attualità, politica italiana

"La "supplenza" di Napolitano nel giorno del salvataggio", di Carmelo Lopapa

Il Cavaliere si defila ma avverte: “Io non vado via”. Una serie frenetica di telefonate con Tremonti e Letta, poi con Casini e infine con Bersani. Per Berlusconi tornato a Roma, due ore di riposo pomeridiano e due visite private. La grande rete di salvataggio è una trama costruita ora dopo ora, telefonata su telefonata, un contatto dopo l´altro, coi leader dell´opposizione, con gli uomini di governo. Resistenze da abbattere, angoli da smussare, conti da far quadrare, l´Europa che attende, le borse che insidiano. È la partita più delicata e il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ne diventa involontariamente il regista quasi solitario, il tessitore della rete salva-Paese.
Sono ore concitate ma il capo dello Stato si guarda bene dal travalicare i suoi «confini», non un intervento diretto, nulla che vada oltre la moral suasion. Da parte sua, solo un segnale di peso a beneficio dei mercati per difendere gli interessi nazionali. Ma il filo è diretto con Tremonti, impegnato all´Ecofin di Bruxelles e poi a Roma al Senato per mediare con le opposizioni. Il contatto è frequente con Gianni Letta, unico ambasciatore dal fortino di Palazzo Chigi. Due giorni fa Napolitano aveva sentito Casini, ieri Bersani, la Finocchiaro. Diventa suo malgrado il supplente istituzionale, nella silenziosa assenza del premier. In fondo, come osserverà qualcuno, quello stesso ruolo di supplenza che si è ritrovato e svolgere Oscar Luigi Scalfaro tra il ‘92-´94, negli anni bui della Repubblica, poi culminati nel governo tecnico guidato da Ciampi. Il Cavaliere teme che lo scenario si ripete.
A fine giornata, quando Piazza Affari lascia tirare un sospiro di sollievo, quando in Parlamento maggioranza e opposizione raggiungono l´accordo per l´approvazione-blitz della manovra entro venerdì, sul Colle il risultato si ritiene raggiunto, per il momento. C´è «vivo apprezzamento». E tutto sommato l´impressione è che anche il presidente del Consiglio, con la sua nota e perfino coi suoi silenzi, si sia tenuto nel solco della strategia comune, della «responsabilità nazionale». Sono e saranno giorni cruciali. I rischi restano. È per questo che il Quirinale decide di ridurre a un solo giorno, domani, la visita di Stato di Napolitano in Croazia che si sarebbe dovuta protrarre fino a venerdì. Perché quello sarà il giorno clou dell´approvazione finale della manovra a Montecitorio. E il presidente intende firmarla subito e mandarla in Gazzetta con altrettanta rapidità. Il premier Berlusconi per adesso ha invece confermato la visita di Stato di venerdì a Belgrado, per un bilaterale previsto da tempo col presidente serbo, con rientro nel tardo pomeriggio a Roma.
Il fatto è che dopo la sentenza sul lodo Mondadori il Cavaliere è scomparso. Villa Certosa, poi Arcore, infine Palazzo Grazioli da ieri pomeriggio. Ha disertato in sequenza la visita a Lampedusa, la telefonata alla festa Pdl di Mirabello, il matrimonio di Brunetta, ieri mattina il ritiro del Milan a Milanello. Rientrato nella Capitale a metà giornata, raccontano si sia abbandonato a un lungo sonno pomeridiano, mentre fuori sembrava stesse per venire giù tutto. Tremonti e Letta che mediavano con i presidenti di Camera e Senato e con i leader del centrosinistra, le borse che andavano giù e poi su, le opposizioni che invocavano le dimissioni. Gianni Letta è per tutto il giorno l´unico interlocutore tra Palazzo Chigi e il mondo esterno. Berlusconi si concederà solo due visite private, nessun vertice politico. Sarà il sottosegretario Letta a mettere nero su bianco la nota, dopo averla concordata col premier, un messaggio rassicurante a beneficio dei mercati. Riconoscimento al ruolo delle opposizioni, ma anche l´affermazione che il «governo è stabile, la maggioranza coesa». Uscita che a sinistra sa di provocazione. D´altronde, a chi continua a invocare dimissioni dopo la manovra, Berlusconi chiude la porta in faccia, come ripete ai pochi interlocutori di queste ore: «Non lo farò mai, non cedo ai loro giochi di palazzo. Questa non è una crisi politica del mio governo, ma internazionale e finanziaria». I timori sullo sfondo restano. Uno, su gli altri: che la manovra possa non bastare a sedare gli speculatori, a rassicurare i mercati. In quel caso, Berlusconi sa che a settembre si riaprirebbe la partita in vista di un nuovo, pesante intervento draconiano sui conti pubblici. Ma l´autunno è lontano, l´emergenza incombe.
Nei capannelli finiani in Transatlantico, ieri pomeriggio, alcuni mugugnavano sul fatto che il premier fosse stato ancora una volta «graziato», involontariamente, proprio dal Quirinale, che per via dell´emergenza gli è venuto incontro garantendo il disco verde alla manovra. Pier Ferdinando Casini, coi suoi, ragionava in modo diverso: «A noi di Berlusconi ormai non interessa nulla, facciamo quel che riteniamo giusto nell´interesse del Paese, come ci chiede Napolitano, e guardiamo già oltre. Il premier nel suo delirio prima si rende conto che dovrà farsi da parte, meglio è».

La Repubblica 13.07.11

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“Noi responsabili, poi Silvio lasci”, di Giovanna Casadio

Bersani in contatto anche con Letta: il premier non è fattore di fiducia
Pochi emendamenti: pensioni, bollo-titoli e regole Grandi eventi Di Pietro: dopo la responsabilità, al voto.
La manovra è un rospo da ingoiare, consentendo che la maggioranza l´approvi immediatamente, senza la spada di Damocle dell´ostruzionismo. Per senso di responsabilità, innanzitutto. Per rassicurare i mercati. Perché lo chiede il presidente Napolitano. Per le opposizioni, Pd in testa, è una giornata di passione, di riunioni (la prima alle 8,30 del mattino al Senato, mentre Piazza Affari rischia il tonfo), e di contatti con il Quirinale. Ma la linea che esce è chiara e univoca: via libera a tempi rapidissimi di approvazione; quindici gli emendamenti comuni presentati, calmiere (non più di 3 su quelli dei gruppi); voto contrario sul complesso del provvedimento e poi Berlusconi a casa. Lo ripetono come un mantra, i leader dell´opposizione. Bersani (in missione in Medioriente) dice: «Noi facciamo la nostra parte, ma Berlusconi non dà più fiducia». D´Alema rincara: «Penso che, approvata la manovra, Berlusconi dovrebbe dimettersi e capire che la sua presenza al governo è un ostacolo alla collaborazione tra maggioranza e opposizione che sarebbe necessaria in tempo di crisi».
Di Pietro reclama che, dopo la responsabilità, arrivino le elezioni. Per il Pd il discorso è diverso: in un momento di tale rischio per i conti pubblici, ci vorrebbe un governo di «fine legislatura» o «di scopo», affidato magari a un economista come Mario Monti. Ma questo è “il dopo”. Intanto c´è da tenere dritta la barra, come Bersani spiega in una telefonata al capo dello Stato: votare no e però garantire l´ok alla legge di bilancio. Telefonata del segretario anche con Gianni Letta, al quale ripete: «Tempi rapidi per la manovra, però resta il no». Di tradurre in atti politico-parlamentari la rotta democratica s´incarica Anna Finocchiaro. La capogruppo passa da una messa a punto all´altra con tutte le opposizioni e sente Napolitano. Non molla su una questione di metodo concordata con Enrico Letta, il vice segretario, e con Dario Franceschini, l´altro capogruppo: sì all´incontro con il ministro Tremonti ma in Senato, nella sede parlamentare. E alla riunione le opposizioni portano con un pacchetto condiviso di emendamenti: sulla soglia per la mancata indicizzazione delle pensioni; sul bollo sul deposito dei titoli che deve essere progressivo e deve escludere i titoli di Stato; e poi le regole per i Grandi eventi. Tremonti lascia qualche spiraglio e ringrazia le opposizioni per «il senso dello Stato».
La responsabilità però è veramente dura da digerire. Questioni importanti (lo stop alle tasse arretrate che gli aquilani devono pagare entro ottobre) sono cassate; mentre le quote latte potrebbero restarci. Il “tesoretto” che viene dalle pensioni delle donne del pubblico impiego (l´emendamento Bonino) da restituire in welfare, resiste fino a sera. Enrico Morando studia una mozione da presentare per abbattere i costi di Camera e Senato, una norma anti-sprechi, così la politica dà il buon esempio.

La Repubblica 13.07.11