attualità, cultura, scuola | formazione

"I cyber-bulli della scuola la paura corre su Internet", di Vera Schiavazzi

Un controllore anti-bulli in ogni scuola e nuove linee guida per prevenire la violenza tra bambini e ragazzi, e riconoscere la realtà: il bullismo inizia alla scuola materna, la soglia per studiare il fenomeno deve scendere al di sotto degli otto anni, dov´era stata fissata fino ad ora. Contemporaneamente, osservatori regionali e Polizia postale diffondono nuove “istruzioni per l´uso” a bambini e ragazzi vittime del cyber bullismo, e ai genitori che sempre più spesso denunciano e cercano di “ripulire” l´immagine dei figli, cancellando per sempre dal web nomignoli crudeli, calunnie, immagini “inappropriate”. Un´impresa, del resto, quasi impossibile. Ma da dove si comincia? Pediatri e psicologi infantili sono d´accordo. L´incapacità di riconoscere l´altro nasce a casa, fin dalla prima infanzia, da genitori troppo buoni o troppo distratti, e continua all´asilo, dove spesso si “lascia passare” il primo gesto violento, tirare una matita al compagno, poi il secondo (tirare tutta la scatola), infine il terzo (“mangia la punta della matita se no ti picchio”). Dopo, è difficile tornare indietro. È un errore – dice Luca Bernardo, pediatra, fondatore del primo ambulatorio anti-bulli al Fatebenefratelli di Milano (ora anche sui social network col nome di Zang) e presidente della commissione ministeriale sul fenomeno istituita al Miur – anche perché in questo modo si coltiva l´intolleranza. In ospedale da noi sono arrivati bimbi di quattro o cinque anni feriti in modo serio da compagni di scuola, e quasi sempre si trattava di piccoli percepiti come “diversi”, anche solo per il colore della pelle. I bambini di quell´età non sono consapevoli della propria violenza, ma assorbono tutto quello che sentono dagli adulti. Attenzione, quindi, alle parole che si usano in casa, dalla nazionalità al sesso, dall´aspetto fisico alla disabilità».
Bernardo sta lavorando con altri colleghi a un nuovo codice che unifichi la percezione del fenomeno, da Nord a Sud, dalle scuole “bene” a quelle di frontiera. «Come mai – si chiede Bernardo – quando telefoniamo a certe scuole di Milano nell´ambito dei nostri monitoraggi ci sentiamo dire “da noi non capita niente del genere”? È urgente definire che cosa intendiamo parlando di bullismo, evitare ogni equivoco tra eccessi di rimozione e altri di ipersensibilità. Per questo vogliamo creare un referente anti-bullismo per ogni scuola». Dall´altra parte delle Alpi, un maestro della psicologia infantile come Aldo Naouri (ora nelle librerie italiane col suo “Piccoli tiranni (non) crescono” per Codice Edizioni) è deciso: «Se consentiamo al nostro bambino di quattro o cinque anni di essere violento non solo non lo educhiamo, ma lasciamo che in lui cresca un´angoscia che più tardi lo porterà a essere un bambino e un ragazzo difficile. La violenza deve essere punita, con le parole e con gli atteggiamenti in casa e a scuola. L´aumento del bullismo non è solo collegato alla maggiore sensibilità e alle denunce. In Francia, tra le prime frasi che un bambino impara alla scuola materna e ripete di continuo c´è “j´attaque”, che vuol dire “sto per picchiarti, sto per saltarti addosso…”. Ma i piccoli bulli dell´asilo, nonostante tutto, crescono, e qualche volta passano dalla fase del gioco a quella della molestia telematica, lo stalking da Facebook che può “macchiare” irreparabilmente l´immagine dei compagni, delle compagne soprattutto. «Fino a dieci, undici anni, i ragazzini giocano, agiscono perlopiù in gruppo – racconta Cristina Bonucchi, psicologa della Polizia di Stato che analizza i crimini informatici – ma da quell´età in poi dal gioco si può passare alla persecuzione personale. È vero, occorre più informazione e sensibilità nelle scuole, ma serve anche una percezione corretta degli strumenti più efficaci: i grandi operatori come Facebook o You Tube hanno interesse a combattere i possibili reati commessi attraverso di loro, dunque rispondono in tempi rapidi alle segnalazioni degli utenti su contenuti scorretti, rimuovendoli. La denuncia alle forze dell´ordine, naturalmente, va fatta, ma occorre considerare che deve essere affidata a un adulto e che anche il titolare della connessione internet è quasi sempre un adulto. Meglio prevenire, andando nelle scuole e combattendo sul nascere certi fenomeni come la creazione di gruppi Facebook generici, “tutti contro lo scemo”, che sono perfettamente riconoscibili da chi è vittima del fenomeno ma non configurano alcun reato fino a quando non vengono messi in rete nomi, cognomi, immagini».
«Al nostro sito – spiega Bernardo – possono accedere tutti i ragazzi che hanno problemi di bullismo, e consultarsi tra loro: sta funzionando molto bene e i partecipanti sono già centinaia. Allo stesso tempo però bisogna chiarire che il cyber bullismo è un reato da non prendere alla leggera, proprio come quel primo spintone dato troppo forte all´asilo, che deve essere sanzionato anche davanti ai genitori quando vengono a prendere il proprio figlio: in caso contrario, nella testa del bambino passerà l´idea che certe cose possono restare nascoste».
L´Italia, tuttavia, non ha ancora immaginato alcuna forma di legge sul fenomeno, a differenza della Svezia: «Nel 1998 abbiamo creato la Polizia postale che funziona molto bene – dice Anna Serafini, senatrice del Pd e vicepresidente della commissione bicamerale su infanzia e adolescenza – Dopo, però, il gruppo di esperti che avrebbe dovuto dedicarsi al problema non si è più riunito. Senza un programma specifico con indicazioni chiare per i dirigenti scolastici e le famiglie resterà sempre una diversità tra scuole dove il bullismo viene denunciato e altre dove resta sommerso. Fino al punto che ci sono famiglie che intentano azioni legali contro le scuole perché qualcuno si è girato dall´altra parte mentre il figlio subiva atti che lo hanno danneggiato, a cominciare dai risultati scolastici».
Ora che il bullismo ha ricevuto un nome, è stato riconosciuto e classificato, occorrono idee più precise e efficaci per affrontarlo. In caso contrario, e in un paese dove l´atteggiamento “protettivo” dei genitori sui figli è ancora troppo forte, il rischio è quello di nascondere la polvere sotto il tappeto. Incoraggiando così quello che Naouri chiama “contagio”: «Non è un caso – dice – se il bullismo femminile che tanto ci inquieta cresce soprattutto al liceo, quando le ragazze iniziano a imitare i comportamenti, sessuali e non solo, dei maschi. E non è vero neppure che il fenomeno sia in crescita soltanto perché oggi viene denunciato. Un tempo i bulli esistevano già, erano i due o tre ragazzi “cattivi” di ogni scuola, ora sono troppi». E precocemente tecnologici: se è vero che a quattro o cinque anni si è tentati di imitare gli eroi dei cartoni, è altrettanto vero che a dieci o undici ci si iscrive, grazie a una piccola bugia, ai social network. «E in un mondo dove contano gli amici che hai su Facebook – conclude Luca Bernardo – il danno che può provocarti chi te li fa perdere e ti diffama per sempre è incalcolabile».

La Repubblica 07.06.11

******

“COMPASSIONE E RISPETTO ECCO I PRIMI VALORI DA INSEGNARE AI FIGLI”, MICHELA MARZANO

Sono esclusi dai giochi. Insultati e maltrattati dai compagni. Capri espiatori di una violenza talvolta invisibile, ma quotidiana che spesso finisce su Internet. Sono soli e bisognosi di aiuto. Come la giovane Alye, su YouTube. Che ha utilizzato una serie di cartoncini per urlare in silenzio, davanti alla telecamera, tutta la sua disperazione. “Brutta”, “Grassa”. “Mostro”. “Prostituta” Perché non passava giorno senza che qualcuno la insultasse.
Il fenomeno del “bullismo”, con la sua deriva multimediale, è ormai tristemente noto. Non solo in America, in Inghilterra e nei paesi scandinavi, dove una serie di misure preventive sono state già prese a partire dagli anni ´80, ma anche in Italia, in Francia, e negli altri paesi europei. Come reagire? In Francia, il ministro della Pubblica istruzione, Luc Chatel, ha organizzato in maggio le prime Assises nationales sur le harcèlement à l´école. Un rapporto dell´Unicef, pubblicato in aprile, aveva mostrato che un bambino su dieci, a scuola, è vittima di violenze verbali e fisiche. E che le vittime portano con sé, per sempre, le cicatrici di questi insulti e di questi atti di violenza subiti quando erano ancora troppo piccole per difendersi da sole.

Ormai sono veramente pochi coloro che continuano a pensare che le angherie e le prepotenze possano forgiare il carattere dei bambini, e che imparare a difendersi da soli faccia parte di quelle esperienze necessarie per poi affrontare meglio la vita. Ma basta consolare le vittime esortandole a “non mollare”, a “non curarsi dei carnefici” e ad andare avanti per la loro strada? Non sarebbe meglio interrogarsi sul “perché” di questi gesti e su ciò che ci rivelano della società contemporanea?
I bambini e gli adolescenti possono essere crudeli. Anche quando tutto comincia un po´ per gioco. Quando il bulletto di turno vuol sentirsi più forte degli altri e cerca di attirare l´attenzione generale prendendo in giro un compagno o una compagna di scuola. Quando gli amici lo seguono per divertirsi anche loro. Quando i più fragili e i più vulnerabili cominciano ad aver paura e diventano vittime di un meccanismo perverso che, se non viene interrotto, non smette di autoalimentarsi. Ecco allora che dalle derisioni si passa alle umiliazioni, dalle minacce alle aggressioni… magari filmate col cellulare e poi trasferite su Internet, dove con un semplice “clic” si può poi guardare di nuovo tutto e ridere ancora. Tanto nessuno saprà mai chi ha fatto circolare questi video (che per anni restano su Google) o chi utilizza veramente Facebook per diffondere dubbi, falsità o calunnie. Anche se, col passare del tempo, sono sempre più numerosi quelli che non si divertono affatto. Bambini e adolescenti che si isolano, si vergognano, non dormono la notte, pensano di farla finita con la vita…
Molti adulti continuano a pensare che l´universo dell´infanzia è un mondo fatto di innocenza e di gioco. Che la compassione di fronte alle sofferenze è un sentimento naturale. E che anche quando qualcosa non funziona, col tempo tutto si rimetterà a posto. Peccato che, come ci spiega Freud nei “Tre Saggi sulla teoria sessuale”, da bambini non si ha ancora la capacità di immedesimarsi negli altri e di compatire la loro sofferenza. Le famose “dighe psichiche”, le tre barriere essenziali che strutturano ognuno di noi permettendoci di trovare un equilibrio di fronte alla violenza dei nostri istinti, non ci sono ancora. E spetta agli adulti insegnare ai più piccoli il significato del pudore, del disgusto e della compassione. Soprattutto la compassione… quella che dovrebbe spingere ognuno di noi ad essere sensibile di fronte alle ingiustizie, a ribellarsi davanti al dolore inutilmente inflitto, e a non fare mai agli altri quello che non vorremmo che ci fosse fatto… Come fare, però, ad insegnare la compassione in un modo in cui la crudeltà viene banalizzata, in cui si impara a farla franca e a restare impuniti e in cui i ragazzi, lasciati soli davanti ad Internet e ai videogiochi, confondono sempre di più la realtà e la fiction? Nell´era di Facebook tutto si virtualizza. È difficile capire che i propri gesti possono avere delle conseguenze irreparabili. Che la sofferenza non si cancella come una frase scritta al computer. E che il rispetto e la civiltà sono valori molto fragili.
La barbarie, diceva Freud, è un “tratto indistruttibile” della natura umana, una tentazione sempre presente in ognuno di noi. Compassione ed empatia non sono innate. Se non si prende la pena di insegnarle ai nostri figli e ai nostri alunni, sensibilizzandoli alla sofferenza degli altri, spiegando loro la conseguenza di certi gesti, non si potrà fare niente contro il bullismo. Alcuni bambini sono semplicemente incapaci di rendersi conto di quello che fanno. Di capire che potrebbero trovarsi loro al posto delle vittime. E che queste vittime non si divertono e soffrono veramente. Perché non sono come gli avatar di un videogioco, ma bambini in carne ed ossa come loro. Il primo compito dei genitori e degli insegnanti non è d´altronde proprio di spiegare ai più piccoli come funziona la realtà?

La Repubblica 07.06.11