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«Il fuoco amico che brucia l´Italia», di Massimo Giannini

Non è la “sindrome ateniese”, che spiega questo venerdì nero dei mercati. È “l´effetto Milanese”: un´inchiesta che lambisce Tremonti, un premier che vuole spingerlo alle dimissioni, un governo folle dove impera il tutti contro tutti. Quello di ieri è stato un vero e proprio attacco all´Italia.
Un attacco speculativo, certo. Ma una volta tanto logico e giustificato. E per fortuna, alla fine, anche contenuto nei suoi possibili esiti. In un´Eurozona destabilizzata dal debito sovrano della Grecia e impaurita dallo spettro del «contagio», quale altro Paese può permettersi il lusso suicida di offrire al cinico giudizio dei mercati un simile spettacolo di delegittimazione istituzionale e di disgregazione politica? Il «caso Italia» non è mai apparso tanto grave, ai broker e ai trader di tutto il mondo, come in queste ore. Gli analisti finanziari attribuiscono il nuovo record storico nel differenziale tra i tassi di interesse dei nostri Btp e quelli dei bund tedeschi in minima parte alla «patrimoniale mascherata» contenuta nella manovra, e in massima parte alla «fortissima instabilità politica».
Gli operatori di Borsa attribuiscono il crollo dei titoli delle banche italiane non alla sotto-capitalizzazione del sistema, ma alla sovra-esposizione del rischio Paese. I nostri istituti di credito hanno bisogno di un ulteriore rafforzamento patrimoniale, come la Banca d´Italia ripete da tempo. Ma tra ottobre 2010 e aprile di quest´anno hanno già varato aumenti di capitale per 11 miliardi di euro. La situazione della liquidità è rimasta nel complesso equilibrata. La quota di titoli del debito sovrano dei «Pigs» è inferiore a quella degli istituti tedeschi o francesi. Sul piano dei cosiddetti «fondamentali», non c´è una ragione «tecnica» che possa spiegare il crollo dei titoli delle banche italiane. E dunque, se il crollo c´è stato, la ragione è di nuovo tutta «politica».
C´è un governo che non esiste più da mesi. C´è un presidente del Consiglio che, in un´intervista a «Repubblica», attacca e sconfessa pubblicamente il suo ministro del Tesoro. C´è un ministro del Tesoro che dà pubblicamente del «cretino» a un suo collega. Che viene accusato di abitare una casa non sua, con un affitto pagato dal suo ex braccio destro di cui una Procura chiede l´arresto immediato per corruzione. Che racconta ai magistrati di una «guerra per bande» dentro la Guardia di Finanza, una delle quali «riporta» direttamente al premier. Tutto questo succede nei giorni in cui viene presentata una manovra triennale da 40 miliardi di euro, contro la quale mugugnano i ministri rivali, erigono le barricate gli enti locali, si scatenano le camice verdi di Bossi.
La pioggia di vendite sui titoli di Stato e su quelli delle banche certifica l´insostenibilità del quadro. In Italia c´è un manipolo di irresponsabili che danza sotto il vulcano. E il vulcano sta già cominciando ad esplodere. Se ieri abbiamo assistito solo alle «prove generali di bancarotta», lo si deve solo al solido presidio delle uniche istituzioni che ancora reggono. Il presidente della Repubblica Napolitano, che è stato costretto a richiamare Palazzo Chigi al senso di responsabilità e che da giorni ribadisce in tutte le sedi e con tutti gli interlocutori «l´imperativo categorico» di mettere in sicurezza il bilancio dello Stato e di rispettare gli impegni sottoscritti con la Ue. Il governatore della Banca d´Italia Draghi, che con un comunicato del tutto irrituale è stato costretto a scendere in campo per dire (forse persino al di là delle sue convinzioni) che la manovra è «un passo importante per il consolidamento dei conti pubblici», e che le banche italiane sono solide e «supereranno gli stress test in sede europea».
Questo «bastione istituzionale», eretto tra Quirinale e Palazzo Koch, ha evitato il peggio. E alla fine ha convinto anche Berlusconi a siglare l´ennesima tregua armata con Tremonti, nel pranzo convocato in tutta fretta a Palazzo Grazioli. Ma siamo di nuovo alla somma di due debolezze. A dispetto della nota congiunta, che conferma la necessità di varare la manovra «entro l´estate» e l´irrinunciabilità del «pareggio di bilancio nel 2014», il presidente del Consiglio non è più in grado di garantire nulla, né in patria né fuori. E al ministro del Tesoro, accerchiato ormai solo da nemici, è rimasta un´unica «polizza sulla vita»: quella dei mercati, dietro ai quali si ripara per dimostrare che «se salta lui salta l´Italia, e quindi salta l´euro». Un bel paradosso, per un politico che proprio contro il «mercatismo» ha costruito la sua filosofia dirigista e la sua ideologia colbertista. Senza contare che Tremonti ha ora un dovere supplementare: deve spiegare con assoluta chiarezza e trasparenza la vicenda del suo appartamento, ben al di là di quanto non abbia già fatto con lo scarno comunicato di due sere fa.
Questo governo è appeso alla manovra, buona o cattiva che sia. Resisterà, com´è giusto, fino alla sua approvazione in Parlamento. Un minuto dopo se ne deve andare. Il presidente del Consiglio potrà continuare a berciare inutilmente contro le odiate «locuste della speculazione», come lui stesso le ha definite in Parlamento due settimane fa. Ma sarà solo uno dei suoi ultimi, goffi diversivi. Non basterà a nascondere i danni enormi che le «cavallette della maggioranza» hanno causato e stanno causando a questo povero Paese. Il “fuoco amico” tra i Palazzi romani ha bruciato in Piazza Affari oltre 20 miliardi. I 248 punti base di spread tra i nostri titoli e quelli tedeschi valgono a regime oltre 35 miliardi di maggiori interessi sul debito. Anche questi, nell´era berlusconiana, sono “costi della politica”.

da www.repubblica.it