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«Fiat, basta con le minacce ora gli investimenti», di Oreste Pivetta

Ventiquattro ore e più dopo la sentenza, la lettura resta complicata e le interpretazioni incerte. Soprattutto non si colora d’azzurro il cielo sopra le fabbriche italiane: arriveranno o no gli investimenti promessi da Marchionne? L’avvenire è oscuro e sono preoccupati più a Torino che a Pomigliano, lo stabilimento al centro della contesa giudiziaria, perché bene o male la Fiat settecento milioni a Pomigliano li ha impegnati e a Pomigliano, bene o male, a ottobre dovrà partire la nuova linea di produzione della Panda, la nuova Panda, che s’attende per l’anno prossimo, carta sperata di rilancio in un mercato sempre più magro. La Fiat e i suoi tira e molla, la Fiat e la sua voglia di uscire da Confindustria, di far da sé, di poter decidere da sé, indisturbata, la Fiat sempre un passo avanti nell’attacco del contratto nazionale, «per partire – sostengono al Lingotto ed è ormai un ritornello – almeno alla pari con un concorrenza che per noi è globale». Che cosa resta? Pare che Marchionne reciti sempre la stessa parte: prima le promesse, poi le frenate. Lo dice con chiarezza Susanna Camusso, accusando gli uomini del Lingotto di un atteggiamento ondivago, ricattatorio, tutto teso a far pesare troppo il proprio disegno, cancellando i diritti dei lavoratori, di fronte a progetti che non si realizzano, quasi celando un’intima vocazione a mollare tutto.

CIRCOSTANZE USATE COME ALIBI «Per l’ennesima volta – commenta il segretario della Cgil – la Fiat rimette in discussione gli investimenti annunciati, li sospende. Qualsiasi circostanza viene usata come un alibi per congelare gli investimenti… Sembra che ogni scusa sia buona per nascondere lamano.Questa volta la circostanza viene fornita da una sentenza della magistratura». Cheperaltronon mette in discussione un accordo, sottoscritto con Cisl e Uil e in deroga al contratto nazionale, solo stabilisce la legittimità della presenza di un sindacato, che quell’intesa ha contestato… Peccato che la Fiat insista nello scontro in un momento in cui, tra mille difficoltà, passi importanti sono stati compiuti, anche dalla Cgil, verso una regolazione dei rapporti sindacali, verso unadisciplina democratica delle rappresentanze. Ma la Fiat, si sa, aveva già con chiarezza fatto intendere la propria contrarietà all’ipotesi di accordo sottoscritto il 28 giugno scorso, tra i tre sindacati e Confindustria. La Fiat aveva già fatto sapere di essere pronta a lasciare l’associazione degli industriale e a procedere per conto proprio: ogni volta Marchionne alza l’asticella e la sua tattica sembra soprattutto di rottura. Invece, commenta ancora Susanna Camusso, la sentenza di Torino se da un lato dà ragione all’impresa dall’altro riconosce i diritti di chi non è d’accordo, avverte che non si può procedere secondo la logica del “prendere o lasciare”.

MODELLO FALLIMENTARE «La cosa più importante della sentenza – sostiene Susanna Camusso – è che il modello della divisione si è dimostrato fallimentare. La cosa più importante è che viene restituita ai lavoratori la possibilità di decidere a quale sindacato appartenere ». È un richiamo anche a Cisl e Uil? «Questo dovrebbe indurre tutti i firmatari dell’accordo separato a riflettere sul fatto che le strade che portano a separazioni ed esclusioni non funzionano – replica il segretario generale della Cgil – ed è proprio per questa ragione che è importante che ci siano regole condivise come quelle contenute nell’ipotesi di accordo del 28 giugno scorso firmato da C g i l , C i s l , U i l e Confindustria… ipotesi, finché non si saranno espressi i lavoratori. Lì si è comunque raggiunto un risultato importante, si sono messe le prime tessere di un mosaico di nuove e moderne relazioni sindacali, che ripartendo dalle regole ricompongano una divisione, anche di fronte a diversità di opinione tra le organizzazioni ». Ribadendo il valore decisivo del contratto nazionale, mentre si stava assistendo alla moltiplicazione di accordi separati e di contratti aziendali sostituitivi del contratto nazionale, rimettendo al centro, appunto, il contratto nazionale.

L’Unità 18.07.11