attualità, partito democratico

"Pd, il fratello maggiore", di Franco Monaco

Ometto ogni elemento di analisi del quadro e vengo subito al punto che mi preme: quello della linea politica del Pd. Pur facendo nostro il saggio monito di Claudio Magris a non indulgere all’euforia e al trionfalismo, è legittima una moderata soddisfazione. Merita isolare un dato in particolare: si rafforza il Pd e, contestualmente (lo sottolineo), si rafforza il centrosinistra e non solo quello dei partiti. Il Pd si configura quale major party, “fratello maggiore” che si fa carico del compito di organizzare un vasto campo di forze politiche, sociali, civiche. Con umiltà e generosità.
Pur senza rinunciare a un suo protagonismo, come dimostra il gran numero di candidati vincenti di estrazione Pd. Del resto, a confutare la tesi di un Pd subalterno e marginale solo perché il vincitore di Milano non porta l’etichetta Pd merita notare che, quando si accetta la sfida delle primarie, a partire dal giorno successivo, il candidato vincente è il candidato di tutti. Sotto questo profilo, Milano è davvero un caso esemplare: quando, nelle primarie, il Pd milanese, sbagliando, ha voluto eccedere con il proprio protagonismo di partito ha preso un sonoro ceffone; quando, a valle di esse, si è messo lealmente al servizio del candidato vincente, della coalizione e della mobilitazione civica esso è stato decisivo e ci ha guadagnato anche nel voto di lista. Mettersi a servizio della causa comune paga anche in termini di partito.
Questo è lo spirito dell’Ulivo.
Anche i critici interni dovrebbero riconoscere che la linea seguita con pazienza e con tenacia da chi ha guidato il partito, spesso circondato da incomprensioni e diffidenza, si è rivelata giusta, ha pagato ed è stata lineare e coerente.
Per nulla incerta e ballerina, come qualcuno eccepì. Si è tenuta la barra ferma sulla linea e sulla sequenza fissate già un anno fa: prima la proposta-programma del Pd, poi le alleanze, infine la leadership.
Circa la nostra proposta, le elezioni attestano la domanda di una limpida alternativa ideale e politica, l’opposto di un riformismo esangue, culturalmente subalterno alle ricette della destra.
Circa le alleanze: no alla solitudine del Pd dentro uno schema bipartitico, ma no anche, per converso, all’abbandono del bipolarismo dentro uno schema proporzionalistico nel quale il Pd fa carte false nell’inseguire un centro cui consegnare la leadership. Piuttosto: avvicinare le opposizioni, costruire il nuovo Ulivo con le forze che hanno fatto una scelta di campo di centrosinistra e poi aprire un dialogo con le forze centriste (uscite ridimensionate nella loro ambizione terzo-forzista) cui proporre un patto per chiudere il ciclo berlusconiano e avviare una legislatura ricostruttiva. Un’apertura-dialogo non subalterna, non con il cappello in mano, ma al contrario nel segno di una sfida, di una chiamata a responsabilità. Avvertendo che, in caso di diniego, faremmo appello agli elettori, segnalando l’eventuale incoerenza dei centristi tra il loro giudizio non meno severo del nostro sul berlusconismo e il rifiuto di prendere parte alla sua archiviazione.
Circa la leadership, le primarie sono certo uno strumento a valle da discutere con gli alleati e tuttavia su di esse il Pd non può essere agnostico: l’esperienza mostra che, quando ben condotte, giovano a cementare l’alleanza e a propiziare la vittoria. Inoltre – non è un dettaglio – ora, dopo questo passaggio, il Pd, con il suo segretario, dispone del candidato palesemente più autorevole e vincente.
Infine, un’avvertenza per il confronto tra noi. Esso abitualmente ci vede divisi tra chi enfatizza la soggettività del partito a vocazione maggioritaria e chi scommette sulla coalizione tra partiti. Attenzione a non trascurare un soggetto terzo. Decisivo in questa tornata. A Milano e un po’ ovunque. Quello dei cittadini attivi e partecipi in mille forme. Il Pd deve accompagnare e orientare tale risveglio civile, ma prima di tutto deve rispettarlo e incoraggiarlo.
Decisivo, cioè, è il modo rispettoso e promozionale con il quale raccordarsi ad esso. Bisogna esserci stati in quella piazza Duomo per avvertire il sentimento che la attraversava e i giovani che la affollavano. Solo quella spinta può farci vincere, ma essa può anche travolgerci se non correggeremo la miope presunzione e le nostre chiusure oligarchiche. Lo hanno notato molti analisti. Tra loro Michele Serra: «Il centrosinistra non è la somma (variabile) dei partiti che lo compongono. È molto di più, qualitativamente e quantitativamente.
È la somma dei cittadini disposti a votarlo, ai quali importa nulla se il candidato è del Pd, di Sel, dell’Idv o altro: basta che sia un candidato credibile, che sia scelto con le primarie e che sia il candidato di tutti. Questa è la lezione di questo fantastico voto.
Ora si tratta di capire se i leader hanno fatto lo stesso salto di qualità dei loro elettori».

da Europa Quotidiano 08.06.11