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«Licenziamo solo le donne così stanno a casa con i figli», di Laura Matteucci

«Licenziamo le donne così possono stare a casa a curare i bambini, e poi quello che portano casa è il secondo stipendio…». Anno domini 2011 dopo Cristo, profondo nord. Siamo a Inzago, comune in provincia di Milano sulla strada che porta a Bergamo: qui galleggia tra crisi e ripresa la Ma-Vib, piccola azienda che produce motori elettrici per impianti di condizionamento, con 30 dipendenti, 18 donne e 12 uomini. Oggi scioperano, presidiano e decidono il da farsi, dopo le ultime prese di posizione di una proprietà ineffabile, uscita fresca fresca dall’italietta paternalistica degli anni Cinquanta e mai approdata al XXI secolo. Qualche calo produttivo, e la cassa integrazione inizia già quattro anni fa a corrente alternata, poi negli ultimi mesi si fa più massiccia (e senza anticipi), con una media di incidenza di 2-3 settimane al mese. Ma il punto è un altro: i dipendenti messi in cig sono solo donne, con l’eccezione di un uomo che sembra davvero confermare la regola. La motivazione, così come informano i sindacati, è grottesca: «Ci hanno spiegato che “le donne possono stare a casa a curare i bambini e che comunque il loro è il secondo stipendio” – dice Fabio Mangiafico della Fiom Cgil di Milano, che segue l’azienda manifatturiera –È purtroppo vero che la discriminazione nei confronti delle donne è una costante nei luoghi di lavoro, ma fatta in un modo così becero è un caso più unico che raro». L’incontro di ieri con i vertici aziendali ha fatto precipitare la situazione: ai sindacati che proponevano il contratto di solidarietà (si lavora meno, a stipendio ridotto ma senza licenziamenti), l’azienda ha opposto l’idea di aprire la procedura di mobilità (leggi, licenziare) una decina di dipendenti a partire da settembre, nonostante la prima opzione alleggerirebbe i conti esattamente come la seconda. Si tratterebbe, va da sè, delle stesse persone già colpite dalla cassa integrazione, ovvero praticamente solo donne. Anna (nome di fantasia, perchè la paura di rappresaglie è diffusa) lavora alla Ma-Vib da parecchi anni, di figli non ne ha (e non è l’unica), lo stipendio le serve eccome: «Il privato dei dipendenti è privato e a loro non deve interessare – dice – In azienda gli uomini sono un po’ protetti, la proprietà li vede come capifamiglia, e noi finora abbiamo subito la situazione, ma non intendiamo continuare a stare lì a guardare». Alla Ma-Vib in età di prepensionamento non c’è nessuno, e comunque i sindacati parlano di una situazione finanziaria e imprenditoriale con qualche difficoltà, qualche calo produttivo, ma senza i problemi drammatici che in questi anni di crisi molte altre aziende hanno invece dovuto fronteggiare. Le donne licenziande, tra i 30 e i 40 anni, sarebbero peraltro tutte operaie che montano i motori, quindi anche la strategia imprenditoriale resta oscura. «Se l’azienda dovesse insistere con i licenziamenti – riprende Mangiafico – è chiaro che non sarebbe difficile dimostrarne in sede legale il comportamento discriminatorio, ma intanto i tempi si allungherebbero, e molte dipendenti rimarrebbero fuori dalla fabbrica».

L’Unità 30.06.11

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