attualità, politica italiana

"La primavera dei giovani", di Gabriele Romagnoli

C´è qualcosa di nuovo, anzi di scontato, nella politica italiana: il fattore giovanile. Gioventù nelle campagne elettorali, gioventù al voto, gioventù nelle piazze a festeggiare i risultati. Non era sempre stata una protagonista, il motore dei cambiamenti? E dov´era finita? Prima di cercare la risposta bisogna fare una premessa.
non è che i giovani sono geniali quando vince la sinistra e rimbambiti quando vince la destra. C´è un pendolo dell´inevitabile, ma c´è anche qualcosa di inedito che va cercato nel qui e ora e aiuta a capire che cosa è successo.
Quel che è inevitabile è uno spostamento. A molti, al netto delle illusioni, è parso che soltanto il ricambio generazionale potesse favorire un diverso flusso delle opinioni e dei voti. Se dal ‘94 a oggi il blocco che fa capo a Silvio Berlusconi, variamente accompagnato, ha sempre sfiorato o superato la maggioranza, nonostante la palese incapacità di mantenere le promesse e lo spasmodico impegno nel martoriare il corpo delle leggi, la sola spiegazione è l´esistenza di un altrettanto solido blocco di elettori: anestetizzati, indifferenti, tuttalpiù interessati alla prospettiva dell´ampliamento della propria veranda.
Per scalfirlo non era pensabile mutare le opinioni. Occorreva mutare gli elettori. Averne di nuovi, diversamente pensanti. Pareva un´illusione anche quella: le generazioni entranti si presentavano già appiattite. A prima vista. L´errore è stato considerarli una massa in fila per entrare nella casa del “Grande Fratello” e nulla più. Dimenticare lo spirito se non di ribellione, di contraddizione. I giovani di vent´anni fa cercavano una propria espressione politica e come potevano adagiarsi su quella dei padri: sul resto della Dc (ricordate Martinazzoli?), sugli eredi del Pci (mica era sexy Occhetto)? Preferirono quella che allora era una novità, l´uomo che si era fatto da sé (Berlusconi), il tabù infranto della destra (Fini), il colorito e allora vigoroso mondo della Lega (Bossi e Maroni, ora sequel di se stessi).
Oggi la scena è cambiata. Ci sono nuovi attori e nuovi strumenti. Personaggi come Letizia Moratti sono invecchiati di un decennio in una settimana, relegati a foto color seppia nell´album degli zii. Dove la politica è una cosa noiosa, fatta di dibattiti e con personaggi calati dall´alto. Nei file dei nipoti è una cosa diversa. Coinvolge quanto più si occupa di temi specifici. L´acqua. Che cosa c´è di più semplice? Abbiamo diritto a scegliere chi regola i rubinetti? Sì, certo che sì. Coinvolge di più quando propone figure nuove, di cui rivendicare la scoperta e la valorizzazione. Non importa che condividano l´anagrafe, contano di più l´entusiasmo, il disinteresse, l´onestà intellettuale. Quanti anni ha Pisapia? Diceva Picasso: «Ce ne vogliono molti per diventare giovani». Quanti anni ha Celentano? E Grillo? È un ragazzino Nichi Vendola? A spostare prima ancora che voti, emozioni sono stati personaggi così, ai confini dello spettacolo, certo: perché gli altri non lo erano? Perché, che cosa non lo è?
E con quali mezzi? Qui c´è stata la sorpresa più grande, ma solo per chi ha vissuto questi anni al chiuso. Per chi (da ogni parte) ha creduto che controllare cinque tg su sette fosse decisivo. E pensare che il dato era davanti agli occhi di tutti: sotto i trent´anni non c´è praticamente più nessuno che guardi un notiziario. La verità, la strepitosa verità, è che Minzolini e Fede non generano consenso, ma parodie. Che la complessa rielaborazione della realtà a cui dedicano la loro vita professionale muore sul tavolo di un tinello mentre la mamma sparecchia e i figli sono già in camera, davanti al computer, a vedere sul web la sora Cesira che ne fa coriandoli. Eccoci qua, a fine percorso, vicini al lieto autoavverarsi della profezia: una risata vi seppellirà. Se una pagina sta davvero voltando non l´hanno sospinta l´ego dei tribuni da prima serata o i cartelloni del leader in maniche di camicia. È stato un soffio molto più potente: l´irrefrenabile ironia di chi non aveva niente da perdere, perché non aveva ancora cominciato a vincere.

La Repubblica 14.06.11