attualità, lavoro

"Contratti, scontro aperto sul nodo delle deroghe", di Roberto Giovannini

Sembra una questione di lana caprina e poco comprensibile, ma in realtà la partita aperta dalla nota del vicepresidente di Confindustria Alberto Bombassei – in risposta alle perplessità della Fiat di Sergio Marchionne sull’utilità dell’adesione del Lingotto a Confindustria – rischia di incendiare di nuovo il fronte sociale e sindacale. Ecco in sintesi, la proposta di Bombassei: contratti aziendali approvati a maggioranza dai lavoratori, pienamente vincolanti per tutti i sindacati, e soprattutto alternativi ai contratti nazionali di categoria validi per tutto un settore industriale. Il tutto blindato da una norma di legge approvata dal Parlamento. «Le scelte di Confindustria aveva scritto Bombassei – sono ispirate all’unico criterio di creare le migliori condizioni perché le aziende possano essere competitive oggi». Un’idea che ha lo scopo di mantenere tutti (una Fiat sempre più riluttante compresa) sotto l’egida di Confindustria. Ma che sta sollevando molte tensioni. Se ogni azienda può stipulare un contratto aziendale diverso e specifico – molti si chiedono – allora a che serve Confindustria e i suoi contratti nazionali, peraltro ancora graditi alla maggioranza degli associati, poco lieti di negoziare in azienda col sindacato?

«È chiaro che si tratta di un’idea sbagliata – replica da Trento il segretario della Cgil Susanna Camusso – noi continuiamo a pensare che il contratto nazionale è il punto di riferimento generale per le tutele e poi bisogna incrementare la contrattazione di secondo livello per le questioni specifiche». Per il segretario della Cgil si tratta di un paradosso per la confederazione degli industriali. «Se passa l’idea che ci sia una legge sulle modalità di contrattazione – ha affermato – spero che poi il vicepresidente raccolga le firme per sciogliere Confindustria, perché non si capirebbe più quale senso avrebbero le rappresentanze delle parti sociali». Il nodo sul tappeto è soprattutto quello della rappresentanza aziendale, molto caro alla Cgil. «Per definire la rappresentanza – ha aggiunto Susanna Camusso – bisogna misurare e certificare gli iscritti delle singole organizzazioni, poi incrociare questo dato con l’elezioni delle rappresentanze sindacali e della loro efficacia». Su questo si è avviato un confronto con i leader di Confindustria, Cisl e Uil, ma senza passi avanti concreti.

A Bombassei ribatte anche il segretario Cisl Raffaele Bonanni che pur concordando sul fatto che «un accordo firmato dal 50% più una testa, quindi dalla maggioranza del sindacato, deve avere un’applicabilità imprescindibile» non condivide la definizione delle regole per via legislativa.

«Penso che sia da evitare la legge, bisogna arrivare – dice invece – a un avviso comune tra le parti». Peraltro, la Cisl ma soprattutto la Uil – difficilmente possono accettare la cancellazione di uno dei due livelli contrattuali, ovvero quello nazionale. La proposta di Bombassei non convince nemmeno il Pd e l’Idv. «Dire oggi che gli accordi aziendali possono sostituire i contratti nazionali è pura demagogia – afferma Maurizio Zipponi, responsabile Lavoro dell’Idv perchè il numero di aziende che, dal 2009, hanno fatto accordi è pari al 2%». Cesare Damiano del Pd accusa il vice presidente di Confindustria di fare uno «sforzo per tenere insieme capra e cavoli», cioè il modello contrattuale basato su due livelli (nazionale e decentrato) e quello basato solo sul contratto aziendale. «Una simile innovazione – afferma rappresenta uno strappo e non un semplice e auspicabile riequilibrio a favore di quello decentrato».

La Stampa 06.06.11

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“Strappo sul contratto nazionale Confindustria nella bufera. Cgil e opposizione: balcanizzazione delle relazioni industriali”, di Luisa Grion

Fiat, Confindustria e il sempre più difficile scontro sul peso dei contratti nazionali e aziendali. La polemica, già nell´aria da tempo, è pronta ad esplodere e la via d´uscita che sabato scorso l´associazione delle imprese ha provato ad indicare non ha fatto che gettare benzina sul fuoco, suscitando dure reazioni nell´opposizione e nel sindacato.
Si sa che Sergio Marchionne – amministratore delegato di Fiat e Chrysler – per far pesare la valenza del contratto aziendale (debuttato nella newco di Pomigliano) su quello nazionale, sta pensando di uscire da Confindustria. Alberto Bombassei, vicepresidente degli industriali ha provato a trovare una «quadra», ma il suo intervento invece che placare ha alzato il tiro delle proteste. Fiat può stare il Confindustria, ha affermato, «pur avendo un contratto sostitutivo rispetto al contratto nazionale di lavoro». Bombassei si è detto pronto a definire in proposito «un accordo con le organizzazioni sindacali che possa poi essere recepito dal legislatore». Di fatto un´apertura alle richieste della Fiat che vorrebbe che i contratti stipulati a maggioranza siano vincolanti per tutti.
Ma la posizione di Confindustria non è piaciuta affatto al Pd. «Bombassei cerca di tenere assieme capra e cavoli» ha detto Cesare Damiano, capogruppo in Commissione Lavoro. «Una simile innovazione rappresenta uno strappo con la situazione esistente: è giunto il momento di tentare la strada di una nuova regolazione delle relazioni industriali , altrimenti, procedendo per strappi successivi, si andrà verso la balcanizzazione e verso il depotenziamento della rappresentatività delle grandi associazioni d´interesse, siano esse a tutela del lavoro che dell´impresa».
Dura reazione anche dell´Italia dei Valori : «Dire oggi che gli accordi aziendali possono sostituire i contratti nazionali è pura demagogia – ha detto il responsabile per il lavoro Maurizio Zipppni – perché il numero di aziende che dal 2009 hanno fatto accordi è pari al 2 per cento. Ciò significa che Bombassei ambisce a rappresentare il 2 per cento delle imprese». Quella espressa dal vicepresidente di Confindustria è «un´idea sbagliata» anche per la Cgil. «Noi continuiamo a pensare che il contratto nazionale sia il punto di riferimento generale per le tutele e che bisogna poi incrementare la contrattazione di secondo livello per le questioni specifiche – ha detto la leader Susanna Camusso – Se passa l´idea che ci sia una legge sulle modalità di contrattazione spero che poi il vicepresidente raccolga le firme per sciogliere Confindustria perché non si capirebbe più quale senso avrebbero le rappresentanze delle parti sociali».
La partita è fondamentale, anche perché la questione dei contratti si sposa a quella sulla necessità di «pesare» la rappresentanza sindacale, tema sul quale la stessa Confindustria chiede una legge. Ma l´associazione è tesa ad ottenere anche la riforma fiscale. Per dare maggiore peso alla richiesta gli industriali hanno messo nero su bianco i numeri dello «svantaggio» rispetto agli altri paesi europei. Da uno studio in collaborazione con Deloitte risulta che, per una società per azioni «l´imposizione fiscale in Italia è del 58 per cento, contro il 43 della Germania, il 40 del Regno Unito e il 29 della Spagna». Peggio di noi solo la Francia (60 per cento).

La Repubblica 06.06.11