attualità, cultura

"Benvenuti nell'era delle idiozie globali", di Andre Glucksmann

Non vi meravigliate se parole al vento e accuse infondate seminano il panico, condannando pomodori e cucurbitacee alla spazzatura e gli orticultori spagnoli, italiani o francesi al fallimento. Che la democrazia e il regno delle dicerie coesistano, non è una scoperta. La nostra prima città libera, l’antica Atene, fu corrosa dalla doxa, immensa palude di giudizi arbitrari e perentori. Socrate passò la propria vita a battagliare contro simili dicerie e ne morì. Sull’agorà — la piazza pubblica del V secolo a. C. — ognuno sospettava o denigrava l’altro senza altra forma di processo; quando oggi gli esperti di Amburgo e Berlino incriminano ex abrupto i cetrioli dell’Andalusia, la loro sciocca precipitazione non stupirebbe né Aristofane né Molière. La mondializzazione consente la libera circolazione dei beni e non meno pericolosamente quella delle sciocchezze. La cyber-circolazione dell’informazione, quando riesce a eludere i blocchi dispotici, veicola ammirevoli insurrezioni per la libertà— lo dimostrano Tunisi e Il Cairo —, ma trascina con sé anche pregiudizi logori, odii inveterati e ragionamenti assurdi. Una parte di europei, fra il 30 e il 70%, a seconda dei luoghi e dei momenti, ha ritenuto che l’ «11 settembre» fosse un «colpo» dei servizi segreti americani. Il 70%degli elettori di sinistra in Francia ha visto in Dominique Strauss-Kahn la vittima di un misterioso complotto. Simile e-analfabetismo aggiunge ai tradizionali deliri della doxa una capacità di mondializzare il panico istantaneo. Da un giorno all’altro, l’esplosione di Fukushima diventa sinonimo del destino nucleare in generale e propaga urbi et orbi una messa all’indice senza via d’uscita. Povera Marie Curie, abbassata al demoniaco personaggio del dottor Mabuse! Ecco finalmente scovato il nemico dell’umanità: l’atomo. Si cancellano le circostanze specifiche— un sisma, poi uno tsunami di vastità incomparabile— per stabilire un «rischio nucleare» uguale dappertutto e per tutti, comprese le regioni che ignorano i sismi da secoli e gli tsunami da un’eternità. Sopraffatta dall’ondata di panico maggioritario, la signora Merkel cede in tre settimane e i Verdi europei predicono a se stessi insperati trionfi. Inutile discutere: chi guarda la centrale di Nogent-le Rotrou vede Fukushima! Chi acquista verdura si espone alle nuvole dei batteri assassini. Le smentite scientifiche restano vane. Meglio tornare al lume di candela e fare lo sciopero dell’ortaggio! Il principio di precauzione diventa il nostro vangelo, ogni panico irrazionale attizza di riflesso la ricerca febbrile e disperata del rischio zero. A Sud del Mediterraneo, le popolazioni insorgono contro i propri despoti. Al Nord ancora sazio, tali turbolenze provocano inquietudine più che entusiasmo: chi può garantire l’avvenire? Certo nessuno, e allora? Noi esistiamo al di là della Provvidenza, coloro che contano su un senso della storia si rompono il muso: guardate il nostro terribile XX secolo. Coloro che puntano sulla razionalità dei mercati finanziari sono in fase di stanca: guardate il XXI secolo che comincia. Siamo sicuri di una sola certezza: non c’è sicurezza assoluta, dobbiamo vivere nel rischio e «lavorare nell’incerto» (Pascal). Se fosse stato adepto del principio di precauzione, l’antenato che addomesticò il fuoco avrebbe temuto la possibilità di armare eventuali incendiari, avrebbe subito soffocato la propria invenzione, continuato a mangiare crudo e a morire di freddo sul posto senza correre il rischio della civilizzazione. Per fortuna, ignorando le nostre sacrosante «precauzioni» , egli osò avventure e invenzioni i cui successi ci rendono così prosperi e… così codardi. Che i Paesi d’Europa si irrigidiscano pure nei loro miopi egoismi e si lascino spaventare da movimenti planetari che non controllano: a nulla serve rinchiudersi in se stessi. Ci sono popolazioni che si sbarazzano dei propri dittatori e rompono gioghi secolari a loro rischio e pericolo, e l’unico argomento valido per un europeo è decidere se aiutare a confortare quella volontà di libertà che una volta era la sua. Lo stesso, nella più grande democrazia del mondo, mezzo miliardo di indiani vive senza elettricità, e quindi nella miseria più nera. Senza petrolio, con poco carbone, la scelta del nucleare, per una questione di sopravvivenza, sembra imporsi. Ci sono altri Paesi che ragionano allo stesso modo: per loro, il dramma di Fukushima non cambia l’ordine delle cose. Sta a noi contribuire a controllare i rischi inerenti alle centrali. L’uscita locale dal nucleare e la sospensione dal lavoro dei tecnici di questa «industria maledetta» è solo un buco nell’acqua. Se la Germania rinuncia al nucleare (per legarsi mani e piedi allo zar del petrolio della Russia), se la Francia persiste nel mantenerlo (in nome della propria indipendenza energetica), chi avrà i migliori strumenti per spegnere le sempre possibili catastrofi? Coloro che hanno messo la chiave sotto la porta, o coloro che continuano ricerche innovative? Poiché la catastrofe non conosce frontiere, come ripetono all’infinito i nostri ecologisti, o l’intero pianeta (ipotesi surreale) esce dal nucleare, oppure (ipotesi realistica) nessuno ne esce, neanche ostracizzando le proprie centrali. L’Unione Europea è presa dal panico, quindi si divide. Ieri, si credeva invasa dalla gente dell’Est (e si scagliava contro il famoso idraulico polacco); oggi, tiene d’occhio le orde giunte dal Sud. Ognuno per sé. Che l’Italia se la sbrighi da sola con Lampedusa! Perché le formiche tedesche dovrebbero aiutare le cicale greche e iberiche? Che importa il contagio? Chi si lascia prendere dal panico si chiude in se stesso, il Belgio fiammingo rifiuta il Belgio vallone, l’Italia della Lega fa da sé, e la Francia si municipalizza: Corrèze contro Charente contro Lilla contro Neuilly, salotti contro salotti, tristi opzioni, tristi dibattiti in vista delle elezioni presidenziali. Il senso dell’Europa non è più decifrabile, l’idea della Francia svanisce. Scusatemi, la terra è rotonda, la terra gira, il mondo esterno e le sue sfide esistono, non basta certo chiudere gli occhi per abolirlo. (traduzione di Daniela Maggioni)

Il COrriere della Sera 12.06.11