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"In pensione a 65 anni? Donne italiane spremute come limoni", di Vittoria Franco

Nel suo ultimo rapporto come governatore della Banca d’Italia, Mario Draghi è tornato a ribadire un concetto ormai condiviso da tutti gli studiosi di economia: la marginalità delle donne nel mercato del lavoro, nelle carriere, nei luoghi decisionali è un elemento di arretratezza; è una carta non spesa per lo sviluppo del Paese. Il governatore continua a essere inascoltato, come inascoltati sono altri soggetti politici e sociali che sostengono la medesima posizione. La domanda allora è: se promuovere il lavoro femminile è una carta di riserva così importante per far sviluppare il Paese, perché essa non viene giocata? E anzi, al contrario, le donne vengono ricacciate in casa oppure spremute fino all’impossibile, mentre passa solo ciò che è punitivo nei loro confronti e ciò che serve a promuoverle procede lentamente o viene boicottato? Non è facile rispondere a questa domanda. Sicuramente scontiamo una cultura tradizionale familistica, basata sulla divisione naturale dei ruoli. Ma oggi questa spiegazione storico – culturale non basta più. Si tratta invece di una scelta politica strategica che la destra ha fatto soprattutto negli ultimi anni, accentuata in epoca di crisi economica.
Ha individuato nella famiglia il maggiore ammortizzatore sociale. I tagli al welfare ricadono tutti sulle spalle delle famiglie e, dunque, delle donne: il tempo pieno che si riduce nelle scuole, la nonautosufficienza che scompare dalle voci di bilancio, i servizi all’infanzia e alla persona che si riducono per effetto dei tagli alle autonomie locali. Aumenta il peso del lavoro di cura. E intanto, viene elevata l’età pensionabile nel pubblico impiego da 60 a 65 anni, senza dare loro niente in cambio di quei5 anni considerati dal legislatore a suo tempo come risarcimento proprio per il lavoro di cura svolto.
Ora si paventa l’elevamento dell’età anche per il privato al fine di realizzare altri risparmi. Donne spremute e sfruttate. Niente riconoscimenti del loro valore, solo precarietà e fatica. Vi ricordate la legge sulle quote nei CdA? Si sta perdendo nella notte dei tempi, non avendo il governo dato l’autorizzazione per un iter più veloce alla Camera dopo i cambiamenti apportati al Senato, dove molti nel Pdl hanno votato contro con le motivazioni più assurde, ma che si riducono a una: non possono esistere «privilegi» per le donne. Si parla di privilegi in un Paese nel quale, come ha dimostrato Monica D’Ascenzo nel suo documentato «Fatti più in là». Donne al vertice delle aziende: le quote rosa nei CdA (Gruppo24ore)», siamo agli ultimi posti in Europa e nel mondo! Mentre la svolta di cui l’Italia ha bisogno per tornare a crescere ha bisogno del contributo delle donne. Vincerà chi saprà valorizzare i loro talenti, la loro voglia di contribuire alla costruzione civile, sociale, economica del Paese.

L’Unità 22.06.11