memoria

"Incastrati dai diari. Sei all’ergastolo per 18 stragi naziste", di Andrea Pasqualetto

Il più giovane è Alfred Lühmann, 86 anni, taglialegna in pensione della Bassa Sassonia, all’epoca dei fatti caporale dell’esercito tedesco. Gli altri superano tutti quota novanta, dall’ufficiale Karl Hans Georg Winkler, poi medico primario a Norimberga, al sergente Karl Wilhelm Stark, dai sottotenenti Fritz Olberg e Ferdinand Osterhaus al tenente Erich Koeppe. Per il tribunale militare di Verona sono responsabili delle stragi naziste della Panzer Division «Hermann Göring» , il reparto speciale che nel marzo 1944, battendo in ritirata, mise a ferro e fuoco una ventina di paesi fra Toscana ed Emilia uccidendo circa 400 civili, compresi vecchi, donne e bambini. Nessuna attenuante: sei ergastoli. Assolti per non aver commesso il fatto solo Karl Friedrich Mess, vicecomandante della batteria antiaerea, e Herbert Wilke, comandante di plotone. La giustizia terrena chiude così un altro capitolo della storia nera d’Italia. Dopo Priebke, Hass, Kappler, Seifert, dopo i processi per lo sterminio delle Fosse Ardeatine, il lager di Bolzano, i massacri veneti del Padovano e del Vicentino, sono state dunque riscritte anche le terribili giornate dell’Appennino tosco-emiliano. Diciotto massacri in altrettanti paesi e borgate fra Firenze, Massa, Modena e Reggio Emilia che hanno pagato in questo modo il loro tributo di sangue al Secondo conflitto mondiale e in particolare alla furia nazista causata dalla rottura dell’alleanza fra Italia e Germania. Ieri sera, alla lettura della sentenza, i sindaci di molti di quei paesi si sono spellati le mani insieme ai familiari delle vittime. «Siamo molto soddisfatti, è quello che volevamo. Una liberazione» , gioiva Italo Rovali, presidente del comitato che li riunisce, insieme agli avvocati Andrea Speranzoni e Vainer Burani, che difendono le centinaia di parti civili. Il processo è nato dai fascicoli del cosiddetto «armadio della vergogna» di palazzo Cesi, dove i documenti sugli eccidi erano rimasti a ingiallire fino al 1960 per poi essere archiviati con una formula standard: «Poiché non sono emersi elementi per l’identificazione dei responsabili, la Procura generale militare dispone l’archiviazione provvisoria» . Dopo aver tolto il segreto e riaperto i fascicoli, si è però scoperta una realtà diversa. Alcune stragi avevano nomi e cognomi e così le Procure militari della penisola si sono rimboccate le maniche. Per quelle tosco-emiliane ci ha pensato prima La Spezia e poi Verona, con la collaborazione delle autorità tedesche. Le quali hanno utilizzato un sistema innovativo per fatti così lontani nel tempo: intercettazioni. Proprio così: i telefoni di alcuni indagati sono stati controllati a distanza di quasi settant’anni. E in qualche conversazione con un amico, Lühmann ha offerto spunti agli inquirenti. L’amico: «… e ne avete anche fatti fuori un paio» . Lühmann: «Certo, quelli si difendevano anche» . Poi sono spuntati dei diari e il tutto si è combinato con le testimonianze dei sopravvissuti. Risultato: ergastolo. Pagheranno? Solo alla storia: i condannati per reati militari non possono essere estradati.

Il Corriere della Sera 07.07.11

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“Eccidio di Monchio Tre ergastoli agli ex SS”, di Evaristo Sparvieri

Ieri la sentenza a Verona dopo oltre dieci ore di camera di consiglio Sette in totale i condannati anche per le stragi di Cervarolo e della Toscana
LA GIOIA DEI PARENTI Dopo la lettura delle condanne a vita esplode la gioia in aula: dieci minuti di applausi per liberarsi di 67 anni di attesa e frustrazione
CONDANNE DA RISARCIRE Le pene riguardano tedeschi oggi molto anziani Indicate le somme ma la Germania si è chiamata fuori
«Una sentenza storica che mette in luce che nessun crimine contro l’umanità può restare impunito». A parlare è l’avvocato della Provincia di Modena, Andrea Speranzoni che ieri ha accolto con commozione la lettura della decisione dei giudici del tribunale di Verona. In totale gli ergastoli sono stati 17, perchè ai sette imputati condannati ne è stato inflitto più di uno a testa per le stragi anche di Cervarolo nel Reggiano e della Toscana. Tre ex nazisti condannati all’ergastoli per l’eccidio di Monchio e altri quattro per le stragi nel Reggiano e in Toscana; due sole le assoluzioni. Accolti anche i risarcimenti danni. È la sentenza emessa dalla seconda sezione del tribunale militare di Verona, per il processo che vedeva nove imputati, appartenenti alla divisione Herman Gohering, per concorso in omicidio pluriaggravato. Gli ergastoli, complessivamente, sono stati 17 perchè agli imputati ne è stato inflitto più di uno a testa. Per 3 di questi, appunto, la massima pena era stata richiesta per la strage di Monchio, Costrignano e Susano. La sentenza è arrivata dopo oltre 10 ore di camera di consiglio, salutata da dieci minuti di applausi da parte dei familiari delle vittime, arrivati a centinaia da Monchio, Cervarolo e dai paesi della Toscana. La corte, presieduta dal giudice Vincenzo Santoro, si è riunita nella mattinata intorno alle 10, subito dopo le repliche avanzate nell’udienza mattutina da uno degli avvocati della difesa. Ma il dispositivo è stato letto solo dopo le 20. Una sentenza sofferta che, per i fatti modenesi, ha visto la condanna al carcere a vita per Ferdinand Osterhaus 93 anni, all’epoca dei fatti sottotenente, per il caporale Alfred Luhmann, 86 anni (caporale) e per Helmut Odenwald, 91 anni (capitano). Per Luhmann e Osterhaus i pm avevano chiesto la condanna all’ergastolo anche per le stragi di Monte Morello e Vallucciole, in Toscana. Accolte anche in questo caso dalla Corte. Due le assoluzioni, riferite ai fatti di Toscana: assolti per non aver commesso il fatto Herbert Wilke e Karl-Friedrich Mess. Prima della lettura della sentenza, dubbi tra pm e avvocati di parte civile , tra i quali l’avvocato Andrea Speranzoni in rappresentanza della Provincia di Modena, sull’esito della richiesta alla massima pena nei confronti di Odenwald: una richiesta all’ergastolo avanzata solo lunedì scorso dai pm Bruno Bruni e Luca Sergio, inoltrata dopo aver supplito con nuova documentazione, nella quale si è accertato che Odenwald era il comandante della decima batteria artiglieria contraerea, e come tale responsabile dei bombardamenti su Montefiorino. Le motivazioni saranno rese note tra 90 giorni, per un processo iniziato alla fine del 2009, oltre 60 anni dopo il 18 marzo del 1944 in cui videro la morte circa 140 modenesi. Più di 50 le udienze. I pm hanno prodotto una documentazione di circa 60 faldoni. Tra le parti civili, oltre a centinaia di familiari delle vittime, anche la Regione, la Provincia, il Comune di Palagano e l’Anpi. La corte ha stabilito nei confronti il pagamento di somme risarcitorie pari a 30 mila euro per la Regione, 100 mila per la Provincia e 10 mila per l’Anpi. Risarcimenti da 30 mila e 200 mila euro anche per tanti familiari delle vittime, stabiliti in base al vincolo di parentela. E il pagamento delle somme risarcitorie sarà al vaglio delle sedi civili e della corte internazionale dell’Aja: «Con le condanne i risarcimenti diventano automatici – spiega l’avvocato della Provincia Andrea Speranzoni – ma la Germania ha stabilito che in questo e in altri processi non pagherà risarcimenti per danni biologici».

La Gazzetta di Modena 07.07.11

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«Finalmente giustizia dopo tanti anni» Lo sfogo delle vittime

Un lungo applauso la prima reazione di figli e parenti «Questa era l’unica pena adeguata a quei crimini orrendi». La grande attesa e poi l’applauso liberatorio. Per centinaia di modenesi, la sentenza di ieri rappresenta una richiesta di giustizia attesa per oltre 60 anni e arrivata solo ieri sera, dopo oltre dieci ore di Camera di Consiglio. Anche per i pubblici ministeri, Luca Sergio e Bruno Bruni, uno dei primi pensieri dopo la lettura della sentenza corre proprio a quelle persone, alle loro sofferte testimonianze, alla loro tenacia. E a alla fiducia che prima o poi la Storia li avrebbe risarciti di ciò che ha tolto loro quel lontano 18 marzo 1944, quando furono oltre 140 le vittime accertate nel Modenese a cadere sotto il fuoco dei nazisti. «Molti testimoni, nel momento di deporre, hanno detto che erano più di 60 anni che aspettavano di sedersi in un’aula di tribunale per raccontare ciò che hanno vissuto – spiegano i due pubblici ministeri – Molti hanno pianto e hanno riportato alla memoria fatti lontani nel tempo ma purtroppo ancora freschissimi nella loro memoria». Il pullman partito da Modena arriva nel tribunale scaligero verso le 16.40. La lettura della sentenza è attesa per le 17. Poi un primo annuncio, e un primo rinvio alle 18. Passano i minuti e la Corte ritarda. A qualcuno cominciano a farsi strada strani pensieri. Alfredo Marchi è stato uno dei testimoni, ascoltato per la prima volta nella Caserma di Montefiorino, prima di venire a deporre qui a Verona: «Ho raccontato l’uccisione dei miei zii e di mio fratello di 27 anni – ricorda – Non è mai troppo tardi per avere giustizia. Chiediamo solo questo». Anche per Adriana Gualmini, che ha ancora fresca nella memoria la barbara uccisione del padre lungo la strada per Savoniero, è finalmente arrivato il momento della giustizia: «L’ergastolo era la sola pena adeguata per questi crimini. Era quella richiesta e alla fine è arrivata. Siamo soddisfatti». Giustizia e soddisfazione. Sono queste infatti le parole che pronunciano con maggior frequenza i familiari delle vittime, che hanno ascoltato gli oltre 40 minuti di lettura del dispositivo della Corte in rigoroso silenzio, prima di esplodere in un grande applauso. Si dice soddisfatto anche Leo Compagni. Per lui, nessuna richiesta di risarcimento: «Non ho sentito bisogno di farla». Mario Marchi ha perso il fratello di 27 anni nella strage:« Sono soddisfatto, ma bisognava aver giustizia prima». Poi si sofferma a pensare:«In fondo, arrivare a sentenza dopo 60 anni, vuol dire aver atteso che la storia facesse il suo corso». Come lui la pensa Bartolomeo Fontanini: «Dopo tanti anni da quel giorno in cui ho perso mio padre, non posso che essere soddisfatto». Domenico Abbati all’epoca dell’eccidio aveva 4 anni. Ricorda ancora il giorno in cui gli puntarono la pistola sulla tempia, prima di uccidere suo padre. Per caso, lui e sua madre furono risparmiati: «Per noi questo è un giorno di grande liberazione». Nel corso delle udienze, pm e parti civili avevano stilato una lista di oltre 500 testimoni.

La Gazzetta di Modena 07.07.11

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“Quel 18 marzo 1944 le SS non ebbero pietà”, di Francesco Seghedoni

Ecco cosa accadde il giorno della carneficina: i bombardamenti, i rastrellamenti e i cumuli di corpi. Ecco cosa accadde il 18 marzo 1944. Alle 6 del mattino una tempesta di fuoco proveniente da Montefiorino, dov’erano piazzati i pezzi di artiglieria dell’esercito tedesco-divisione corazzata Hermann Göring, investì la zona di Santa Giulia. Era il preludio alla carneficina ai danni della popolazione civile che i nazifascisti, di lì a poche ore, avrebbero eseguito sui residenti nelle località che oggi fanno parte del Comune di Palagano. Le ragioni di tanto odio vanno ricercate, e questa è ormai verità storica, nella rappresaglia condotta dalla Wehrmacht dopo il rastrellamento del 16 marzo.Quel giorno di fine inverno, con l’obiettivo di snidare e costringere alla resa i partigiani, i nazifascisti bombardarono la zona di Santa Giulia colpendo ed incendiando, per prima, l’abitazione di Gino Silvestri. Mentre nei rastrellamenti di dicembre e febbraio i partigiani si erano sganciati trovando riparo nei monti vicini, quella volta accettarono la battaglia. In località Corbelletta una raffica di mitraglia sparata dai ribelli uccide sei soldati e un ufficiale tedesco. Il giorno successivo i reparti nazifascisti iniziarono a preparare la rappresaglia. Il 18 marzo, conclusi i bombardamenti verso le 7 del mattino, i reparti tedeschi assaltarono, in cerca dei partigiani, le borgate di Monchio, Susano, Savoniero e Costrignano. Una prima pattuglia di tedeschi in moto a Lama di Monchio si lasciò sfuggire qualche frase sull’imminente strage che le SS volevano fare. A questo punto l’arciprete don Luigi Braglia, che ha documentato quei tragici eventi, consiglia ai paesani, inascoltato dai più, di fuggire. «Non erano innocenti questi umili montanari?Non avevano le carte in regola forse?E dunque cosa avevano da temere?», scrisse Braglia. In pochi seguirono quel monito, per gli altri iniziò la mattanza. I nazifascisti entrarono a Monchio con le autoblindo, le mitraglie e i carri armati: bruciarono le case, le stalle e iniziarono a giustiziare casa per casa chiunque gli capitasse a tiro. Sulla strada del vecchio cimitero gli uomini vennero radunati a gruppi di 30 e fucilati. Verso le 17 gli ultimi spari.«Quale spaventoso deserto, non c’era più anima viva e intorno tutto era silenzio, mentre ovunque era un tragico campo di morti» scrisse don Braglia dopo essere scampato alla morte.

La Gazzetta di Modena 07.07.1

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Braglia: ora realizziamo il museo

L’annuncio del sindaco di Palagano. La Provincia: «Medaglia d’oro al Comune». «La cosa più importante è il giusto rilievo ai tragici eventi di Monchio, Costrignano, Susano e Savonierio e questa sentenza rende giustizia». È il commento del sindaco di Palagano, Fabio Braglia, che ora pensa alla realizzazione di un museo dedicato ai fatti che tanto hanno scosso l’Appennino modenese. «I fatti raccontano una strage con la S maiuscola, inammissibile anche in periodo di guerra, e la memoria deve essere la base per la costruzione del futuro. Bisogna ricordare il sacrificio di chi ha perso la vita». «Vogliamo trovare i fondi anche per il restauro dei monumenti, tra i quali la Buca di Susano, l’emblema dell’eccidio». Soddisfatta anche il sindaco di Montefiorino, Antonella Gualmini: «Siamo vicini ai famigliari delle vittime, ai quali va il nostro ringraziamento per aver creduto nella giustizia». E in tema di memoria, Gualmini annuncia la riapertura del museo della Resistenza di quella che fu la prima repubblica partigiana d’Italia: «Verrà ampliato e sistemato per essere messo al servizio delle scuole». «Esprimiamo soddisfazione per questa sentenza – afferma Emilio Sabattini, presidente della Provincia – dopo 67 anni le vittime e i loro famigliari hanno avuto giustizia». Il presidente del consiglio provinciale, Demos Malavasi, sottolinea che «non ci ha mai animato spirito di vendetta ma la richiesta di verità e di giustizia per le 140 vittime, per la strage più crudele in provincia. Il processo, con le sue 52 udienze ha permesso di ricostruire il quadro storico e individuare le responsabilità sulla base delle indagini condotte e delle ricerche storiche. Ma sono state le testimonianze dei famigliari a dare il senso profondo al processo». Malavasi ribadisce la richiesta per il riconoscimento da parte dello Stato della medaglia d’oro al valor civile al Comune di Palagano e la volontà della Provincia di valorizzare e promuovere il ricordo della strage nell’ambito del percorso della memoria con il museo della Repubblica di Montefiorino e il parco di Santa Giulia, offrendo anche una idonea sede a Palagano agli atti del processo e la documentazione.

La Gazzetta di Modena 07.07.11

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