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"Caro-Irpef, chi ha 20 mila euro pagherà il doppio dei più ricchi", di Valentina Conte

Le previsioni della Voce.info. Le detrazioni ridotte si concentrano sui ceti medio-bassi. La stangata si abbatterà soprattutto sui redditi tra 16 mila e 27 mila euro. Alla fine, chi li pagherà quei tagli alle agevolazioni fiscali? Soprattutto le famiglie italiane con redditi medio-bassi. E quanto? Quasi il doppio di quelle abbienti.
Fare i conti il giorno dopo l´approvazione d´emergenza della manovra da 48 miliardi non porta buone notizie ai contribuenti. Le famiglie con redditi modesti, e che versano le tasse, nei prossimi anni subiranno la stangata più odiosa. Grazie a una clausola di salvaguardia che mette in sicurezza i conti dello Stato, ma che stravolge quelli domestici.
E dunque, proprio chi fino ad ora contava su detrazioni, deduzioni e bonus fiscali per alleggerire l´Irpef, nel 2013 e nel 2014 vedrà ridotti sensibilmente gli sconti. L´effetto regressivo, calcolato per il sito lavoce.info da Massimo Baldini, economista e docente, si abbatte con particolare iniquità sui nuclei familiari con un reddito medio tra i 16 e i 27 mila euro che a regime, nel 2014, perderanno 620 euro di agevolazioni, su un totale medio di 3 mila euro, quasi il 21%. Un quinto in meno. Al contrario, il 10% più ricco delle famiglie, quelle con un reddito superiore ai 54 mila euro, lasceranno allo Stato solo 364 euro. Perché?
Perché all´aumentare del reddito, le detrazioni Irpef a cui si ha diritto diminuiscono. E dunque i tagli lineari, così come previsti in manovra, per ora indistinti – del 5% nel 2013 e del 20% nel 2014 sulle 483 agevolazioni oggi esistenti che valgono 161 miliardi l´anno e che dovranno assicurare 4 miliardi il primo anno e 20 il secondo – pesano molto di più su chi ha più sconti. Ovvero le classi intermedie. Anche perché si tratta di spese per medici e farmaci, per la scuola e la palestra dei figli, l´affitto, la previdenza integrativa, le ristrutturazioni, gli assegni al coniuge, gli interessi sui mutui, le detrazioni per il lavoro dipendente. Una previsione talmente dirompente che lo stesso autore dei calcoli considera «molto bassa la probabilità di un´applicazione» di una manovra siffatta. A meno che, entro il 30 settembre 2013, non venga varata la riforma fiscale e assistenziale con tagli “mirati”.
La regressività del salasso Irpef si somma, poi, anche a un analogo recupero di soldi, ai fini del pareggio del bilancio dello Stato, dall´Iva agevolata del 4 e del 10% che oggi gli italiani pagano quando fanno la spesa, quando comprano medicine, libri, giornali, cellulari, fanno benzina, viaggiano, ristrutturano casa, pagano le bollette o la badante per un genitore malato. Di fatto anche queste aliquote, inferiori a quella più diffusa del 20%, rappresentano agevolazioni fiscali. E dunque soggette alla futura scure dei “tagli lineari”. Lo studio di Baldini calcola che le sforbiciate del 5 e poi del 20% fissate in manovra equivalgono, nei fatti, ad un aumento delle due aliquote agevolate rispettivamente al 4,7% e al 10,5% nel 2013 e al 6,8% e al 12,1% nel 2014. La conseguenza è che un´Iva più alta riscalda i prezzi e lascia meno soldi in tasca alle famiglie. Anche qui esiste un effetto regressivo. Ma più modesto del caso Irpef. Questo perché, spiega lo studio, «le famiglie ad alto reddito consumano molti beni e servizi oggi tassati al 4 o al 10%». In valore assoluto, le famiglie più povere (con un reddito inferiore ai 12 mila euro) nel 2014 pagheranno 119 euro in più. Quelle ricche (reddito sopra i 54 mila euro) 313 euro in più. La regressività si legge nell´incidenza di questo aumento Iva sul reddito disponibile, chiaramente più alta per chi ha buste paga più magre.
Saldando i due effetti, Irpef e Iva, questa manovra pesa il 7% su chi guadagna al di sotto dei 12 mila euro, il 10% su chi denuncia tra i 12 e i 54 mila euro e il 9% sui benestanti. Alla fine, pagano tutti.

La Repubblica 16.07.11

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!Un Paese con oltre 8 milioni di poveri nei guai un terzo delle coppie con 3 figli”, di Luisa Grion

L´Istat: al Sud è indigente una famiglia numerosa su due. Di questo esercito, 3 milioni sono in povertà assoluta. Poi c´è un 7,6% di quasi poveri. “Senza cassa inte-grazione sarebbe andata peggio” Picchi in Calabria e Basilicata. Ogni cento italiani quasi 14 sono poveri. Poveri davvero perché in due vivono con meno di 993 euro al mese tutto compreso. Poi ci sono i più poveri fra i poveri, quelli che anche tirando la cinghia non riescono a mettere assieme una vita che si possa considerare «dignitosa». In altre parole quelli che fanno la fame: è qui la quota è di 5 italiani su cento.
Nel primo caso la statistica parla di «povertà relativa» (dove il tetto dei 992,6 euro corrisponde a quanto spende in media un italiano in un mese), nel secondo di «povertà assoluta».
I dati Istat ci dicono che la miseria, in Italia, fra le sue varie tipologie è stabile, anche se la crisi economica ne ha modificato la composizione penalizzando più gli operai e gli impiegati che i lavoratori autonomi, più le famiglie numerose con figli piccoli, più il Sud che il Nord. Ma messe nero su bianco le cifre fanno effetto: i poveri «relativi» sono 8 milioni 272 mila (il 13,8 per cento della popolazione, l´11 per cento delle famiglie), di questi 3 milioni 129 mila sono indigenti, quindi «assoluti» (il 5,2 degli italiani, il 4,6 per cento misurato in termini di famiglie).
Se la crisi non ha fatto precipitare la situazione, spiega Linda Laura Sabbadini, direttrice centrale dell´Istat, è perché «a subirne gli effetti sono stati soprattutto i giovani, mentre cassa integrazione e ammortizzatori sociali hanno comunque protetto i padri». In pratica l´essere «bamboccioni» è stato una costrizione più che una scelta.
Poi, certo, la scelta di fare un terzo figlio si conferma, anche nel rapporto che l´Istat ha preparato su dati 2010, una scelta piuttosto temeraria: la famiglia numerosa, in Italia è simbolo di famiglia povera e ciò spiega in buona parte la demografia calante. Le quote rispetto al 2009 sono aumentate passando in media dal 26,1 al 30,5 per cento, ma è nel Mezzogiorno che la questione diventa drammatica: lì è povero il 47,3 per cento delle famiglie con tre minori, quasi una su due.
La differenza Nord-Sud, in realtà, pesa a prescindere dal numero dei componenti, visto che la povertà relativa comunque vola al 23 per cento e quella assoluta al 6,7. Tutte le regioni meridionali eccetto Abruzzo e Molise, stanno sopra la media nazionale, anche se i picchi si raggiungono in Basilicata, Sicilia e Calabria.
Ma fotografare la povertà in termini di «famiglia numerosa che abita al Sud» non basta a capire come va cambiando il fenomeno: a pagare un prezzo della crisi sono sempre più spesso anche le mamme divorziate con figli a carico, le cosiddette famiglie monogenitore (per loro la povertà è schizzata dall´11,8 al 14 per cento). Si ritrovano ad affrontare maggiori sofferenze le famiglie che hanno sulle spalle un nonno o uno zio anziano e una vera new entry è quella del lavoratori in proprio. Essere autonomi, in genere premia, ma ora rischia anche una certa tipologia di commerciante o imprenditore artigiano, una partita Iva monocommissione. E´ povero il 15 per cento degli operai, ma anche il 10 per cento di chi ha messo su una attività in proprio.
Di certo un Paese dove l´81 per cento delle famiglie è sicuramente al di fuori del tunnel della povertà (un altro 7,6 potrebbe invece finirci dentro) non si può dire che sia allo stremo, ma ciò che colpisce le associazioni dei consumatori è che dallo zoccolo duro della miseria non si esce. Per Codacons «un governo che non aiuta i poveri non è civile: è incredibile prometta il taglio delle aliquote anche per i più ricchi, passando dal 43 al 40 per cento». La Coldiretti fa notare che riducendo di appena il 20 per cento gli sprechi di cibo si potrebbero sfamare gli 8 milioni di poveri.

La Repubblica 16.07.11