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"I 17 anni che non cambiarono Berlusconi mentre nasceva una nuova società", di Corrado Stajano

Se diciassette anni ci sembran pochi. Berlusconi e il berlusconismo, regime o non regime. Forse è ora di cominciare a tirar le somme di questo tempo lungo. Adesso che l’aria sembra mutata e sulla scena è comparsa una nuova società, fatta di giovani anche, sepolti o finiti nelle catacombe, si temeva. Imbrigliati in un presente immiserito, senza un futuro, vogliosi di riprendersi la vita. Torniamo alle origini, si è sentito dire invece da fedeli seguaci del premier, nostalgici di anni per loro irripetibili. Ma come fu quel passato così rimpianto? Davvero fervido, diverso da un oggi che costringe chi non ha beni e lavoro a tirare a campare nel timore di quel che può accadere? La XII legislatura del Parlamento della Repubblica, quella della «discesa in campo» di Berlusconi, cominciò il 15 aprile 1994. Per il centrosinistra disunito fu una disfatta. L’inchiesta di «Mani pulite» aveva messo a nudo, dal 1992, la corruzione dei partiti e gli elettori scelsero allora l’uomo nuovo dell’antipolitica ritenendo probabilmente di completare con il loro voto la popolare opera di pulizia di quei magistrati, così disamati, invece, dal futuro premier, il vero beneficato. In quel frammento di legislatura che per Berlusconi presidente del Consiglio terminò alla fine dell’anno si ritrovano già tutti i segni di quel che sarebbe accaduto dopo, fino all’attuale XVI legislatura. Il 22 novembre 1994, quando ricevette dalla Procura di Milano il famoso invito a comparire per corruzione, Berlusconi parlò in tv a reti unificate e espresse il nocciolo del suo pensiero politico che viola le regole elementari della Costituzione: «Non siamo disposti a consentire che un abuso e una strumentalizzazione infami della giustizia penale conducano al massacro della prima regola della democrazia, la quale dice che deve governare chi ha avuto i voti» . Quel primo governo berlusconiano non esplose — come viene ripetuto — a causa di quell’ordine di comparizione, ma per la mozione di sfiducia firmata da Bossi e da Buttiglione, alla fine di dicembre. Il famoso ribaltone. Non sembra una storia ripetibile del nostro tempo presente, così ricco di sciabolate tra alleati e di ricatti più o meno mascherati? Quei mesi furono fitti di primizie della futura antipolitica e del suo stile. Quando erano in corso le votazioni per la nomina del presidente del Senato, per esempio, Berlusconi disse: «O passa Scognamiglio o si va a votare» . Scorrettezza severamente stigmatizzata dal Quirinale. I giornali stranieri più autorevoli, «El Pais» , «Le Monde» , l’ «Independent» , la «Süddeutsche Zeitung» , il «New Yorker» , criticarono duramente già allora il tycoon monopolista delle tv private a capo del governo di uno dei Paesi più industrializzati del mondo. Non fa sussultare, tanti anni dopo, il titolo della copertina dell’ «Economist» dell’ 11 giugno scorso, «The man who screwed an entire country» ? Un economista, Filippo Cavazzuti, e un professore di scienza della politica, Gianfranco Pasquino, senatori del gruppo dei Progressisti, presentarono, il primo giorno della XII legislatura, un disegno di legge di un solo articolo che regolava il conflitto di interessi, il problema principe che ha condizionato gravemente questi anni. Dev’essere rimasto in qualche armadio di Palazzo Madama. Fu il decreto Biondi, il 14 luglio 1994, sulla custodia cautelare che aboliva il carcere per tutta una serie di reati, quelli di Tangentopoli — concussione, corruzione, peculato— a dar la prova del modo di intendere diritto e giustizia del governo Berlusconi. Era il test dilettantesco delle future leggi «ad personam» — il decreto allora fu ritirato a furor di popolo — che in questi anni hanno svergognato la «patria del diritto» e seguitano a tentar di farlo. Oggi come ieri, dunque? Alcuni berlusconiani si sono un po’ acculturati, micragnosi nel trovare appigli, commi, leggine, codicilli, emendamenti per tutelare sfacciatamente gli interessi privati del premier. Ma la famosa «gente» adesso si è stufata delle promesse bugiarde, degli eccessi, del moderatismo senza moderazione. Non sarà breve la caduta, gli eserciti sconfitti sono pericolosi, capaci di tutto, le difficoltà sono profonde, la corruzione è dilagante, la crisi grave, la classe dirigente inadeguata. Ma il declino del berlusconismo è cominciato, la volontà di cambiamento si può verificare ovunque. Quella sera della vittoria a sindaco di Giuliano Pisapia, centomila persone hanno fatto festa in piazza del Duomo a Milano dove da sempre comincia e finisce tutto. Erano ragazzi, giovani delle partite Iva, ricercatori, professori, studenti, precari, genitori trentenni con le carrozzine dei bambini. Tutta una società minuta, umiliata in questi anni dalle promesse non mantenute di milioni di posti di lavoro. Felici, liberati. Quando lo speaker annunciò dal palco che avrebbe parlato il presidente nazionale dell’Anpi, professor Carlo Smuraglia, ci fu un momento di silenzio. Poi, nella piazza, si diffuse un canto che nella cancellazione della memoria di oggi si pensava sconosciuto a quei giovani: «Bella ciao» . Un emozionante grido di speranza.

Il Corriere della Sera 07.07.11