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"Cosa vuol dire responsabilità e quali sono oggi i compiti del Pd", di Alfredo Reichlin

È il momento delle responsabilità. Sì, certamente. È in gioco come poche altre volte il destino dell’Italia ed è su questo terreno che le forze della sinistra e della democrazia italiana sono chiamate alla prova. Devono dimostrare di non essere un assemblaggio di vecchie storie e di saper guardare al di là dei calcoli di parte. In sostanza devono dare la prova che sono in grado di prendere in mano il Paese e di dare ad esso una nuova guida. Ma una nuova guida rispetto a cosa?
Certamente rispetto a questo miscuglio di impotenza e di corruzione che è il governo Berlusconi. Ma credo che, se non gettiamo lo sguardo su ciò che sta succedendo in Europa e nel mondo, noi da questa fogna non usciamo bene. E credo anche che in questo sforzo stia la prova regina del senso di responsabilità del Partito democratico. Voglio dire che le nuove e diverse ipotesi di governo di cui si discute saranno positive solo se il Pd saprà essere il perno di una nuova corrente ideale (se non ora, quando?) e di un nuovo schieramento di forze reali capaci di risanare la finanza pubblica (il compito ineludibile dell’ora) con la rimessa in moto dello sviluppo sociale e culturale della società italiana. Non è realistico? Al contrario a me sembra non realistico affrontare la sostanza del problema economico italiano senza mettere in campo una nuova soggettività politica che esprima la capacità di rappresentare un’Italia più unita e una società più giusta sulla scena europea e mondiale. È su questa idea di fondo che si deve lavorare. L’Italia non può uscire dalla crisi senza dotarsi di un partito che spenda tutto se stesso nel partecipare allo sforzo assolutamente necessario per evitare che il disegno dell’Europa venga travolto.

La grandezza e la novità dei problemi chiedono a noi qualcosa che allude a un nuovo universo concettuale. Sono stati versati fiumi di inchiostro sulla mondializzazione. Ma questo grandioso fenomeno storico va ormai valutato anche sulla base degli sconvolgimenti che sta creando nella vita sociale e perfino – direi – nella mente e nel modo di essere dell’uomo moderno. La politica è in forte ritardo. Sembra ancora rimasta alla vecchia disputa tra statalisti e mercatisti mentre i fatti ci dicono altro: e cioè che ormai sono in atto trasformazioni che stanno cambiando la natura stessa dello Stato e dei mercati e si va formando una nuova classe globale fatta di finanzieri, grandi manager, fruitori di nuove rendite. Non a caso sul “Fatto” di ieri Marco Onado si domanda se ciò che sta succedendo sia soltanto colpa delle sordide manovre di una speculazione internazionale orchestrata da pochi operatori senza scrupoli e si risponde che la crisi ha invece fatto capire che ormai la speculazione ha superato da un bel pezzo questa dimensione. Prima di tutto ha assunto dimensioni spaventose, dice Onado: il volume complessivo dei titoli derivati è più di undici volte il Pil mondiale, ogni giorno solo sul mercato dei cambi avvengono operazioni per 14 trilioni di dollari vale a dire per qualcosa che pari al prodotto interno lordo degli Stati Uniti. Perciò la politica è impotente. Chi comanda? Certo è che una enorme rendita pesa a questo punto sulle forze produttive. Si dirà che parlare di queste cose non è realistico. Ma qual è l’idea di sviluppo da cui partiamo? Come si può pensare lo sviluppo se non in rapporto all’esistenza di una nuova umanità, con i suoi bisogni e i suoi diritti?

Queste non sono chiacchiere: forse non si è capito che sta cambiando la stessa natura umana. E qui sta una delle ragioni fondamentali per cui la politica, intesa come «polis» cioè come capacità di guidare il cammino della società non può più essere quella di ieri. La crisi della democrazia dei moderni è il tema dominante. È la rimessa in discussione di quello che è stato il suo fondamento: lo Stato Nazione, le cui istituzioni garantivano non il consumatore, ma il cittadino. Non il titolare di un semplice potere d’acquisto, ma il titolare di diritti universali.

Questa è la grande responsabilità del Partito Democratico: esso guiderà il Paese se sarà in grado di affrontare questioni anche di carattere culturale e ideale, se comincerà a misurarsi con le enormi novità del mondo e se (dico un’eresia) sarà un partito che non si occupa solo di «politica». Perché che cos’è oggi la politica se non la libertà delle donne, i diritti delle persone, l’uguaglianza effettiva delle opportunità, il peso del capitale umano?

L’Unità 15.07.11