attualità, cultura

"Missione compiuta", di Curzio Maltese

Fine della telenovela, ma non lieto. Santoro lascia la Rai per La Sette. Accordo consensuale, con la firma di Lorenza Lei, che in un mese è riuscita dove l´incapace Mauro Masi aveva fallito. Berlusconi l´aveva anticipato, anzi ordinato, e sarà finalmente contento. In fondo, la chiusura di «Annozero» è il primo obiettivo centrato dal suo governo in tre anni. Gli italiani, popolo lamentoso, avrebbero magari preferito l´occupazione giovanile o la favoleggiata riduzione delle tasse, anche per chi le paga, ma non stiamo a spaccare il capello. Questa è una vittoria politica di Berlusconi, l´unica di questi tempi. Ed è una sconfitta enorme per la Rai, quindi anche una vittoria aziendale.
La tv di Stato perde in un colpo uno dei suoi professionisti migliori, il programma d´informazione più seguito, il più ricco di ricavi pubblicitari, sei milioni di spettatori destinati a rimpinguare il boom de La Sette e qualche decina di migliaia di cari abbonati al canone, buoni ma non fessi. D´altra parte, ormai La Sette con il tg di Mentana, la satira popolare di Crozza, l´informazione di Lerner e ora di «Annozero», si candida come il vero servizio pubblico. Quello che fornisce perfino le date esatte per andare a votare. Nella serata lasciata libera da Santoro si potrebbe però provare a rilanciare Sgarbi, fare un «meglio di Radio Londra», scusate il sarcasmo, oppure leggere le poesie di Bondi, così da spargere anche il sale sulle rovine.
«Annozero» era una delle più tenaci ossessioni del premier, insieme ai giudici di Milano e alle presunte nipotine di statisti stranieri. Delle tre, la meno giustificata. Come ha ammesso con rammarico lo stesso Santoro, se Berlusconi ha perso le amministrative non è stato certo per il salotto di «Annozero». Dove semmai si nota un certo logoramento della compagnia di giro, a sinistra con Di Pietro e Vendola, a destra con la Santanchè, La Russa e Castelli. Ma il premier, fra altre qualità, è assai vendicativo e non dimentica i torti subìti. A partire dal più grave, la libertà di giudizio. Non potendo più prendersela con Montanelli e Biagi, ai quali rese un inferno gli ultimi anni, si era concentrato nel tempo contro Santoro e pochi altri, con pervicacia degna di miglior causa.
Santoro avrebbe firmato la resa già l´estate scorsa, se l´astuto Masi non avesse festeggiato pubblicamente troppo presto. I soldi non sono l´unica spiegazione. Non è facile lavorare soltanto in virtù di una sentenza della magistratura, dentro un´azienda di servi che ti fanno la guerriglia ogni giorno, arrivando al grottesco dispetto di non pagare i collaboratori. A proposito, s´intende che Travaglio e Vauro otterranno dal tribunale quanto spetta loro e probabilmente molto di più. Tanto, come nel caso delle multe al notiziario Luce di Minzolini, pagano i cittadini. Ma si tratta di dettagli, per quanto non irrilevanti. Il punto centrale è che la Rai, come servizio pubblico, non esiste più. Per tanti anni abbiamo scritto della necessità di una riforma televisiva che smontasse il duopolio, a partire dalla privatizzazione di due reti Rai. La politica ha preferito fare le bicamerali e i patti delle crostate. Il risultato è che due reti Rai sono state nei fatti privatizzate al padrone di Mediaset. Ma le manteniamo ancora tutti noi.

La Repubblica 07.06.11

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“Una nuova stagione a viale Mazzini”, di MARCELLO SORGI

In nessun Paese del mondo l’uscita di un conduttore da una tv e il suo probabile passaggio a un’altra rete hanno mai provocato quel che è accaduto ieri in Italia all’annuncio della separazione consensuale tra Michele Santoro e la Rai. Una scossa d’adrenalina in tutto il sistema politico, una tale ondata di reazioni, nella maggioranza e nell’opposizione, da far dimenticare le giornate più calde della rovente campagna elettorale appena conclusasi.

E’ un’anomalia alla quale è difficile abituarsi, e di fronte alla quale, anzi, non si finisce di stupirsi, anche se le guerre politiche attorno alla televisione, pubblica e privata, durano da oltre trent’anni in Italia, cioè da quando è finito il monopolio statale dell’emittenza, e hanno avuto una recrudescenza da quando il padrone delle tre maggiori reti private, divenuto presidente del Consiglio, ha esteso il suo controllo anche a quelle pubbliche.

Nel caso specifico c’è una ragione in più che spiega quanto sta accadendo: oltre a essere il bersaglio numero uno di Berlusconi, che lo aveva silurato già ai tempi della sua prima legislatura al governo nel famoso «editto bulgaro», e ne è stato cordialmente ricambiato in tutti questi anni in cui il famoso conduttore ha potuto trasmettere grazie a una sentenza della magistratura, Santoro è stato proclamato solo pochi giorni fa vincitore delle ultime elezioni, conclusesi, come si sa, con l’elezione dei sindaci Giuliano Pisapia a Milano e Luigi De Magistris a Napoli.

Naturalmente è tutto da dimostrare che l’endorsement venuto dallo studio di «Annozero» sia stato forte al punto da spingere così in alto i due principali vincitori e aprire un baratro talmente profondo per i candidati del centrodestra. Ma Berlusconi se ne è convinto e lo ha ripetuto fino alla noia ai suoi collaboratori e davanti al vertice del suo partito. Per molti di loro non era affatto una novità: nel 2001, parliamo di dieci anni fa, quando il centrodestra sfrattò di nuovo dal governo il centrosinistra, Berlusconi s’era addirittura fatto fare dai sondaggisti una tabella che faceva vedere a tutti e a suo parere dimostrava come ogni settimana Santoro gli portasse via da un punto e mezzo a due punti di vantaggio sui suoi avversari. E siccome aveva vinto per poco, non faceva che ripetere: «Se si fosse votato una settimana dopo, quello lì riusciva pure a farmi perdere!».

Se davvero, come ha annunciato Enrico Mentana ieri sera, Santoro è a un passo dall’accordo con La7, la tv di Telecom che s’avvia ormai a diventare stabilmente il terzo polo televisivo tra Rai e Mediaset, quella di Berlusconi sarà stata una vittoria di Pirro. Sai che soddisfazione, per lui che lo considera il peggior nemico, aver tolto Michele da Raidue per vederselo spuntare alla stessa ora, e magari con maggiori ascolti, su un altro canale. Per questo, all’interno della Rai eternamente in ebollizione, l’annuncio dell’accordo raggiunto con il conduttore ha sollevato reazioni negative anche all’interno del consiglio d’amministrazione, che è da sempre il tramite tra la tv di Stato e la politica, e nel fronte che fa capo al presidente del Consiglio. Curiosamente, sia da parte della sinistra che della destra del cda si sono levate voci che pretendevano che a Santoro, in caso d’uscita, fosse imposto una sorta di patto di non concorrenza per tenerlo lontano dalle telecamere per almeno due anni.

Ora, a parte la pretesa di difendere la libertà di stampa, e al suo interno quella del conduttore, imponendogli un bavaglio e cancellandolo dai teleschermi, è sicuro che a queste condizioni Santoro non avrebbe mai accettato di sciogliere il suo contratto con la Rai. In attesa di conoscere già oggi i dettagli dell’accordo e le intenzioni del leader del partito di «Annozero», si può tentare di stilare un provvisorio borsino dei vincitori del primo tempo di questa partita. Primo, ovviamente, Michele in persona: s’è tolto la soddisfazione di vedere uscire dalla Rai prima di lui Mauro Masi, il precedente direttore generale, che era arrivato a minacciarlo in diretta di sanzioni telefonandogli mentre il suo programma andava in onda, e alla fine di una trattativa abbastanza simile a quella che s’è conclusa ieri non era riuscito a convincerlo e aveva dovuto gettare la spugna. Inoltre, se quello di ieri è solo un arrivederci, e Santoro tornerà presto in scena da La7 o da un’altra emittente, non dovrà temere le proteste del suo pubblico, che si manifestarono sonoramente via Internet la volta scorsa, alle prime indiscrezioni della trattativa con Masi, e potrà togliersi la soddisfazione di far la concorrenza alla tv di Stato che lo ha messo alla porta e di continuare a criticare Berlusconi come gli aggrada.

La seconda vincitrice è Lorenza Lei, la nuova direttora generale della Rai. Si dirà che non può diventare un titolo di merito aver accontentato come prima mossa il più forte dei capricci del Cavaliere. Ma nel modo in cui lo ha fatto, riconoscendo a Santoro il valore della sua professionalità, lasciando aperto uno spiraglio a collaborazioni future, rifiutandosi di imporgli assurde clausole di non concorrenza, e trovando così il suo consenso, c’è una prova di autonomia che, pur nell’ambito ristretto in cui un manager della Rai deve muoversi, non è affatto comune. Immaginiamoci le facce dei consiglieri d’amministrazione che dovranno ratificare l’oneroso accordo di buona uscita di Santoro: per rifiutarlo, dovrebbero votare contro Berlusconi. E se lo accettano, dovranno invece riconoscere che la Lei ha deciso da sola, li ha messi di fronte al fatto compiuto e poi è passata all’incasso.

Quella della Rai è la storia di una guerra infinita, e anche il caso Santoro, c’è da scommetterci, non finisce qui. Ci sarà un contrattacco, non sarà il primo né l’ultimo. Ma dopo mesi, per non dire anni, di mediocre gestione e di andamento inconcludente, è possibile che dall’inatteso blitz di ieri pomeriggio al settimo piano di viale Mazzini venga un segno di cambiamento.

La Stampa 07.06.11