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"Le liberalizzazioni perdute", di Tito Boeri

Nessuna liberalizzazione in questa legislatura, nessuna nemmeno all´orizzonte perché ormai sono state derubricate dall´agenda politica. Tutte occasioni perse per fare ripartire il nostro Paese.
Per farlo ripartire con interventi a costo zero per le casse dello Stato. La relazione alla Camera di fine mandato del presidente Antitrust, Antonio Catricalà, è un pesante atto d´accusa contro il Governo che non ha mai dato forza di legge alle indicazioni dell´Autorità, come si era impegnato a fare a inizio legislatura, quando aveva introdotto nel nostro ordinamento la legge annuale per la concorrenza. È stata una delle tante operazioni di facciata, uno dei tanti annunci seguiti dal vuoto pneumatico, dato che la prima legge sulla concorrenza non ha ancora visto la luce a più di un anno dal termine ultimo per la sua presentazione. E la bozza che circola, secondo Catricalà, «disattende molte delle indicazioni dell´Autorità» da lui presieduta.
Dell´esistenza di autorità indipendenti rischiamo di accorgerci solo una volta all´anno, in occasione di queste requisitorie. Saranno “prediche inutili” fin quando avremo autorità di regolamentazione dei mercati che possono solo intervenire con la “moral suasion” e queste autorità si troveranno di fronte un governo che ha ben altre priorità e un´opinione pubblica distratta. Ci vorrebbero authority davvero indipendenti, in grado di garantire l´attuazione delle riforme già approvate anche quando il governo pensa ad altro e gli interessi delle lobby sono ben rappresentati in Parlamento. E ci vorrebbe soprattutto una maggiore informazione nel Paese sugli effetti delle poche liberalizzazioni sin qui attuate.
L´esperienza della riforma degli ordini professionali varata nella passata legislatura è molto indicativa a riguardo. La cosiddetta legge Bersani del 2006 ha abrogato una serie di disposizioni anticoncorrenziali introdotte nel corso del tempo dagli ordini, tra le quali l´obbligo di rispettare i minimi tariffari e il divieto di svolgere pubblicità comparativa. Queste restrizioni impediscono a un professionista giovane, non ancora affermato, di poter competere con chi ha già una forte posizione nella professione. La legge però demandava l´attuazione di queste liberalizzazioni agli stessi ordini professionali, che avrebbero dovuto autoregolamentarsi, rivedendo in modo conseguente i propri codici deontologici. Da allora gli ordini hanno fatto di tutto per ritardare l´entrata in vigore della legge Bersani e, in alcuni casi, l´hanno del tutto ignorata, come denunciato a suo tempo dall´Antitrust (nella sua indagine conoscitiva del 2009). La prima legge sulla concorrenza, prendendo atto di questi ritardi, avrebbe dovuto togliere agli ordini, dominati da chi nella professione ha posizioni di rendita, poteri quali la facoltà di concedere un´autorizzazione preventiva alla pubblicità comparativa. E avrebbe potuto demandare all´Antitrust il compito di monitorare l´attuazione della legge, sanzionando gli ordini che tardavano a mettersi in regola. Inutile illudersi: niente di tutto ciò avverrà. Un Parlamento dominato dagli avvocati (sono 134 su 952, e sono concentrati tra le file della maggioranza) ha sin qui dato il via libera, nella commissione Giustizia della Camera, ad una controriforma proposta da un esecutivo con esponenti della professione forense nei cinque ministeri chiave (Tesoro, Interni, Difesa, Giustizia e Agricoltura) che ripristina i minimi tariffari tra gli avvocati e regolamenta in modo estremamente restrittivo la pubblicità comparativa.
Di fronte a resistenze così agguerrite e interessi così ben rappresentati, ci vorrebbe un´opinione pubblica attenta alle sorti delle liberalizzazioni, imprese e famiglie mobilitate, consapevoli del fatto che da queste riforme hanno non poco da guadagnare in termini di miglioramento del rapporto prezzo-qualità dei servizi che ottengono dai liberi professionisti. Eppure neanche il centrosinistra, che potrebbe vantare il patrocinio delle poche riforme sin qui attuate (associate non a caso al nome dell´attuale segretario del Pd), sembra preoccuparsi di valorizzare le liberalizzazioni. Strano perché l´evidenza sin qui disponibile segnala come anche quel poco che è stato fatto ha avuto effetti non trascurabili a beneficio dei consumatori, dei lavoratori e delle imprese in senso lato. Uno studio della Banca d´Italia (a cura di Elena Viviano), ad esempio, ha documentato come la liberalizzazione della grande distribuzione attuata col decreto Bersani del 1998 nelle Regioni in cui è stata attuata ha portato con sé prezzi più bassi per i consumatori, maggior crescita della produttività e dell´occupazione, un più alto tasso di adozione di nuove tecnologie e strutture distributive più efficienti. Anche quello che si sa sulla riforma, più recente, degli ordini professionali è incoraggiante. I dati sugli iscritti alle casse forensi segnalano da allora un incremento del reddito relativo dei giovani avvocati, rispetto a quello dei professionisti già affermati. Forse è proprio per questo che il disegno di legge Alfano vuole tornare indietro. E uno studio di Michele Pellizzari e Giovanni Pica (Università Bocconi e Salerno) indica come dal 2007 in poi la selezione tra gli avvocati sembra operare meglio: escono dalla professione soprattutto i professionisti più preparati e produttivi, mentre prima avveniva esattamente il contrario.
Quel poco che è stato fatto, dunque, sembra servire nell´abbassare i prezzi e migliorare la qualità dei servizi. Ma rimane ancora tantissimo da fare e si rischia di tornare indietro. Come verrà documentato ad un convegno che si terrà il 4 luglio in Bocconi (si veda www.frdb.org per maggiori informazioni), molte professioni continuano ad essere rette da meccanismi di cooptazione di tipo dinastico, in cui aumenta di molto la probabilità di entrare nella professione per chi ha lo stesso cognome di chi è già iscritto all´ordine. Inoltre, queste dinastie professionali sono in molti casi associate a distorsioni nella qualità dei servizi offerti ai cittadini. Ad esempio, nelle province dove le omonimie incidono maggiormente sulle iscrizioni all´albo dei commercialisti, l´evasione fiscale è più alta. Laddove le omonimie incidono maggiormente sulla selezione dei consulenti del lavoro, ci sono più contenziosi lavorativi, spesso riflesso di un´incapacità di ricomporre le controversie per via extra-giudiziale. Insomma, sembrerebbe proprio che la trasmissione ereditaria dei posti in molte professioni corrisponda più a un trasferimento di rendite ai danni degli utenti, famiglie e imprese, che a un trasferimento di conoscenze nell´ambito della stessa famiglia. Con la benedizione degli ordini che continuano ad inserire nelle commissioni d´esame (quelle che decidono chi si può iscrivere agli albi) persone che esercitano queste attività e che hanno tutto da perderci dall´entrata di professionisti più bravi e più competenti di loro. Un meccanismo perverso che noi docenti universitari conosciamo bene perché lo abbiamo visto troppo spesso operare nei concorsi accademici.

La Repubblica 22.06.11

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