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«Con una manovra così la ripresa ce la scordiamo», intervista a Guglielmo Epifani

Povera Italia. Povera, oltre al resto, anche in senso propriamente economico, con il lavoro che non c’è, gli investimenti fermi, il prodotto interno lordo che secondo le previsioni dovrebbe salire pochissimo e che salirà ancor meno, resterà al di sotto dell’uno per cento, gradino minimo che sembra diventato insormontabile. Povera Italia degli annunci, delle promesse, degli inganni.
«Una situazione economica e finanziaria pesantissima, ben più pesante di quanto i racconti di Berlusconi lascino intendere. La gravità che noi vediamo, e non da oggi, è stata, un’altra volta, confermata di recente dai dati di Confindustria, dati che indicano problemi che s’ingrossano e la necessità di una manovra più dura».
A tratteggiare il quadro è Guglielmo Epifani, l’ex segretario della Cgil, ora presidente dell’istituto Bruno Trentin. Epifani, continuano insomma a raccontarla a modo loro, mentre ci sarebbe bisogno di chiarezza…
«Il primo errore e la prima colpa del governo stanno nell’insistere a sottostimare la gravità della crisi, sbagliando tutti i conti. Non avrebbe avuto senso, ad esempio, in queste condizioni, annunciare che la manovra verrà diluita in tre anni. Come verrà diluita?È stato preso un impegno a Bruxelles per azzerare il deficit corrente entro il 2014. Tremonti ha voluto così, nella convinzione che il prodotto interno lordo risalisse a partire dal 2012. Invece stiamo lontani da quella previsione, con la conseguenza che il quadro della manovra si presenta sempre più incerto e preoccupante. Purtroppo proponendo una manovra di quella dimensione quando il paese è immobile, si mortifica ogni possibile manifestazione di ripresa. L’immagine più appropriata è quella del serpente che si morde la coda: il rilancio dell’economia non si vede, allora diventa urgente ampliare i margini della manovra, ma se la manovra affonda la lama, se è un manovra di tagli e tagli, l’effetto restrittivo sulla crescita è ancora più sensibile. D’altra parte in questo paese, con questo governo, non abbiamo assistito a una sola operazione di stimolo degli investimenti. Hanno pensato che la crescita potesse arrivare dal cielo, un altro miracolo. Il miracolo non si è realizzato, purtroppo. In questa illusione tradita e in quei numeri, che anche Confindustria cita, si legge tutto il fallimento di una politica economica ».
Una politica economica che reca una firma. C’è un problema di responsabilità.
«Intanto il primo dovere del governo sarebbe quello di rivolgersi con chiarezza al paese, al parlamento, alle parti sociali, agli enti locali, smetterla con le falsità e con le promesse…». Ha ragione il presidente Napolitano, con il suo invito al rigore? «Certo che ha ragione. Ha ragione, quando richiama al senso di responsabilità. Ma la responsabilità comincia da una questione fondamentale, dall’esigenza cioè di un confronto trasparente, tanto più necessario quanto più nero è l’orizzonte. Il governo non si rassegna. Vuole continuare da solo insistendo su una logica pro ciclica, mostrando sempre le stesse carte: i tagli, abbastanza indiscriminati, a danno dei comuni, contro la sanità, contro il welfare, negando qualsiasi investimento pubblico. L’altro giorno abbiamo assistito alla protesta delle Regioni… In compenso si risente di nuovo parlare di tfr, come se quelli del tfr non fossero soldi dei lavoratori, che peraltro servono alle piccole e medie impresecome fonte di finanziamento. Si sono persino inventati di aumentare i contributi sociali sulle spalle dei lavoratori precari, mentre avrebbero dovuto ridurre la precarietà, una delle tante facce della debolezza del nostro sistema produttivo, esemplificazione della criticità sociale e industriale del paese”.
E però questo governo varerà la riforma fiscale.
«Ho qualche dubbio. Verrà tutto rinviato a un tempo indefinito. Ma ho dubbi anche nel merito perché tra tante chiacchiere non mi pare che compaiano obiettivi fondamentali: si dovrebbe ridurre l’incidenza delle tasse sul reddito da lavoro e sull’impresa, liberando gli investimenti dai vincoli fiscali e modificando la base di calcolo dell’Irap, cercando insomma di favorire le imprese che danno più occupazione. Si potrebbe fare, se si andassero a cercare le risorse dove esistono, tra le grandi ricchezze e i grandi patrimoni. Invece: niente per il lavoro, niente per l’impresa, mentre, seguendo la strada delle detrazioni, si rischia di penalizzare ancora i redditi medio bassi. Il quadro è assolutamente negativo e sarà inevitabilmente l’oggetto dello scontro politico, dentro e fuori il governo, nelle prossime settimane e nei prossimi mesi…».
Intanto tornano a galla le pensioni.Da tempo non si sentiva qualcuno predicare il prolungamento dell’età pensionabile. Sarebbe quest la via?Isessantasette anni saranno la nostra ciambella di salvataggio?
«Ci avevano spiegato, proprio l’anno passato, che con le pensioni eravamo a posto, che non se ne sarebbe parlato. Invece siamo lì. Qualcuno s’è sbagliato, quindi, ma dovrebbe alzare la mano.C ’è una logica: si colpisce dove è più facile colpire».
Confindustria invece torna alla vecchia ricetta: moderazione salariale che dovrebbe far recuperare competitività. Ma non s’era detto che i salari sarebbero dovuti crescere per riavviare i consumi?
«Sì, la competitività si recupera innovando, non certo bloccando livelli salariali che sono già fermi da tempo… ».
Non quelli dei dipendenti pubblici, però…
«È la solita storia delle medie. Almeno si distingua tra alta dirigenza e altri ruoli. Comunque si chiariscano le idee: fino ieri avevano sostenuto la necessità di redditi più alti condizione di ripresa dei consumi, condizione a sua volta di rilancio dell’economia. Tanta confusione dimostra che non se ne esce, se non cambia il quadro di riferimento, se non si inverte la politica, se non si riconosce che alle spalle si sono commessi errori gravissimi, compreso quello di immaginare il pareggio possibile nel 2014».
Ma si può cambiare…anche quella data?
«Appena ti muovi però si agitano i mercati finanziari. Sappiamo che cosa può accadere. Lo dimostra la Grecia. Per modificare qualcosa bisogna avere la disponibilità a riconoscere errori e responsabilità, bisogna aver chiaro che non si va da nessuna parte se si continua a colpire il lavoro e l’impresa, che bisogna invece accrescere il tasso di equità della manovra a favore di lavoro e impresa. L’altro passo è ritrovare trasparenza nelle proposte, ricostruire il dialogo con il paese. Se il governo va avanti per conto suo, isolato, se non si stimola la partecipazione, non vedo come si possa mettere assieme la forza per un serio programma di risanamento e insieme di rilancio ».
Ma non pare che questo governo abbia intenzioni del genere e si potrebbe pure chiamare in causa qualche incertezza e qualche divisione tra gli interlocutori, cioè tra le parti sociali in primo luogo…
«Eppure non c’è altra via».
Insistiamo. Il governo non pare abbia granvoglia di mettersi in ascolto. Forse non resta che il ricorso alle lotte. Di nuovo…
«Una manovra ingiusta che finisce per l’affossare la crescita contribuirebbe ad alimentare la tensione sociale, colpendo interessi molto diffusi nel paese. Qui sta l’interrogativo grave, perchè in realtà è difficile pensare che questo governo che ha sbagliato analisi e politica sia in grado di portarci fuori dalla crisi con più crescita e più coesione sociale ».

L’Unità 26.05.11