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"Da insegnante precaria a disoccupata. Il rito del passaggio", di Cristina Ventura

Il Centro per l’Impiego di Milano, in Viale Jenner, apre alle 9.00. Ma il primo luglio, alle 7.45, ci sono quasi centocinquanta persone davanti alle porte. Il solito disoccupato organizzato, evidentemente esperto, tira fuori carta e penna e invita i presenti a scrivere il proprio nome secondo l’ordine di arrivo. Per evitare ressa e colpi di mano quando gli uffici apriranno.
Al momento di inserirsi nell’elenco, due disoccupati nervosetti vengono alle mani. I presenti devono separarli.
Arrivo alle 9.00 in punto e, dopo una piccola coda all’ingresso, raggiungo l’atrio, dove un impiegato urla “Insegnante?” , mi consegna un modulo da compilare e un bigliettino verde.
Sono l’utente numero 302.
Il primo luglio è il giorno della transustanziazione, proprio così: migliaia di insegnanti passano dallo stato di precari a quello di disoccupati. Un evento-miracolo che si ripete ogni anno, dopo la scadenza di gran parte dei contratti a tempo determinato il 30 giugno.
Siamo tutti lì a richiedere la “ Dichiarazione di disponibilità al lavoro”, al fine di poter inoltrare all’INPS la domanda di disoccupazione ordinaria che, se accettata, consentirà ai precari di sopravvivere l’estate senza stipendio.
Gli uscieri ci stivano (o giù di lì) in due sale e comincia l’attesa di almeno un’ora. Intanto compiliamo il modulo che ci hanno consegnato all’ingresso: l’agognata “Dichiarazione”.
Mi guardo intorno. Siamo insegnanti, tutti laureati, la maggioranza ha quasi 40 anni. Mi chiedo come tutto ciò sia possibile in un paese civile. Capisco che è meglio non pensare troppo alla risposta.
Ci chiamano a blocchi di 40-50 per immetterci (deportarci? La percezione è, per un attimo, un po’quella) in un grande cortile sotto il sole. La voce dell’usciere che chiama “dal numero x al numero y” non riesce a sovrastare il nostro brusio.
Per paura di non sentire la chiamata ci affacciamo sulla porta e facciamo muro. Questo innervosisce i nostri Caronte perché invadiamo l’atrio e blocchiamo l’ingresso alle altre centinaia di persone che stanno arrivando.
Possibile che abbiano tanta diffidenza verso di noi? Dopotutto siamo gli insegnanti dei loro figli, siamo quelli che se ne prendono cura per buona parte della giornata. Perché ci guardano insofferenti? Siamo gente che si è costruita una professionalità il più delle volte a sue spese; viviamo, in genere, con passione questo nostro delicato mestiere. L’unico forse a non volerlo sapere è il signor Brunetta, per sua esclusiva fortuna, ministro di questa nostra Repubblica. L’attesa in cortile dura quasi un’altra ora, poi a blocchi di 45 ci chiamano per la meta finale. Qui tutto scorre in modo veloce. La dichiarazione ce la siamo compilata da soli, gli impiegati l’hanno solo fotocopiata e hanno messo due timbri. Visto che da quest’anno la richiesta di disoccupazione all’ INPS dovremo farla tramite web, non era proprio possibile ottenere la Dichiarazione on-line? Mah! L’impiegato che si occupa di me è sulla quarantina e molto gentile. Quando sta per mettere i timbri, un suo collega si avvicina e gli sussurra: “Ce ne sono ancora altri 200”. Lui ha un moto di stizza, non riesce a trattenersi e mi dice che a loro tocca fare gli straordinari mentre l’amministrazione ha lasciato a casa i suoi colleghi a tempo determinato. Hanno fatto una dura lotta senza risultato. Gli chiedo se anche lui è precario. Lo è.
Me ne vado pensando “ Di che reggimento siete, fratelli”?

da ScuolaOggi 03.07.11