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""Pronto, sono Silvio" ma la sala è vuota", di Filippo Ceccarelli

Autentica catastrofe comunicativa, ma quindi anche efficacissimo dispositivo del teatro comico, è l´errore nella scelta dei tempi. Tanto più solenne l´intento, quanto più ridicolo l´effetto. Così ieri era stabilito che il presidente Berlusconi intervenisse in diretta telefonica a una cerimonia che si stava svolgendo nel villaggio turistico “La Principessa” a Campora San Giovanni, in Calabria: la consegna di 149 borse di studio ad altrettanti giovani da parte della Fondazione italo-americana Motta, appuntamento che stava molto a cuore al segretario repubblicano Nucara.
Sennonché, vuoi per un misterioso problema tecnico, vuoi per un colpevole ritardo presidenziale, vuoi per un segno del cielo, comunque la telefonata del Cavaliere è giunta fuori tempo massimo, quando tutti si erano ormai irresistibilmente spostati nella sala del buffet.
E allora proprio a questo punto, nell´attimo fatale e metafisico che le benemerite telecamere del Tg3 hanno offerto ai telespettatori nell´edizione delle 19, si è vista una sala deserta con tante sedie bianche, un tavolo del tutto sgombro di notabili e autorità e al suo fianco un altoparlante di nuova generazione attorniato da alcune figure, probabilmente dei giornalisti, che si sbellicavano dal ridere.
Si capisce, perché dopo alcune stranianti note de “Le Quattro Stagioni” di Vivaldi, da quel nero cilindro – «pronto?» – l´inconfondibile voce di Berlusconi si è diffusa per diversi interminabili minuti nel vuoto della enorme sala del Villaggio “Principessa”. Ed era chiaro che da Palazzo Chigi nessuno aveva avvertito il presidente della tragica sfasatura, ma lui, una volta innescata senza ritorno la macchina del consenso sonoro e di circostanza, era già partito: «Bene, volevo portarvi il saluto di tutto il governo…». E quelli lì davanti che si piegavano in due.
Ancora più ridicola e insieme pietosa la toppa che lì per lì si è cercato di mettere per rappezzare la situazione. Allorché, richiamati e accorsi disperatamente nell´aula magna, solo tre o quattro maggiorenti tra cui il povero Nucara e l´italoamericano Mirabelli si sono disposti ad ascoltare tutti presi e compunti la telefonata di Berlusconi e poi hanno pure brevemente dialogato con lui che forse perché ancora ignaro ha mostrato il consueto sangue freddo.
E dire che sono esattamente queste le cose che lo fanno imbestialire, e il sospetto è che a lungo nessuno abbia avuto il coraggio di dirgli che cosa era accaduto; il che da una parte rende tutta la storia ancora più comica, e dall´altra fa suonare ancora più vane, nella loro più specchiata retorica, le considerazioni del Cavaliere riguardo al suo impegno per la Calabria e per «andare incontro ai desideri di milioni di ragazze e di ragazzi che aspirano ad avere un lavoro soddisfacente per poter avere una famiglia, una casa» e via dicendo.
Anche per questo, tra sconfitte, paura, solitudine, dileggio e voglia di mollare tutto, si sarebbe portati a credere che incidenti del genere non capitino poi così a caso. Non solo in questi giorni, ma anche e specialmente che avvengano ai danni del personaggio che prima e meglio di chiunque altro ha costruito la propria immagine, il proprio successo e anche il proprio potere sul culto dell´efficienza, della bella figura e dell´infallibilità mediatica.
Vasto è il repertorio liturgico della Telefonata del Cavaliere, che arrivava dall´alto dei cieli su convegni e trasmissioni: era la Voce, come nella Bibbia, non di rado sui maxischermi calava l´immagine di Lui, sorridente o corrucciato a seconda delle occasioni, mentre conduttori e maggiorenti, alcuni come Scilipoti con la cornetta del telefono orgogliosamente in mano, aprivano le braccia e guardavano nel vuoto. Gli applausi di sale gremite concludevano il rituale. Ecco, ieri, forse per la prima volta, la consacrazione telefonica si è rovesciata buffamente nel suo contrario.

La Repubblica 18.06.11

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“Viale del tremonti”, di Massimo Gramellini

No, questo è troppo. Anche per chi lo considera il principale responsabile del rimbecillimento televisivo di alcune generazioni di italiani, il trattamento che il vecchio attore a fine carriera Silvio Berlusconi sta riservando a se stesso è quasi straziante. Dopo aver incolpato Crozza per la sconfitta ai referendum, ieri ha telefonato a un convegno di italoamericani in Calabria presieduto dal fido onorevole Nucara. «Pronto?». La sua voce tristemente allegra ha echeggiato nella sala sgombra. Se n’erano già andati via tutti. Rimaneva solo un drappello di tecnici addetti allo smontaggio, che lo hanno sentito predicare il suo verbo berluscottimista in un deserto di sedie vuote, fili penzolanti e luci ormai spente. Richiamati precipitosamente dal buffet, il Nucara e un riccone italoamericano sono andati al telefono per ringraziare il vecchio attore e illuderlo che dietro di loro ci fosse un pubblico adorante in ascolto. Lui di rimando ha salutato le sedie ricoperte di panno bianco: «Viva gli Stati Uniti d’America, viva la Calabria, viva l’Italia!» e mentre un tecnico sghignazzava con scarso ritegno, io davanti alla tv ho sentito una stretta al cuore.

Per scongiurare la malinconia che mi procurano le uscite di scena ritardate (ricordo Maradona in campo col panzone) ho aperto l’Antologia di Spoon River in cerca dei versi giusti. «Andatevene dalla stanza se perdete, andatevene quando il vostro tempo è finito. E’ vile sedersi e brancicare le carte, e maledire le perdite con occhi cerchiati, piagnucolando per tentare ancora».

La Stampa 18.06.11