attualità, cultura

"Il bavaglio del potere contro l'informazione", di Giovanni Valentini

Non sarà certamente il “caso Bisignani”, il faccendiere agli arresti domiciliari per favoreggiamento, a farci scoprire adesso che “l´informazione è potere”. E sappiamo pure che può essere un contro-potere, se svolge il compito di controllare il potere costituito in nome e per conto della pubblica opinione, come spetta alla libera stampa.
Ma la vicenda imperniata sull´ambigua figura di Luigi Bisignani e su quella ancora più equivoca dell´ex magistrato Alfonso Papa, il deputato del Pdl per il quale gli inquirenti hanno chiesto l´arresto, dimostra che l´informazione può diventare anche un anti-Stato. O meglio un contro-Stato, come mi corregge dopo un intervento televisivo l´amico “libertario” Luciano Lanza, alludendo a chi combatte l´organizzazione statale esistente per sostituirla con un´altra forma organizzativa di Stato. Vale a dire, nel caso specifico, un´attività di condizionamento delle istituzioni per orientarne e influenzarne le scelte: dal governo al Parlamento e alla magistratura, fino al sistema dei media e in particolare alla Rai.
Proprio questo era, in base alle accuse delle magistratura, l´obiettivo fondamentale della ragnatela di rapporti e relazioni intessuta da Bisignani, per rafforzare e ampliare il suo potere realizzando affari o malaffari. Dovremo attendere ovviamente che la giustizia – come suol dirsi – compia il suo corso e accerti le responsabilità. Ma intanto dalle anticipazioni delle carte processuali emerge già un intrigo a dir poco torbido e inquietante. E come in altri casi analoghi, le intercettazioni telefoniche aprono uno squarcio illuminante che fa prevalere l´interesse pubblico a conoscerne il contenuto anche sul rispetto formale della privacy.
L´avvocato Fabio Lattanzi, legale di Bisignani, contesta l´interpretazione – ripresa dal sottoscritto a “Otto e mezzo”, la trasmissione di Lilli Gruber su La 7 – che si tratti di informazioni riservate. Ma, altrimenti, in che cosa consisterebbe il favoreggiamento, ai danni dell´amministrazione della giustizia? E su che cosa si fonderebbe la richiesta di arresto per Papa? Non abbiamo forse letto sui giornali che i pm “configurano un´associazione per delinquere finalizzata al procacciamento di notizie segrete e riservate”? Quelle sono le “fughe”, le vere violazioni per le quali bisogna scandalizzarsi.
La tesi “minimalista” secondo cui Bisignani sarebbe soltanto un uomo malato di politica, di relazioni e di chiacchiere, o magari un “millantatore” proprio come Licio Gelli, il capo della loggia P2 sciolta per legge nel 1982 in forza dell´articolo 18 della Costituzione (II comma) che vieta le associazioni segrete, francamente non è credibile e appare già smentita dalle anticipazioni filtrate finora. E anche se il contenuto delle intercettazioni telefoniche fosse “penalmente irrilevante” – come si affretta a dichiarare in modo del tutto irrituale e arbitrario il ministro (ancora) in carica della Giustizia, Angelino Alfano – comunque sarebbero politicamente, moralmente ed eticamente assai rilevanti.
Dice bene, allora, il garante per la Privacy quando ricorda che le persone note hanno diritto a una tutela “attenuata” rispetto agli altri. Ma il fatto è che qui, a parte la notorietà delle persone e la responsabilità pubblica di alcune di loro, non si tratta di vicende che attengono alla sfera individuale o privata. Bensì di trame occulte che – da palazzo Chigi agli altri palazzi del potere fino a quello della Rai – attengono direttamente all´interesse collettivo dei cittadini, implicando perciò il loro diritto a essere informati in modo completo e trasparente su questioni di rilievo generale.
Il governo e la sua maggioranza stiano attenti, dunque, a riproporre in questa circostanza il bavaglio contro l´informazione. Sarebbe certamente un boomerang mediatico e politico. Un potere che pretende di nascondere dietro un divieto illiberale le proprie debolezze e i propri vizi rischia di perdere definitivamente qualsiasi residua legittimazione.

La Repubblica 25.6.11

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“TRASPARENZA ED ECCESSI, IL RUOLO DI TOGHE E GIORNALI”, di Giovanni Bianconi

Da dieci giorni Luigi Bisignani, uomo d’affari e di relazioni, è agli arresti domiciliari a casa sua. Un giudice di Napoli ce l’ha messo con l’accusa di favoreggiamento. I pubblici ministeri avevano chiesto di spedirlo in carcere anche per il reato di associazione per delinquere, ma il giudice ha detto che non c’erano indizi sufficienti. Contro questa decisione, la Procura ha presentato appello. Lo stesso giudice ha chiesto alla Camera dei deputati di mandare in prigione l’onorevole del Pdl Alfonso Papa, aggiungendo le accuse di corruzione, concussione ed estorsione. Bisignani e Papa sono anche sospettati di far parte di un gruppo di potere occulto «diretto a interferire sull’esercizio di funzioni di organi costituzionali, amministrazioni ed enti pubblici» , in violazione della legge del 1982 (successiva allo scandalo P2) che vieta le associazioni segrete. Ma per questa ipotesi— tuttora in piedi — gli stessi pubblici ministeri non hanno nemmeno chiesto l’arresto, ritenendo non sufficientemente gravi gli elementi raccolti finora. In questa complessa situazione giudiziaria sono state svolte intercettazioni telefoniche e ambientali durate mesi, e da qui deriva il profluvio di pubblicazioni di verbali e conversazioni tra Luigi Bisignani e molti suoi interlocutori. Al punto di rianimare la tentazione di una legge che vieti, o comunque limiti, la pubblicazione di quei documenti. Accompagnata da polemiche più o meno esplicite contro i magistrati che le hanno inserite negli atti. Perché sono «penalmente irrilevanti» , si dice, e perché vi compaiono spesso nomi e discorsi di parlamentari. Ma gli intercettati non erano i parlamentari, bensì Bisignani che parlava spesso con loro e di loro. Il quale è agli arresti non perché s’intratteneva con ministri e sottosegretari, ma per tre episodi di presunto favoreggiamento dedotti da alcune di quelle conversazioni e altre testimonianze. Il giudice, nella sua ordinanza, ha inserito solo le conversazioni ritenute utili a sostenere il favoreggiamento per Bisignani e le altre accuse per Papa; i pubblici ministeri nella loro richiesta, hanno trascritto quelle che sostenevano anche l’accusa di associazione per delinquere: e sono di più, giacché per dimostrare quel reato hanno inteso illustrare relazioni e contatti del principale indagato. Emessi i provvedimenti, i pubblici ministeri hanno depositato alle parti — secondo l’interpretazione del codice da loro ritenuta corretta — tutti gli atti del procedimento, che comprende anche l’ipotesi di associazione segreta. Facendo così cadere il segreto investigativo su quelle carte. Comprese le informative della polizia giudiziaria in cui, per chiedere la proroga delle intercettazioni ogni due settimane, si riportavano di volta in volta ampi stralci delle conversazioni già registrate, affinché i magistrati valutassero l’opportunità di continuare gli ascolti. È in quella sede che viene esaminata la «rilevanza penale» dei discorsi intercettati. Che non si limita, come pare ritenere qualcuno, alla diretta derivazione di un reato da un singolo discorso. Se l’accusa ipotizza che un gruppo di potere condiziona enti e istituzioni orientandone le decisioni, è normale che dia valore a conversazioni in cui si parla di Rai e di nomine, voti spostati ed emendamenti parlamentari, ministri amici o nemici. Luigi Bisignani ha sostenuto davanti al giudice di essere «una persona per bene che cercava di dare dei consigli» . Secondo i pm, invece, era un «procacciatore istigatore-utilizzatore di notizie segrete» , raccolte anche attraverso il suo sistema di relazioni; perciò danno peso a conversazioni apparentemente insignificanti ma utili, nella visione dell’accusa, a disegnare il contesto in cui si muoveva il presunto «dirottatore» della pubblica amministrazione. Toccherà ai giudici stabilire, qualora si arrivasse a un processo, se sono stati commessi i reati ipotizzati. Nel frattempo i passaggi processuali compiuti hanno aperto la via della divulgazione a quanto scoperto con le indagini, e al contenuto degli atti depositati. Forse con qualche eccesso a monte, nell’inserimento dei colloqui nei fascicoli dell’inchiesta, e a valle, nella loro pubblicazione. Però i giornali non sono tribunali, è naturale che attribuiscano rilevanza non solo a ipotetici reati ma anche a discorsi di cui sono venuti lecitamente a conoscenza che svelano i meccanismi del potere e di certe istituzioni; per esempio su come funzionano le cose nelle stanze del governo o ai piani alti di Enti pubblici o semipubblici. «Realtà purulenta» , l’ha chiamata Massimo Teodori su queste colonne. Si possono immaginare riforme che regolino meglio il deposito di alcuni atti processuali, ma tornare a discutere se si possono diffondere o meno atti non più segreti significherebbe scegliere di impugnare la scopa per nascondere tutto sotto il tappeto, anziché l’aspirapolvere per provare a pulire l’ambiente.

GIOVANNI BIANCONI dal Corriere della Sera del 25 giugno 2011