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Borsellino, 19 anni dopo. Gozzo: «Un dramma da superare», di Nicola Biondo

La morte di Borsellino – dice Nico Gozzo, procuratore aggiunto a Caltanissetta e componente del pool di magistrati e investigatori impegnati nella nuova indagine sulla strage del 19 luglio 1992 – è un dramma epocale, una tragedia nazionale da cui questo paese non è ancora uscito».
Dottor Gozzo a che punto è «la notte» a Via D’Amelio?
«Da tre anni lavoriamo senza sosta. Un’inchiesta come questa ti rivolta dentro, coinvolgendo le cose le cose in cui credi: il tuo lavoro, il rapporto di fiducia con la polizia giudiziaria, il modo in cui la stampa scrive di giustizia, il rapporto con i movimenti antimafia. Insomma, una seduta di autoanalisi, da cui si esce completamente destrutturati, e, se si ha fortuna, rifondati. Stiamo provando a rischiarare la notte di questa Repubblica con alcuni lampi di verità».

Prima del contributo di Gaspare Spatuzza c’era una verità processuale conclusa in Cassazione. Una falsa verità – dicono le vostre recenti indagini – basata sulle dichiarazioni di un falso pentito, Vincenzo Scarantino, e sulle indagini fatte da un gruppo di poliziotti, oggi tutti indagati. Di cosa si è trattato: di un depistaggio o semplicemente di un abbaglio?
«Le indagini in corso diranno se si è trattato di un depistaggio o meno. Questa storia ci ha insegnato ad essere più umili, a non dare nulla per certo. A rispettare di più il lavoro, importantissimo, della difesa. A non innamorarci di alcune prove raccolte, sottoponendole sempre ad attentissima verifica.

Ci sono nuovi indagati per l’eccidio?
«A questo non posso rispondere».

Tra i segreti della strage c’è quello della scomparsa dell’agenda rossa che il giudice Borsellino teneva sempre con sé.
«È giusto sgombrare il campo da notizie fantasiose apparse sulla stampa. Non c’e alcuna “riapertura” delle indagini e non vedo nessuna necessità di inventarne l’esistenza. Su questa vicenda c’è stato un solo indagato (l’ufficiale dei carabinieri Giovanni Arcangioli, ndr), per il quale la Cassazione ha deciso il non luogo a procedere. Comunque, l’agenda è realmente esistita e la sua sparizione è argomento di nostro interesse: lo sarà sempre».

Diciannove anni dopo è possibile una ricostruzione della strage?
«I contributi recenti di Spatuzza e di un nuovo collaboratore di giustizia, Fabio Tranchina, ci consentono di fare molti passi avanti. Ma manca ancora una collaborazione di rilievo apicale nel mandamento di Brancaccio, quello dei fratelli Graviano. Comunque, è la verità su tutte le stragi italiane che è estremamente complessa perché, per quello che è stato accertato, sono normalmente determinate da pulsioni provenienti da molteplici direzioni. Quando vi è una convergenza su un dato obiettivo, la strage ha luogo. È giusto, dunque, che i familiari delle vittime vogliano sapere se vi sono mandanti esterni».

Fu Giuseppe Graviano a premere il pulsante che diede il via alla strage?
«Questa è la ricostruzione di Tranchina su cui stiamo lavorando. Il problema è che il mandamento dei Graviano è ancora oggi molto ricco e chi ne fa parte anche da recluso viene subito sostenuto dai mafiosi rimasti liberi. Occorre aggredire i patrimoni di questa parte importante dell’associazione mafiosa, per scardinarne l’omertà».

La Procura nissena si occupa anche della trattativa Stato-mafia. La strage Borsellino può leggersi all’interno di questo contesto?
«Noi ci occupiamo di questo filone d’inchiesta perché vi sono elementi che lo legano alle stragi di mafia. È un dato stabilito da svariate sentenze, sia di Caltanissetta che di Firenze».

Quindi ci furono trattative e Borsellino ne venne informato? Fu questa una concausa della strage?
«È dato acquisito processualmente a Palermo, lo ha detto la dott.ssa Paola Ferraro: Borsellino sapeva. Ed è già acquisito in sentenza che l’esecuzione della strage subì una improvvisa accelerazione, alla fine di giugno».

Avete indagato anche uno 007. Ci sono quindi coinvolgimenti di uomini di Stato nella strage?
«Stiamo facendo il possibile per accertare la verità, senza idee preconcette, ma anche senza riguardi di alcun genere. Come ci impone la legge».

Quali sono gli ostacoli che trovate nelle indagini? Testimoni reticenti, la scomparsa di documenti o una certa insofferenza della politica per queste indagini?
«Avevamo appena iniziato le indagini ed un politico disse che era vergognoso che si buttassero soldi dei contribuenti per accertare verità che contrastavano con quanto già affermato dalla Cassazione. Ma è la legge che ci impone di indagare se emergono nuove prove. Noi abbiamo bisogno di avere lo Stato, tutto lo Stato, al nostro fianco. Sarebbe sbagliato leggere le indagini con una lente di destra o di sinistra. Tutti devono avere interesse all’accertamento della verità, quale essa sia».

La questione morale non riguarda solo la politica ma investe anche la magistratura come emerge dalle ultime inchieste. Che a sua volta denuncia una costante delegittimazione da parte di ampi settori della politica. Una sorta di corto circuito tra poteri dello stato. Quale potrebbe essere la via d’uscita?
«L’autorizzazione a procedere per i parlamentari, depurata di ciò che l’aveva resa così odiosa alla maggior parte della popolazione italiana, aveva una sua giustificazione. Penso, come modifiche, ad esempio ad una autorizzazione che debba essere concessa da un organo terzo, come la Corte Costituzionale. Ma occorre certamente reinserire un diaframma tra magistratura e politica. Altrimenti la magistratura sarà sempre sotto attacco, perché la politica ha a sua disposizione armi di delegittimazione molto forti, che in questi ultimi anni ha usato abbondantemente senza alcun rispetto per i magistrati».

Sulla vicenda Ciancimino si è parlato di guerra tra le Procure di Palermo e Caltanissetta. Il Csm sta decidendo se prendere provvedimenti. Cosa è successo davvero?
«Rispetto il lavoro del Csm e, dunque, non rispondo. È chiaro che non può esistere una indagine su via d’Amelio senza collaborazione tra le due procure. Domani (oggi, ndr), del resto, ci sarà a Caltanissetta proprio una “partita del cuore” tra magistrati palermitani e nisseni, in onore di Borsellino, ed a dimostrazione dei rapporti sempre stretti tra le due sedi».