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"Il Pd si smarca dal Quirinale", di Rudy Francesco Calvo

L’emergenza non è finita, il Colle chiede altre prove di responsabilità: il Nazareno pone le sue condizioni. Pier Luigi Bersani non ha intenzione di retrocedere dalla strada intrapresa. Già oggi la manovra sarà approvata definitivamente alla camera: «Un miracolo» (per stessa ammissione del capo dello stato) che non si sarebbe potuto compiere senza il ruolo responsabile del Partito democratico. Ora, però, tocca ad altri, cioè al governo, assumersi le proprie responsabilità e lasciare la guida del paese.
A rafforzare la convinzione del leader dem è stato il colloquio avuto ieri mattina con il Governatore di Bankitalia Mario Draghi. È bastata una rapida occhiata ai giornali per convincere Bersani a virare su palazzo Koch al rientro dal suo viaggio in Medio Oriente, dopo una rapida telefonata per fissare l’appuntamento.
Il segretario del Pd voleva avere un quadro chiaro dei conti pubblici e dal Governatore ha ricevuto la conferma del fatto che l’Italia è tutt’altro che al sicuro. Ma, dopo aver ascoltato le parole di Draghi, ha rafforzato anche il proprio giudizio su una manovra «sbagliata e iniqua, che penalizza soprattutto i ceti deboli e gli enti locali».
Oggi lo dirà in aula, intervenendo per bissare il no al provvedimento già pronunciato ieri a palazzo Madama a nome dei dem da Anna Finocchiaro. E che sarà ribadito e spiegato dai dem in ogni occasione pubblica nelle prossime settimane, a partire dalla feste del partito.
Ma l’incontro in Bankitalia ha avuto anche un significato politico, che va al di là dello stretto merito della manovra. Bersani ha voluto ribadire il fatto che il tempestivo intervento che ha frenato la speculazione finanziaria contro l’Italia ha visto il governo in una posizione assolutamente marginale.
Non solo Berlusconi, quindi, ma anche lo stesso Tremonti. I dem vogliono evitare insomma quello che un alto dirigente del Pd definisce «il bacio del lebbroso»: il ministro dell’economia non potrà contare su nessuna sponda nel Pd nel caso in cui il suo ruolo verrà messo in discussione dalla propria maggioranza.
Quel «totoministri» che è già partito e che Giorgio Napolitano ha definito ieri «da irresponsabili». Proprio Napolitano è l’altro interlocutore al quale il Pd vuole rivolgersi. Il capo dello stato ieri è tornato a chiedere «altre prove di coesione» anche «per il futuro prossimo», convinto, come tutti, che la tempesta non sia ancora passata. I dem non sono però disposti a proseguire su questa strada, se non cambierà prima il quadro politico.
«Se l’economia non riparte e la speculazione torna a colpire l’Italia – è la convinzione che si fa strada al Nazareno – questa è solo l’ulteriore dimostrazione del fatto che finché rimane Berlusconi i problemi non si risolvono». Su questa linea, d’altra parte, il partito non vede defezioni: ieri anche Walter Veltroni ha sottolineato la necessità per il paese di «recuperare stabilità, prestigio e autorevolezza nel mondo». La discussione interna, comunque, è rinviata a martedì, quando si riunirà la direzione.
Prima di allora, la situazione potrà cambiare totalmente. D’altra parte lo stesso Bossi avverte gli alleati («Un governo non è mai tranquillo»), anche se poi spernacchia l’opposizione («Vogliono un altro esecutivo? Tanto devono parlare prima con me…»). Se però Berlusconi rimarrà asserragliato a palazzo Chigi, Bersani schiererà in maniera sempre più decisa il proprio partito sull’alternativa «elezioni o nuovo governo».
Napolitano era già stato avvisato nel corso delle telefonate che aveva avuto col leader dem nei giorni scorsi. La road map del Pd per mettere in salvo il paese parte senza subordinate da un nuovo governo, che potrà durare fino all’autunno (se la situazione economica consentirà di andare al voto già allora) o al massimo fino alla prossima primavera.
E i contatti riservati tra i dirigenti dem e Mario Monti anche ieri non sono mancati.

da Europa Quotidiano

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Bersani: “Ora la svolta cambieremo un decreto che colpisce i deboli”,
di ALESSANDRA LONGO

Un minuto dopo l´approvazione della manovra i protagonisti politici ed economici di «questa vergogna» se ne devono andare. Via Berlusconi e via anche Tremonti. Pierluigi Bersani, reduce da un viaggio in Medio Oriente, riprende fisicamente posto sulla poltrona di segretario e chiarisce che il Pd si è impegnato ad accelerare i tempi di approvazione della manovra «solo per evitare minacce dall´esterno»: «Non lo stiamo facendo per Berlusconi ma per il Paese». Il senso di responsabilità non va confuso con qualsivoglia complicità. «Adesso ci vuole una svolta politica», dice il segretario del Pd. E annuncia: «Se tocca a noi, pur salvando i saldi, cambieremo l´asse di questa manovra classista. Se tocca a noi, toglieremo il ticket. I soldi si possono trovare altrove».
Onorevole Bersani, il governo Berlusconi sta per incassare il via libera alla manovra con una tempistica senza precedenti. Il giorno dopo che cosa succede?
«Il giorno dopo Berlusconi deve andare a casa. Ha preso una strada sbagliata e siamo all´ultimo tornante. Se il guidatore insiste nel tenere il volante, andiamo a sbattere».
E allora?
«E allora si deve andare ad elezioni, con nuovi protagonisti, nuovi programmi, nuove ricette nel rispetto del saldo di bilancio. Solo questo può ridare fiducia, credibilità e un senso di riscossa al Paese».
La seconda opzione?
«Non mi sottraggo all´ipotesi subordinata di un passaggio di transizione che renda possibile allestire una nuova legge elettorale e imbastire le riforme».
Berlusconi non vuole lasciare.
«Il peggio del peggio. Andare avanti così per altri due anni, con un ministro accusato di mafia, con un Consiglio dei ministri che non riesce a riunirsi, ci espone a tutte le intemperie».
Non pensa che la maggioranza sfrutti il vostro atteggiamento responsabile per blindarsi?
«Se lo scordino. Sia chiaro che noi siamo radicalmente alternativi, siamo un partito di governo con un´altra idea. Sono loro che ci hanno portato sin qui. Non c´è nessun tipo di collaborazione da parte nostra con un governo del quale non condividiamo la politica economica, le condizioni della trattativa, così come sono state poste a livello europeo, e i contenuti di questa manovra. Si tutelano gli evasori delle quote latte, ci si spaventa a morte per una lettera dell´Ordine dei notai e si fa pagare il ticket alla gente normale. Una vergogna».
Berlusconi non parla.
«Il suo silenzio è impressionante, il punto più basso di questa legislatura già bassa».
La scelta del rigore ricadrà così sul solo Tremonti e persino su voi dell´opposizione…
«Noi non condividiamo questa manovra. Colpisce i ceti medi e bassi, sega le autonomie locali, non mette niente sul tema della crescita, non disturba in modo significativo chi ha di più. I tagli lineari sulle detrazioni fiscali si rivolgono a chi paga le tasse. E quelli che non le pagano? Ne stanno fuori? E´ ingiusto. Ricordo che abbiamo proposto emendamenti per l´accorpamento dei piccoli Comuni, per il superamento dei vitalizi, per affrontare in modo credibile il problema delle Province… Nemmeno una di queste proposte è stata presa in considerazione».
Se toccasse a voi, cosa fareste?
«L´Europa ci conosce, sa che siamo persone di governo, che abbiamo affrontato momenti difficili, che non verremo mai meno agli impegni, pur discutibili, assunti da questo esecutivo. Se tocca a noi, garantiremo i saldi ma cambieremo l´asse di questa manovra».
Nessuno potrà dire che il Pd è complice del ritorno del ticket.
«L´hanno messo loro. Il Pd lo toglierà».
Tutto interessante ma se Berlusconi non se ne va?
«Sarebbe un irresponsabile. Deve prendere atto che la sua raccattata e ribaltonesca maggioranza parlamentare non rappresenta la maggioranza reale del Paese, l´abbiamo visto di recente alle amministrative e con i referendum».
In questo caso cosa farete?
«In democrazia si combatte. La gente comincia a capire e molti della maggioranza sono imbarazzati. Berlusconi non è più in grado di dare un messaggio all´Italia, di parlare di onestà, civismo, regole. Per 15 anni ha espresso l´esatto contrario di questi valori. Chiedo un moto dei “responsabili” di questo Paese, e non parlo di Scilipoti, ma dell´opinione pubblica, intellettuali, imprenditori, forze ragionevoli della maggioranza… E´ il momento di dire basta. Nei miei incontri in Medio Oriente, da Netanyahu ad Abu Mazen, ho registrato l´appello per un rinnovato protagonismo dell´Italia ma anche la sensazione che ormai tutti pensino che la stagione del berlusconismo sia finita».
Il discredito del governo conta sui mercati?
« Credo che il dato politico sia rilevantissimo. Non è stata tenuta una linea europeista che contribuisse a far parlare l´Europa con una voce sola in tema di investimenti sul lavoro e di tassazioni sulle transazioni finanziarie, la nostra politica economica si è rivelata sbagliata e non credibile. Se arrivasse nei prossimi mesi una svolta politica, questo non porterebbe instabilità ma, al contrario, fiducia».
Ne ha parlato durante l´incontro che ha avuto con il governatore Draghi?
«Ovviamente non riferisco i contenuti di una conversazione. Posso dire qual è il mio interesse: trovare la risposta per far vedere al mondo che in Italia si può invertire la rotta e dare nuovo impulso alla crescita».

la Repubblica 15.07.11