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"Industria, produzione quasi ferma, l’Italia scivola al 7° posto mondiale", di Luciano Costantini

Un Paese che arranca. Praticamente fermo. Superato da India e Corea del Sud e che ora sente sul collo il fiato del Brasile che viaggia a sole due incollature di distanza, ma con la più che fondata speranza di un prossimo sorpasso. Risultato finale: eravamo la quinta potenza industriale del mondo, siamo diventati la settima. E certo non può essere una consolazione il dato che nella graduatoria europea del settore manifatturiero restiamo al secondo posto, preceduti solo dalla Germania. Perché i tedeschi hanno recuperato quasi tutto il terreno perso negli ultimi tre anni mentre noi stiamo risalendo la china con improba fatica. E non può essere neppure una consolazione il fatto che solo la Spagna, tra le concorrenti continentali, abbia fatto peggio.
Questo il quadro generale disegnato dal Centro Studi di Confindustria nel rapporto sugli scenari industriali. Tradizionale appuntamento che diventa soprattutto l’occasione per presentare bilanci e prospettive dell’Italia che produce. Il rapporto del Csc, ovviamente, è una miniera di numeri. Dice che la fase di recupero ha cominciato a frenare dopo il primo semestre del 2010, con un incremento dello 0,1% mensile da luglio dello scorso anno a marzo 2011 ed è ancora molto distante (-17,%) dallo zenit della crisi (-26,1%). La Germania nello stesso periodo ha ridotto il gap al -4%. «Il Paese – sottolinea il direttore generale del Csc, Luca Paolazzi – rimane ad alta vocazione industriale, ma spicca per la flessione registrata nell’ultimo triennio (-17% cumulato), doppia o tripla di quella dei maggiori concorrenti. I nostri imprenditori devono essere tre volte più bravi degli altri per sopravvivere in un contesto competitivo così carente». Anche perché è poderosa la scalata dei Paesi emergenti. Nella classifica mondiale 2010, la Cina con una quota del 21,7% ha conquistato la leadership a danno degli Usa (15,6%). Soltanto tre Paesi sono riusciti a reggere lo scossone della crisi: il Giappone terzo con un 9,1%, la Corea del Sud sesta con un 3,9% e l’Australia diciottesima con un 1%.
I numeri relativi alla nostra performance sono il risultato combinato, una sorta di morsa, di «un’industria che è rimasta schiacciata tra recessione violenta e ripresa lenta». Il recupero, avviato nel secondo trimestre del 2009, si è intensificato nel primo trimestre 2010 e ha poi frenato in Italia. Come dopo una rovinosa caduta, c’è chi si rialza e riprende a correre (la Germania) e chi stenta persino a camminare (l’Italia). Emma Marcegaglia non può nascondere questo risultato. «Siamo stati fortemente colpiti dalla crisi e la stima di una crescita dell’1% è troppo bassa». Poi una sottolineatura non casuale: «Con i dati non si fa critica a una parte politica o a un’altra, ragionare con i dati significa cercare di fotografare una situazione e cercare di capire insieme cosa fare». Ricorda, Marcegaglia, che il nostro sistema industriale produce il 30% della ricchezza, dà occupazione al 30% dei lavoratori e fa il 78% delle esportazioni. Il presidente di Confindustria propone – anzi ripropone – una massiccia dose di riforme sulle quali bisogna avere il coraggio di fare scelte anche impopolari. Dunque, riduzione della spesa pubblica («anche se non possiamo farla con tagli lineari). Poi mercato del lavoro, liberalizzazioni, ricerca, innovazione, infrastrutture. Chiaramente lo sforzo dovrà essere collettivo: governo, opposizione, parti sociali. Tra le riforme ineludibili anche quella più generale sui rapporti tra imprese e sindacati. In particolare, quella di un assetto contrattuale moderno e condiviso. «A giorni – annuncia Marcegaglia – chiameremo i sindacati per discutere la questione della cosiddetta esigibilità dei contratti e quella della rappresentanza». La lettera di convocazione partirà lunedì e l’incontro dovrebbe tenersi entro la metà della prossima settimana.

Il Messaggero 10.06.11

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«Industria ferma, superati da India e Corea», di Roberto Bagnoli

L’allarme di Confindustria: la produzione è del 17%sotto i livelli pre-crisi. Continua il pressing di Confindustria per raccontare la crisi delle imprese e del Paese. Non si sono persi solo dieci anni di crescita, come ha denunciato due settimane fa il presidente Emma Marcegaglia, ma anche la ripresa in corso «è troppo lenta e fragile» , con la «produzione industriale ferma ai livelli di un anno fa mentre nel triennio ha cumulato perdite doppie o triple di quella dei nostri concorrenti» . Peggio di noi ha fatto solo la Spagna. La Marcegaglia ha commentato i dati preparati dal suo Centro studi, confermando la stima di Confindustria per una crescita del Pil nel 2011 all’ 1%«troppo bassa per sostenere manovre correttive delle dimensioni necessarie all’Italia» . E invita il governo a «fare anche scelte impopolari» per dare una scossa all’economia. «Abbiamo bisogno di una riforma fiscale — propone il numero uno degli imprenditori— che diminuisca le tasse su imprese e lavoratori e che aumenti di qualche punto l’Iva, l’aliquota sulle rendite finanziarie e intensificare la lotta all’evasione» . La Marcegaglia prende di mira anche l’opposizione, sponsor dei referendum sull’acqua e sul nucleare che, se dovessero passare, significherebbe «un passo indietro di vent’anni» . Ce n’è anche per la Lega protagonista della singolare proposta di trasferire al Nord alcuni ministeri. «Non mi sembra un problema prioritario» , ha commentato secca ricordando che oggi «non sembra esserci piena coscienza nel Paese del ruolo cruciale giocato dalle attività manifatturiere nel generare reddito e occupazione» . Nelle cifre e nelle slide spiegate dal direttore del centro studi Luca Paolazzi, va in onda la gravità della situazione definita «una svolta storica, ci sono variazioni della produzione globale senza precedenti» . Con la Cina che vola in testa arrivando al 21,7%del valore della produzione mondiale (dieci anni fa era all’ 8,3%) mentre gli Usa retrocedono al secondo posto (15,6%dal 24,8%del 2000). L’Italia resta una potenza industriale ma perde e finisce dalla quinta alla settima posizione superata da India e Corea del Sud. Rimaniamo il secondo Paese in Europa dopo la Germania, sottolinea Paolazzi, ma gli emergenti viaggiano a una velocità tale per cui l’anno prossimo dovrebbe superarci anche il Brasile. Peggio di noi hanno fatto la Francia (dal 4 al 3%) e la Gran Bretagna scesa addirittura dal 3,5%al 2. Secondo i calcoli del Centro studi di viale Astronomia per «forza industriale» quella di Lecco è la prima provincia italiana (sessantunesima in Europa) seguita da Modena, da Vicenza e da Bergamo. Milano è sedicesima in Italia e al numero 203 in Europa. Agrigento è l’ultima e in Europa ha la posizione numero 1.223. Corrado Passera, amministratore di Intesa-Sanpaolo, commentando i dati del Csc chiede di «andare a rivedere tutte quelle norme che frenano la crescita delle imprese» e si schiera al fianco della Marcegaglia nel sollecitare una riforma fiscale.

Il Corriere della Sera 10.06.11