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"Le stragi dimenticate", di Lapo Pistelli

È difficile per un dirigente politico dover scegliere se affrontare la tragedia dell’affondamento del barcone di migranti al largo di Kerkennah con il realismo pessimista di chi analizza una sequenza di fatti o con la determinazione ideale di chi intende cambiare la realtà. È difficile soprattutto trovare la chiave per legare la durezza dell’oggi alle condizioni per un domani diverso.
Il canale di Sicilia inghiotte da anni un tributo assurdo di vite umane che cercano in Europa un futuro che è impossibile costruire nei paesi di origine. Barconi improvvisati, manovre maldestre, gesti inumani degli scafisti hanno alimentato questa tomba d’acqua anche prima delle rivoluzione arabe, spesso nella indifferenza dei media e nello scarico di responsabilità fra i paesi rivieraschi.
Una situazione insostenibile che i fatti del 2011 hanno moltiplicato.
Da un lato, il collasso delle autorità preposte al controllo delle frontiere, dall’altro la gestione cinica di una pressione migratoria usata come strumento di ricatto e di conflitto hanno intensificato una pressione verso la quale l’Europa, la politica restano ostinatamente sorde e cieche.
Ogni strage genera una discussione fatua, un fiorire di dichiarazioni e di editoriali, che restano però lettera morta rispetto alla necessità di approntare in tempi certi e rapidi gli strumenti adatti per gestire questa pagina della storia.
Poi la discussione cala d’intensità, l’attenzione volge altrove in attesa della prossima strage degli innocenti. L’affondamento di Kerkennah non è il primo e non sarà purtroppo l’ultimo.
Con la stagione che si avvicina all’estate aumenta il numero dei trasporti e il rischio che gli scafisti sono disposti a sostenere nell’aspettativa del mare calmo e del maggiore guadagno.
Ma il calendario europeo non lascia intravedere realisticamente nuove occasioni per discutere soluzioni o nuovi strumenti in un tempo breve.
È proprio questo pessimismo dell’analisi che impone alla politica di scuotere la polvere dall’ipocrisia nazionale ed europea.
L’Europa è un continente invecchiato che ha bisogno, anche per ragioni di mera razionalità, di aprirsi ad una maggiore e ordinata immigrazione.
L’Europa ha il dovere di mostrare una decente coerenza fra le parole di sostegno esibite davanti ai sommovimenti della sponda sud e la capacità di sostenere gli inesorabili squilibri generati da quegli eventi. L’Europa deve assumere l’imperativo di garantire corridoi umanitari per assicurare alle vittime dirette e indirette dei conflitti in corso una possibilità alternativa, anche se questo impone di mutare strategia in Libia e nei paesi contermini. La giaculatoria sulla giusta prospettiva di nuove condizioni di sviluppo in loco per dopodomani non ci esimono dalle emergenze di oggi.
Una Tunisia in transizione non sta battendo ciglio mentre ospita nei propri campi 300.000 profughi provenienti dalla Libia e da altri paesi. In Italia – per limitarsi al nostro paese – la gestione di un numero pari ad un decimo di quello tunisino ha alimentato una campagna elettorale cattiva e perdente ed una risposta non all’altezza di un paese del G8.
È sicuramente indispensabile coinvolgere l’Europa. Difficile essere un partner dell’Africa in subbuglio se non si è disponibili a mettere sul piatto risorse per la cooperazione, apertura dei mercati per il commercio e aumento delle quote per l’immigrazione, ma solo buoni e paternalistici consigli. Ma è anche difficile, se si è il paese d’ingresso del condominio europeo, convincere e coinvolgere gli abitanti della casa con qualche comunicato d’agenzia dettato a caldo dopo le tragedie e negli scampoli di tempo rilasciati da una crisi di governo virtuale.
Per stare al passo di questa nuova storia mediterranea serve un altro ritmo, un’altra iniziativa, un modo non querulo di dialogare con l’Europa, una diversa visione e passione. Lo dobbiamo alla razionalità oggettiva dei fatti di cui si alimenta la politica e lo dobbiamo alle vittime di Kerkennah.
Tutto questo non lo può fare, non lo sa fare il governo in coma politico che oggi sopravvive a palazzo Chigi.

da Europa Quotidiano 04.06.11