effetto indesiderato di far sì che chi controlla conosce solo parzialmente come stanno le cose. Il monopolio crea un mondo monocromatico del quale muore perché incapace di intercettare e tollerare le conoscenze che gli potrebbero invece servire per fare scelte oculate ed efficaci. Generare un mercato protetto è controproduttivo per chi lo genera, non solo per chi ne è vittima. Per converso, la diversità è quanto di più complicato da essere digerito per un sistema di centralistismo monopolistico. In questo senso, il monopolio è forte nell´imporsi contro avversari piccoli e minori, ma diventa svantaggiato nel corso della gestione del suo dominio perché espelle la diversità, la quale comunque continua a esistere. Il monopolio è così autoreferenziale da non riuscire a comprendere il nemico. È debole perché troppo forte; perde perché ha vinto troppo.
Ora, il sistema di duopolio mediatico che scelte politiche stolte e clientelari hanno contribuito a edificare nel nostro Paese a partire dal 1984 ha mostrato tutta la sua vulnerabilità poiché gli sfugge totalmente il mondo variegato, plurale e decentrato della vita sociale, il quale, tenuto fuori dalle televisioni nazionali, si manifesta liberamente attraverso la rete. Si è detto in questi giorni che Berlusconi ha perso altre volte in passato e poi è tornato a vincere. Ma occorre tenere conto del fatto che nelle volte passate non c´erano i media online e, soprattutto, la tv via cavo. Insomma, l´egemonia politica di Berlusconi si è costruita attraverso il controllo centralizzato dell´informazione e il blocco dell´innovazione tecnologica e declina insieme alla fine di questo controllo e di questo blocco.
In un´intervista a Barack Obama in visita in Inghilterra riportata su Repubblica alcuni giorni fa, il presidente americano, che vinse a dispetto di tutti i sondaggi e con lo stupore dei suoi avversari proprio grazie alla rete, offre alcuni suggerimenti alle sinistre europee perché tornino a vincere: un programma per il Paese che parli alla classe media e a chi è in difficoltà a causa della crisi ma che non ispiri una cultura del lamento e del risentimento bensì stimoli a guardare al futuro e trasmetta ottimismo; alcune idee programmatiche chiare che tutti possono comprendere e trasmettere a loro volta; parole altrettanto chiare che riescano a rendere quelle idee immediatamente comunicabili; e infine una macchina da guerra che operi attraverso il web e sia in grado in tempo reale di ribattere alla propaganda avversaria del gossip. In sostanza, tutti i consigli per vincere insistono sulla forma comunicativa diretta e online: un mezzo elastico, decentrato, capace di raccogliere la diversità, e reattivo a regie propagandistiche di tipo stalinista.
Certamente, come tutti i mezzi, i media online possono essere usati per buone o pessime cause. Non è appunto che un mezzo. Ma è alla natura di questo mezzo che occorre prestare attenzione: alla sua resistenza ad essere centralizzato e monopolizzato. Si può dire, per ritornare al discorso con il quale avevamo iniziato queste riflessioni, che la tecnologia è un volano di libertà e di liberalizzazione. In un bell´articolo di qualche giorno fa, Stefano Rodotà commentava su questo giornale le inquietanti dichiarazioni del presidente francese Sarkozy sull´esigenza di limitare la libertà della rete. Il controllo del mezzo di comunicazione che viaggia fuori dai palinsesti televisivi sarà d´ora in avanti il rischio più grave che la comunità democratica dovrà fronteggiare. Questa sarà molto probabilmente la sfida di domani. Ma oggi, in questo fine maggio del 2011, possiamo almeno convenire che un monopolio, quello della televisione tradizionale, è stato sconfitto.

La Repubblica 02.06.11