attualità, politica italiana

"Chi rappresenta il movimento invisibile", di Ilvo Diamanti

Perché il cambiamento sociale si traduca in cambiamento politico, occorrono attori politici in grado di rappresentare la domanda sociale. Meglio ancora: di sollecitarla e di orientarla. Oggi ciò non avviene. A mio parere, almeno. Si assiste, così, a una molteplicità di mobilitazioni, di segno molto diverso. Sul territorio e nella società. Senza che si avverta, chiara, una svolta politica. Certo, oggi la maggioranza di governo è tale solo in Parlamento. Mentre nella società e fra gli elettori è largamente minoritaria. Sfiduciata dagli stessi gruppi economici che l´hanno sostenuta, da quasi vent´anni. Per primi, gli imprenditori. Delusi da un governo che si occupa solo della giustizia (cioè, dei problemi di Berlusconi) e non fa le riforme promesse. Così la pensa la maggioranza (42%) degli imprenditori vicentini (tradizionalmente vicini al centrodestra) come mostra un recente sondaggio di Demos per l´Associazione Industriali di Vicenza. Eppure, è ancora difficile percepire una svolta politica “vera”. Autentica. Nonostante la maggioranza di governo stia implodendo. Ma non vi sono scadenze elettorali che la possano sancire, a breve termine. E, soprattutto, l´opposizione non è pronta a offrire una vera e credibile “alternativa”.
Le stime elettorali, certo, oggi considerano il Centrosinistra (Pd, Idv, Sel e Fds) largamente vincente. Sia in caso di competizione a tre, con l´attuale centrodestra e il Terzo polo. Tanto più se si alleasse con il Terzo polo. Tuttavia, si tratta di ipotesi di scuola, largamente difficili da realizzare. Perché è arduo immaginare una coalizione di centrosinistra, tanto più allargata al Centro. Per deficit di coesione, progettazione, leadership. Gli esiti delle recenti amministrative e dei referendum, in fondo, hanno sorpreso gli stessi leader del Pd. Alcuni dei risultati più clamorosi – a Milano, anzitutto, poi a Napoli e Cagliari – si sono realizzati, anzi, grazie a candidati esterni al Pd. Si è trattato, d´altronde, di elezioni “locali”, sfuggite, in parte, al controllo dei gruppi dirigenti “centrali”. Come i referendum. Trainati da un “movimento invisibile” e reticolare, dove i giovani e le donne costituiscono componenti importanti. Mentre fra gli elettori del Pd – secondo le stime più recenti (Demos, giugno 2011) – sono sottorappresentate.
Ho, cioè, l´impressione che il Pd abbia politicamente beneficiato, in questa fase, oltre ai propri meriti. E grazie ai propri stessi limiti. Progettuali e organizzativi. Grazie anche alla leadership discreta e indulgente di Bersani. Il Pd è apparso, così, un soggetto flessibile e complementare. Disposto e predisposto a mettersi al servizio dei candidati di altri partiti alleati. Ma anche dei comitati e dei gruppi referendari. Ciò lo ha trascinato in alto, nelle stime elettorali. Fino a superare il Pdl, in piena crisi di leadership e di identità. Il che, tuttavia, non basta a costruire un´alternativa. A guidare i cambiamenti e i fermenti della società. A questo fine, occorrono progetti, persone, comunicazione. Credibili ed efficaci. Invece, assistiamo al consueto incedere ondivago.
Penso alla selezione della classe dirigente e dei candidati alle cariche elettive. Mai come ora il Pd si dovrebbe aprire alle “dinamiche” della società, molto più “dinamica” del partito. Mentre, in effetti, prevalgono le spinte auto-difensive dei gruppi dirigenti. Preoccupati di difendere la propria posizione, in un momento favorevole. Penso, inoltre, all´incerta sorte delle primarie, oggi invocate perfino dal Pdl. Mentre il gruppo dirigente del Pd le teme. E pensa di utilizzarle à la carte. Caso per caso, secondo convenienza.
D´altra parte, persiste la tradizionale incertezza progettuale. Dominata dal tatticismo. Penso all´astensione del Pd alla Camera di fronte alla proposta dell´Idv di abolire le Province. Una (non) scelta che ha permesso al governo di salvarsi e di salvare la faccia, in una questione particolarmente “sensibile” presso gli elettori. Certo, l´organizzazione delle amministrazioni territoriali non si può riformare con iniziative perentorie, quanto massimaliste. Tuttavia, ci sarebbe stato tutto il tempo per discutere e intervenire nel merito. Importante era dare un segnale “chiaro” sui destini di un ente che, da quando se ne decretò l´abolizione, 30 anni fa, si è riprodotto come un “Blob”. Da un´ottantina di Province, nel 1980, siamo passati alle attuali 110. E molte altre sono in attesa di riconoscimento. Anche sulla legge elettorale, criticata da tutti (giustamente), è difficile conciliare i diversi modelli che si confrontano nel Pd. Tedesco, spagnolo, Mattarellum più o meno emendato…
Peraltro, non è possibile delineare le riforme – istituzionali e socioeconomiche – in modo sgranato e alla rinfusa. Una alla volta. Imponendole, magari, per via referendaria. Ma come pensare a un progetto comune dell´opposizione se non c´è accordo neppure dentro al Pd? Gli altri alleati, Idv e Sel, d´altra parte, sembrano interessati a coltivare il proprio territorio di caccia (elettorale), piuttosto che a “costruire l´alternativa”. Di Pietro, ad esempio, in questa fase vorrebbe intercettare il consenso dei centristi – ma anche degli elettori di centrodestra – delusi. L´elettorato grigio, in rapida crescita. Così, non lesina le critiche agli alleati e si dimostra, invece, disponibile al confronto con la maggioranza. Tuttavia, Idv e Sel, senza il Pd, non possono costruire un´alternativa credibile. Perché l´attuale opposizione non può diventare maggioranza: senza il Pd.
Entrambi i partiti, peraltro, riproducono un elemento chiave del modello politico “berlusconiano” attualmente in crisi. Sono, cioè, partiti “personali”. Identità e immagine si rispecchiano nel leader. Sono, dunque, instabili, perché dipendono dagli umori del leader. Con la complicazione, nel caso dell´Idv, che la storia del leader, Di Pietro, è parallela a quella di Berlusconi. Fin dai primi anni Novanta. Da ciò il rischio – ben chiaro a Di Pietro – che il declino del Cavaliere coinvolga il suo avversario di sempre.
Così, il cambiamento in atto nella società stenta a trovare sbocco politico. Le parole e i valori che, in questi tempi, hanno reso obsoleto il linguaggio del centrodestra faticano a trovare un dizionario etico nuovo. Interpreti in grado di dar loro voce . rappresentazione. Così navighiamo in una nave senza ammiraglio e senza equipaggio. Perché quelli “vecchi” stanno fuggendo. Mentre quelli “nuovi” non sanno mettersi d´accordo. Sulla guida e sulla rotta. Eppure, per attingere al dizionario delle donne che si sono incontrate a Siena nei giorni scorsi: “Se non ora, quando”?

La Repubblica 11.07.11