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"Come salvare l’Italia e l’Europa", di Antonio Padoa-Schioppa

E così ci siamo arrivati. Dopo tante avvisaglie remote, ora l’Italia è davvero sull’orlo di un precipizio che potrebbe segnare la fine del benessereconquistatomezzosecolofa.E segnare la fine dell’euro e addirittura l’arresto se non la fine del processo di integrazione europea. Allarmismo eccessivo? Non credo. Sulla fine dell’euro scommettono ormai in tanti, e per tante ragioni diverse e concorrenti. Interessi potenti sono all’opera. L’obiettivo non sembra più irraggiungibile. Che fare? In questi giorni le proposte non sono certo mancate. Il punto di partenza degli osservatori è uno solo: le misure della manovra, per quanto corpose se viste nella cornice di quattro anni, sono inadeguate a scongiurare i rischi di attacco ai nostri conti. I 300 punti di spread raggiunti in pochi giorni dai nostri titoli pubblici decennali rispetto a quelli tedeschi comportano, da soli, un aggravio annuale di alcuni miliardi di euro sugli interessi del debito pubblico. Facile calcolare cosa costerebbe un raddoppio o una triplicazione o una quadruplicazione di queste cifre, che potrebbe arrivare in tempi brevi.
LA GRECIA insegna. E i mercati non si acquietano, se sentono vicino l’odore della preda. La ricetta non è difficile. Varie componenti sono state espresse da economisti indipendenti: Perotti, Zingales, Monti, Scalfari, Tabellini, Boeri, Ferrera, De Bortoli e altri osservatori. Occorre anticipare la scadenza del pareggio di bilancio almeno al 2013 se non addirittura al 2012. L’essenziale sta nell’adottare misure strutturali, attingendo ai due principali serbatoi: la spesa previdenziale e l’evasione fiscale. Si dovrebbero accompagnare questi interventi con segnali inequivoci sulla limitazione delle spese della politica: abolizione delle rappresentanze elettive per le province, diminuzione del numero e delle remunerazioni dei parlamentari e dei consiglieri regionali, cancellazione dei privilegi dei rispettivi vitalizi, diminuzione dei rimborsi elettorali. In una fase critica chi guadagna molto deve pagare di più: un innalzamentodellealiquoteperstipendi e rendite elevate va attuato, magari ridistribuendo il ricavato verso il basso.
E ancora: semplificazione drastica delle procedure amministrative, che inceppano troppe iniziative di crescita: anche qui la Germania insegna. Una quota delle risorse drenate deve essere rivolta a investimenti in infrastrutture di qualità, essenziali per la crescita e per il nostro domani: giustizia, ricerca, cultura, trasporti, ambiente. Occorre riavviare finalmente la procedura di spending review, per un dimagrimento ragionato e selettivo della spesapubblica.Rammentiamoche il programma del governo Prodi prevedeva il pareggio nel bilancio per il 2011. E aveva ragionevoli prospettive di arrivarci con misure ben meno drastiche, o di arrivarci al più nel 2012.
La messa in opera simultanea di tutte queste misure – che includono, sia ben chiaro, l’accelerazione rapida dell’innalzamento dell’età pensionistica maschile e femminile e l’abolizione delle pensioni di anzianità – accompagnata da un alleviamento del costo del lavoro, a sua volta compensato da un aumento di almeno uno o due punti di Iva (la Germania seguì con coraggio questa via, innalzandola di tre punti; i risultati si sono visti), dalla reintroduzione dell’Ici sulla prima casa (imposta coerente col federalismo) quantomeno per la abitazioni di valore, nonché da una stretta feroce sui bulloni della lotta all’evasione (che invece si tendono ad allentare): tutto questo porterebbe l’Italia in zona di sicurezza in tempi brevi. A condizione di non lasciarsi intimorire da proteste, lamentazioni, distinguo, petizioni di principio fuori luogo: esercizi nei quali siamo certamente maestri. Libro dei sogni? Sì, a meno che non si attui una svolta essenziale: una politica di questa natura – necessaria per evitare il rischio reale di default del Paese – può venire proposta e attuata solo con una politica di temporanea unità nazionale. Tutto il resto – ed è, purtroppo, davvero tanto… – deve venire dopo, a cominciare dal salutare contrasto tra maggioranza e opposizione. Solo un approccio bipartisan può superare i corporativismi che già si sono puntualmente manifestati per annacquare, svilire, depotenziare la messa in opera delle cose da fare. Servono misure strutturali, operanti con certezza immediata e dotate di effetti permanenti sul bilancio nazionale: non provvedimenti una tantum. Occorre operare per decreto legge, con voto di entrambi gli schieramenti, tale da non far ricadere l’impopolarità della stretta su una sola parte. Occorre spiegare chiaramente in ogni sede che le misure da adottare ora, per impopolari che siano (ma gli italiani sono assai meno egoisti e ottusi di quanto pensino tanti politici), sono comunque ben meno aspre di quelle che, volenti o nolenti, dentro o addirittura ormai fuori dall’Europa, saremo costretti ad assumere se non ci dimostreremo capaci di mettere ordine nei nostri conti, abbattendo il debito, ricostituendo l’avanzo primario e pareggiando il bilancio in tempi brevi. I giovani, i veri sacrificati di questo decennio,capiranno.Enonsololoro. L’opposizione avrebbe dovuto e dovrebbe avere molto più coraggio, mostrando i caratteri propri di una vera statura di governo: prendere essa l’iniziativa, sfidare la maggioranza, esigere una manovra più incisiva: risanamento e crescita nell’equità.
I PICCOLI aggiustamenti non servono più. Tra l’altro (last not least) un’azione nostra di riforma severa e responsabile rafforzerebbe di molto in Europa, presso i governi riluttanti – a cominciare da quello tedesco – la via maestra per la sicurezza dell’euro e per la ripresa della crescita in Europa: spingerebbe alla realizzazione in tempi brevi dell’Agenzia europea del debito, alla creazione ormai indifferibile di una fiscalità europea, all’incremento degli investimenti strategici tramite eurobond, insomma a quel governo europeo dell’economia che è indisgiungibile (lo sappiamo da sempre) da quello della moneta. Tutti gli esperti, per una volta, concordano: o si realizza senza indugi più Europa – quanto meno entro l’Eurozona – oppure si fa incombentelaprospettivadiunacrisiche potràinfirmare,conl’euro,l’intero processo di integrazione, cioè il futuro. Non solo il nostro, ma anche quello dei Paesi più di noi ricchi e virtuosi.La partita che si è aperta in Italia, essenziale per il nostro Paese, lo è altrettanto per l’Ue. La politica italiana su questo ha le idee chiare. Ma solo un comportamento interno ineccepibile può renderle credibili ed efficaci.

Il Fatto Quotidiano 16.07.11