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"Bossi bluffa, la Lega è nel marasma. A Pontida l’ombra del processo breve", di Francesco Lo Sardo

Domenica petardi e fumo. Dopo la festa, gabbata la base, sì alla prescrizione breve: e non solo… Acqua in bocca. In commissione giustizia, a palazzo Madama, si procede alla velocità della luce. Ma due giorni fa, alla riunione dei capigruppo del senato, il Pdl s’è ben guardato dal domandare la calendarizzazione per l’aula della prescrizione breve. Così ha chiesto Bossi a Berlusconi: Pontida è alle porte e alla Lega manca un soffio per saltare in aria, la base ribolle contro Berlusconi. Occorre lasciar calmare la bufera. Poi nell’ultima settimana di lavoro, a fine luglio, scatterà il blitz.
Intanto però non dite alla base e agli elettori della Lega – ben il 40 per cento del Carroccio, praticamente un leghista su due – che hanno appena votato contro la legge ad personam del legittimo impedimento che Umberto Bossi (e il suo clan allargato al figlio Renzo “il Trota”, che occupa il vertice del partito senza passare per congressi da tempo immemore né per riunioni del consiglio federale) si appresta ad approvare, insieme ai suoi compari del Pdl, la norma della prescrizione breve, nascosta da Ghedini e da Alfano nelle pieghe della legge del cosiddetto processo breve.
Non bastavano tutte le sciagure che si sono abbattute sulla Lega che affonda nel sacco di piombo del Cavaliere e che dopo le elezioni amministrative e il referendum «sta molto peggio del Pdl», sintetizza Stracquadanio.
Non bastava il cul de sac in cui l’ha infilata Tremonti che chiudendo i cordoni della borsa per inchiodare all’immobilismo il Cavaliere sta strangolando anche la Lega che non taglia i ponti col premier; non bastava l’angoscia per l’affannosa e concitata ma sempre più inconcludente ricerca di efficaci diversivi, a pochi giorni dalla kermesse di Pontida, per abbindolare la base leghista esasperata. Ora anche un altro spettro s’aggira per Pontida: quello della prescrizione breve, con la paura del clan del Senatùr che l’ultimo patto segreto tra Bossi e Berlusconi per tenersi in piedi l’un l’altro, venga a galla. Quella legge a Berlusconi serve come l’aria per disinnescare la mina su cui lui e il suo governo rischiano di saltare tra ottobre e novembre con la sentenza in primo grado del processo Mills. Una condanna di Berlusconi, nella terremotata crisi del centrodestra, con la maggioranza appesa a un filo e con la sua prevedibile clamorosa eco internazionale, potrebbe essere il colpo fatale all’avventura politica di Berlusconi. Il processo Mills va in prescrizione il 12 gennaio: per questo Berlusconi ha chiesto a Bossi «un ultimo sacrificio della Lega», approvando la norma che anticipa di sei mesi la prescrizione e annulla il processo prima dell’eventuale condanna. Ma il sì assicurato dopo la batosta elettorale – prima della mazzata sui referendum – ora è diventato un incubo per Bossi. Mezza Lega ha votato contro il legittimo impedimento: agitargli sotto il naso la prescrizione breve è giocare col fuoco. Silenzio quindi. Mentre allo stesso tempo Bossi userà Pontida per eruttare lui fuoco e fiamme – in realtà solo petardi e fumo – fingendo d’interpretare l’ira padana per ipnotizzare il popolo leghista e bidonarlo ancora una volta. Ma il Senatùr sta ormai raschiando il fondo del barile. Saccheggiando le idee degli amministratori del Pd chiederà l’uscita dal patto di stabilità interno per i comuni virtuosi; insisterà con la trovata di Calderoli dei ministeri al Nord sebbene gli ascoltatori di Radio Padania l’abbiano bollata come «minchiata»; metterà il cappello su decisioni praticamente già prese tra Difesa, Stato maggiore e alleati per ridurre le missioni militari in Libano e Kosovo e confida che il Congresso chiuda a Obama i rubinetti della guerra di Libia: così, se cesseranno di piovere bombe americane sulla testa di Gheddafi e Berlusconi si ritirerà, Bossi potrà strombazzare urbi et orbi il suo successo. Ma il diavolo fa le pentole, non i coperchi. E poiché piove sempre sul bagnato, per via di un’inchiesta della procura di Napoli l’aspirante Talleyrand padano riprecipiterà tre giorni dopo Pontida nella fanghiglia berlusconiana. Mercoledì la Lega dovrà votare alla camera contro l’autorizzazione all’arresto del pdl Alfonso Papa.
Un’altra brutta storia che mostrerà ancora una volta il vero volto di Bossi e del gruppo dirigente della Lega “di lotta e di governo”: uno, il compare di Berlusconi, l’altro una sua protesi, litigiosa e incapace di ribellarsi.

da Europa Quotidiano 16.06.11

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“Il partito dei ribelli del Nord nella ragnatela del potere”, di Ilvo Diamanti

Interpretava una società scossa da sentimenti antipolitici. Era quella dei piccoli produttori, della neoborghesia in rivolta contro Roma e Torino. È confusa e delusa. Senza Berlusconi rischia la marginalità, accanto a lui invece l´impopolarità: non le sarà facile riprendere il cammino. Dopo le sconfitte elettorali si è aperta una crisi interna alla formazione più antica del Parlamento di oggi Che si riunirà a Pontida per fare i conti con la sua base

La Lega va a Pontida un po´ delusa e confusa. Come non le capitava da tempo. In passato ha attraversato altri passaggi critici. Ha alternato momenti di grande affermazione e di grande difficoltà, senza esitazioni. Guidata da un leader riconosciuto e deciso. Nel successo e nella sofferenza (anche personale). Ventuno anni fa, nei primi anni Novanta, agli albori di Pontida. L´era della Lega antipolitica. Che interpretava una società scossa da sentimenti antipolitici. La Lega dei piccoli produttori, della neoborghesia del Nord, in rivolta contro Roma e Torino. Contro la Capitale della Repubblica dei Partiti (romani) e contro la Capitale dell´economia fordista, pardon: fiatista. Poi, negli anni successivi, a Pontida si celebrò la Lega di governo. Quella che, dopo aver conquistato Milano, si apprestava a conquistare Roma. Un´avventura breve, conclusa nel momento stesso in cui, effettivamente, vinceva le elezioni, nel 1994. Accanto a Berlusconi. Che la relegò a un ruolo gregario. Lega di provincia. Mentre Lui, Berlusconi, le sottraeva ampi settori di elettorato. Quelli che la usavano – e la useranno in futuro – come un autobus della protesta. Dove salire e scendere, a seconda delle occasioni. Così, nel 1995 e ancor più nel 1996, abbandonato Berlusconi, la Lega, a Pontida, issò la bandiera della “Padania promessa”. Come recita il titolo di un bel saggio di Roberto Biorcio. Si trasformò in soggetto etnico e secessionista. Contro Roma e contro Berlusconi. Ottenne un successo clamoroso. Il più largo di sempre, in termini elettorali. Un´onda impetuosa, come altre nella sua storia. Cui seguì, rapida, la risacca. Perché la Lega “sola contro tutti”, diveniva inutile agli occhi degli elettori tattici, la maggioranza di quelli che l´avevano votata dal 1992 in poi. Così alle Europee del 1999 si ridusse a una f(r)azione politica marginale. Ai margini del sistema e della società. Rientrò presto accanto a Berlusconi. Per riprendere un ruolo. Così ricominciò la sua risalita. Faticosamente. Interpretando nuovi mestieri, nuovi ruoli. Divenne “imprenditore politico della paura”, O meglio: delle paure. La paura delle conseguenze dello sviluppo. Dei cambiamenti che essa stessa aveva annunciato e veicolato, nel Nord. La paura dell´apertura al mondo e, anzitutto, all´Europa. La paura dell´immigrazione. La paura dei cambiamenti profondi prodotti dalle trasformazioni globali. Al tempo stesso, divenne alleata fedele di Berlusconi. Turandosi il naso, lo difese da ogni attacco ai suoi molteplici conflitti di interesse. Da ogni minaccia giudiziaria. In cambio, ottenne uno spazio crescente nell´alleanza e nel governo. Dove sta da 10 anni, ormai, visto che il centrodestra governa dal 2001 (con la breve pausa dell´esperienza burrascosa del governo Prodi). La Lega, dopo l´annessione di An nel Pdl, accanto a Forza Italia. Dopo l´espulsione dell´Udc dalla coalizione. Diventa, ancora, Lega di governo. L´unica forza politica accettata da Berlusconi. Ma, diversamente dai primi anni Novanta, senza presentarsi come soggetto rivoluzionario e secessionista. Si trasforma nel Sindacato del Nord. È la Lega Federalista che rivendica l´autonomia delle regioni dove è radicata. Ma continua a usare un linguaggio di opposizione. Assecondando la vocazione e lo spirito dei suoi elettori. Amplificando l´insoddisfazione delle aree dove è radicata. Dei piccoli imprenditori, dei lavoratori autonomi, della provincia produttiva del Nord. Dove la crisi economica e finanziaria fa sentire, in modo pesante, i suoi effetti. Così , negli anni 2000, Pontida diventa il luogo dove la Lega di governo evoca e rilancia la sua vocazione all´ossimoro. È Lega di opposizione “nel” governo. Che fa opposizione e governa al tempo stesso. Soprattutto negli ultimi tre anni, dopo il 2008. Quando torna al successo elettorale. Risale all´8% e, in seguito, al 10%. Si insedia nei governi locali del Nord. E rafforza il suo peso nel governo “romano”. Allarga rapidamente la sua presenza negli enti e negli organismi pubblici e finanziari. A livello nazionale e locale. È il soggetto forte della maggioranza, dove il partito maggiore, il Pdl, è sempre più debole e diviso. Sempre più meridionale. Dove il capo del governo e della maggioranza, Silvio Berlusconi, è sempre più in difficoltà. Alle prese con le sue ombre, inseguito dai giudici e dai conflitti di interesse. Sempre meno credibile a livello internazionale. Sempre più in-credibile di fronte all´opinione pubblica.
Così questa volta la Lega si avvia a Pontida, per la prima volta, in modo incerto. Non può più fare lì opposizione nella maggioranza. È rimasta l´unico puntello della maggioranza. Come potrebbe fingere di stare all´opposizione? E come potrebbe spiegarlo agli elettori del Nord, dove è soggetto – e burocrazia – di governo in molti, moltissimi contesti? È confusa e delusa, la Lega. Dopo le sconfitte elettorali alle amministrative, subite nei suoi tradizionali luoghi di forza. Dopo l´esito del referendum. Che ha colpito anche la Lega. Il suo leader, Umberto Bossi, aveva annunciato che non avrebbe votato. La maggioranza degli elettori del Nord e molti leghisti non l´hanno ascoltato. È una Lega confusa e delusa. E dubbiosa. Senza Berlusconi: rischia la marginalità. Accanto a Berlusconi: l´impopolarità. Senza Bossi: perderebbe l´identità. Con Bossi: ha perduto le elezioni e il referendum. A Pontida: non le sarà facile riprendere il cammino. Indicare una direzione. Chiara.

La Repubblica 16.06.11