attualità, politica italiana

"Pontida, 21 anni di adunate e di promesse non mantenute", di Mattia Feltri

Anno 1990, fondazione della Repubblica del Nord. Anno 1992, fondazione della Commissione costituente della Repubblica del Nord. Anno 1993, fondazione del Parlamento della Repubblica del Nord. Anno 1994, pausa per l’ingresso nel governo, quello vero, approvato per acclamazione dal popolo padano. Anno 1995, distribuzione dei certificati di credito per la costituzione del Parlamento del Nord con sede a Bagnolo San Vito, nella provincia di Mantova. Anno 1996, fondazione del Governo della Padania. Anno 1997, fondazione della Banca Indipendente padana che esordisce battendo moneta, gli scudi padani. Nell’occasione esce di scena la lega padana, valuta che pur in assenza di banca centrale era stata emessa nel 1995 nel pratico cambio di una lega per mille lire. Seguirono le polizie padane (camicie verdi), le elezioni padane (con Mario Borghezio leader dei centristi moderati), il sindacato padano, il dialetto padano, la scuola padana e tante altre iniziative minori ma leggermente più concrete: da qualche tempo, in coincidenza col sacro raduno, si tengono le olimpiadi padane con il tiro alla fune e il lancio del tronco.

In ventuno anni di adunate (a volte multiple, nel 1995 furono tre), lo storico pratone di Pontida ne ha sentite davvero una quantità. Se metà delle promesse fossero state mantenute, oggi nel lombardo-veneto sarebbero obbligatori i matrimoni celtici e diffusi i copricapo bicornuti. Sarà forse per questo che, domenica prossima, i leghisti sognano di annunciare che si terrà fede a un impegno almeno, quello di tagliare le tasse, sebbene non sia un impegno novello e, soprattutto, sia un impegno eminentemente berlusconiano. La voce che gira, non inedita, è che lo stato maggiore autonomista tema che al giuramento piova qualche fischio poiché i soldati di Umberto Bossi sono stati al governo otto degli ultimi dieci anni, e di roba a casa ne hanno portata poca. Anche nel 1999, al termine di una traversata nel deserto durante la quale la Lega si era tenuta in vita con quel sogno un po’ baracconesco di secessione su cui si è appena dettagliato, e culminata col disastroso risultato delle Europee (4.49 per cento), Bossi si presentò dimissionario. L’anno prima (sempre a Pontida) si era scusato: «Ero impegnato a costruire la società padana, adesso torno alla politica, alla Lega». Ecco, i risultati erano lì da vedere. La Padania e la Lega erano poco oltre i 4 punti percentuali. Dunque Bossi parlò di baionette in canna, di nuova rivoluzione, accusò di fiacchezza gli amministratori locali e d’inerzia gli elettori evinse l’improvvisato referendum con 23 mila 497 no (al congedo) e 848 sì.

Non è detto che al Gran Capo il contropiedone riesca anche stavolta. Che cosa prevarrà, il suo carisma o l’elenco della spesa? Per intenderci, ecco un breve, disordinato e parzialissimo elenco di riforme predicate a Pontida: riforma dello statuto dei lavoratori; abolizione dell’obbligatorietà del servizio pubblico sanitario e istituzione dell’assistenza privata obbligatoria; trasferimento di una rete Rai a Milano; istituzione di una legge antitrust per la titolarità di canali televisivi; istituzione della doppia moneta, una per il Nord, l’altra per il Sud; istituzione di un triplo Senato, uno per il Nord, l’altro per il Centro, il terzo per il Sud; abolizione del reato di attentato contro l’integrità, l’indipendenza e l’unità dello Stato; abolizione del reato di vilipendio della bandiera; separazione delle carriere ed elezione popolare dei pubblici ministeri; abolizione del codice Rocco; riforma della Corte costituzionale secondo criteri di «territorializzazione e regionalizzazione»; svariate leggi speciali per sconfiggere la mafia; legge sulla famiglia per difenderla dalla pedofilia e dalla pornografia; riforma della World Trade Organization; abolizione dell’Unione europea; trasferimento di alcuni ministeri al Nord (lo scorso anno); numerose riforme della Costituzione (la prima annunciata da Gianfranco Miglio nel maggio del 1994 per il settembre dello stesso anno); ampie scelte di federalismi (fiscale, costituzionale, culturale, giudiziario, devolution), che poi è la battaglia delle battaglie ed è ancora in corso.

Però, ecco, il rischio è che qualcuno noti, prima o poi, la straordinaria sovrapponibilità dell’urlo bossiano del 2001 e di quello di Rosi Mauro nel 2008 («riforme, ora o mai più»). Le riforme sono sempre stato il sugo, nel frattempo che cantavano Zuleika Morsut o il bergamasco Bepi o la cornamusa di Helvia. «Riforma federale e riforme liberiste», disse Bossi nel 1994. Intanto che Roberto Maroni è diventato portavoce del Clp (comitato di liberazione padano) e Francesco Speroni ha ipotizzato l’Aviazione civile della Repubblica Federale della Padania, Bossi ha sentenziato: «Adesso tocca a noi, è la grande occasione per fare davvero le riforme». E poi su un braciere sono stati dati alle fiamme dei non meglio precisati certificati romani e fra il popolo sono comparsi gli striscioni d’Ausonia («Civitavecchia libera da Roma ladrona») e di leggendaria eppure attuale rivendicazione («Ratto delle Sabine: Rieti con furore»), e allora Bossi ha intravisto riforme come prosecuzione della Liberazione del 25 aprile. Il Trota ha sostituito Franco Rocchetta, il profumo Dur è fuori commercio, i motociclisti padani hanno appeso il casco al chiodo, ma un grido si leva perenne: «Riforme! Riforme! Riforme!».

La Stampa 13.06.11