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"Ora al Colle è allarme vero", di Mario Lavia

Preoccupato che la situazione precipiti, Napolitano studia anche un piano d’emergenza

Una situazione «incartata » che lassù, al Colle, desta qualcosa di più della preoccupazione che ormai pervade quelle stanze da mesi e mesi. Il caso-Tremonti, con annessi e connessi – dalle vicende che investono Marco Milanese a quelle più politiche di una manovra contestata e al tempo stesso insufficiente –, turba non poco il presidente della repubblica soprattutto perché non è affatto chiaro che tipo di dinamica potrà svilupparsi, quali potranno essere gli sviluppi, e nell’incertezza l’unica cosa che si staglia con triste nettezza è la terribile turbolenza su mercati.
Da quest’ultimo punto di vista, al Quirinale è scattato l’allarme rosso. Se la situazione dovesse precipitare, dal punto di vista finanziario e da quello politico-parlamentare, al Colle si lavorerebbe per un piano B in grado di reggere l’urto della crisi: è noto d’altra parte come il presidente consideri il ricorso alle elezioni anticipate: come una resa dinanzi alle difficoltà. Ma si tratta di scenari che per il momento restano molto sullo sfondo. Che però esistono.
Che Napolitano sia insoddisfatto lo si era già capito l’altro giorno, quando aveva sostanzialmente fatto presente al governo che all’appello mancano 15 miliardi, un modo nemmeno troppo indiretto per dire che dal lato della spesa la manovra ha previsto poco.
Certo, il capo dello stato ha firmato – altro non poteva fare – il decreto: ma nella piena consapevolezza che il lavoro parlamentare sarà più che mai decisivo per migliorarla e renderla più credibile (e magari meno impopolare).
Poi però è piombato l’affaire Milanese con il suo pesante rimbalzo sulla figura del ministro dell’economia. E lo spread è volato. Napolitano è il primo a sapere che se questo drammatico trend dovesse proseguire anche nei prossimi giorni per l’Italia si spalancherebbe un rischio serio.
Come lui, Draghi, che è intervenuto ieri con tutta la sua autorevolezza.
Ma dinanzi a quello che i giornali chiamano il rischio- Grecia la politica si mostra debole. Il governo è addirittura debolissimo. E l’opposizione – è il pensiero che il presidente non esternerà mai ma che da tempo costituisce un suo personale rovello – non appare in grado di fornire una limpida alternativa. La situazione dunque appare bloccata. Esposta a incidenti, trucchi, imboscate, litigi continui.
Ormai i ministri non si danno pensiero di battibeccare platealmente davanti al capo dello stato, com’è accaduto mercoledì durante la riunione del Consiglio supremo di difesa.
Berlusconi (silente nel merito delle questioni che si stavano affrontando, e non era una bazzecola: le missioni internazionali dell’Italia) e Tremonti si sono scambiati battute non precisamente in sintonia. Come sia andata a finire è noto. Con un consiglio dei ministri che sbandierava tagli alle spese e ai contingenti e il Colle che ha dovuto mettere i puntini sulle “i”: «Le decisioni in questa materia non possono essere unilaterali».
Ieri il presidente della repubblica ha constatato con mano per l’ennesima volta la popolarità di cui gode. Al termine dell’incontro con gli studenti, ricercatori e professionisti, per metà italiani per metà tedeschi, riuniti a villa Vigoni, nel Comasco, commuovendosi ha detto: «Vi ho visto con una preparazione e una cultura che non permette di distinguere italiani e tedeschi », al collega tedesco Christian Wulff. Il quale ha ricordato a Napolitano: «Quando ero governatore della Sassonia ho dovuto tagliare le tredicesime, e voi avete paura?».

da www.europaquotidiano.it

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“Il Pd non affonda su Tremonti”, di Mariantonietta Colimberti

Bersani chiede le dimissioni del governo, non del ministro. E c’è chi parla di responsabilità
«Mentre siamo sul Titanic, con l’iceberg davanti, non possiamo metterci a disquisire sulla correttezza di un ufficiale». Sta in questa frase che un autorevole senatore dem affida ad Europa il senso dell’atteggiamento del Pd di queste ore. Un atteggiamento sostanzialmente condiviso nel partito e questa volta non attribuibile né a “simpatie” pregresse verso il ministro dell’economia né a timori di andare al voto da parte del principale partito di opposizione.
«Oggi (ieri, ndr) è la più drammatica giornata dell’Italia sui mercati da quasi vent’anni a questa parte» afferma fuori dall’ufficialità un preoccupatissimo dirigente del Pd.
Mai come in questa occasione, il Partito democratico ha sentito di essere chiamato a una responsabilità forte, non eludibile per un partito con una cultura e una pratica di governo.
Gli attacchi speculativi sui titoli di stato e in Borsa hanno fatto intravedere la possibilità di esiti esiziali. Il fantasma della Grecia ha agitato molti in via del Nazareno, facendo tornare alla mente tutti i richiami del presidente della repubblica sulla necessità di una condotta responsabile.
Il colpo alla credibilità di Giulio Tremonti, colto in fallo come uno Scajola qualsiasi (ma, se fossero confermate le notizie di stampa, ci sarebbe anche altro), le velenose dichiarazioni di Silvio Berlusconi a Repubblica nei confronti del suo ministro, insieme ai dubbi sulle coperture e sull’efficacia della manovra, hanno determinato ieri una situazione molto pericolosa sui mercati finanziari, sottolineata anche da Pier Luigi Bersani («il paese è nel marasma»).
Di qui, probabilmente, la scelta di non “affondare” il colpo su Tremonti. È un fatto che ieri nessuno nel Pd ha chiesto le dimissioni del ministro dell’economia.
Non il segretario, che, pur denunciando il «sottoscala inaccettabile» che emerge da quanto si legge sui giornali, ha risposto: «Per me deve dimettersi il governo» a chi gli chiedeva se l’inquilino di via XX settembre dovesse togliere il disturbo dopo le notizie di questi giorni. Non la presidente Rosy Bindi, che è tornata a denunciare la paralisi dell’esecutivo e della maggioranza, che hanno condotto il paese «in un tunnel senza uscita».
E nel pomeriggio – dopo che il governatore della Banca d’Italia Mario Draghi era intervenuto con un comunicato per rassicurare che «l’anticipo delle misure rende credibili il raggiungimento del pareggio del bilancio nel 2014 e l’avvio di una tendenza al calo del rapporto debito-Pil», il vicesegretario dem Enrico Letta ha diffuso una nota in cui si afferma che «questo è il momento della responsabilità massima» e che «il Pd, erede di chi ha fatto del risanamento e del rigore il suo tratto distintivo, è pronto a fare la propria parte, contribuendo a correggere in parlamento una manovra chiaramente sbilanciata e iniqua e a garantire l’impegno del pareggio di bilancio per il 2014 richiesto dall’Europa».
Sicuramente qualcuno al Nazareno si è chiesto se l’eventuale caduta di Tremonti possa favorire la fine del governo o se invece l’indebolimento del principale oppositore di Berlusconi nel governo finisca per prolungarne l’agonia. «Sono indifendibili entrambi, ma in questo momento bisogna dare messaggi rassicuranti» ragiona con Europa un ex ministro. «Il rischio è serio – spiega Giorgio Tonini – già oggi alla manovra, iniqua sul piano sociale, mancano 15 miliardi. Dobbiamo avere le idee chiare: riaffermare solennemente la priorità dell’obiettivo del pareggio nel 2014, tirando fuori in parlamento le nostre proposte perché non siano i più deboli a pagare. Se il governo non ce la fa, se ne vada.
Noi dobbiamo essere pronti anche a uno scenario diverso come un altro governo per gestire la manovra». Prima che l’iceberg colpisca il Titanic.

da www.europaquotidiano.it