attualità, politica italiana

"Le macerie del Cavaliere", di Aldo Schiavone

Fino a quando potrà andare avanti così? E cosa ancora ci toccherà di vedere prima che cali il sipario su una situazione non più sostenibile? E´ l´intero Paese a chiederselo, in questa estate di paure e di veleni. Berlusconi e, ogni giorno di più, Bossi con lui – votati allo stesso destino – sono ormai un ostacolo da rimuovere.Dopo quasi vent´anni di interminabile transizione, la nostra vita pubblica è a questo punto. Perché a null´altro ormai s´è ridotta la leadership che una volta aveva saputo conquistare un popolo (quello stesso che chiamava “gente” – una parola vergognosa, che dovremo dimenticare in fretta).
Non altro è diventata che un grumo di macerie e di potere, un impasto denso di seduzione finita e di ostinazione che resiste, senza più rapporto con la realtà del Paese: frantumi di sogni non realizzati e pratiche contagiose di scostumatezza, di dismisura e di arroganza. Null´altro è ormai se non specie di tappo – potremmo davvero chiamarlo il fattore T – che comprime e soffoca un´Italia a rischio e in pericolo. La stessa destra lo sa, ormai, e lo capisce la base leghista: che sente d´essere ostaggio in una partita non sua.
Ma da dove viene un simile stallo, questa fine che non smette mai di finire? La verità è che l´Italia sta scontando la dissoluzione di una tenace lusinga, il dissolversi di un´illusione che ora stiamo capendo quanto micidiale – la fiducia nel “miracolo” berlusconiano – trasformatasi sotto i suoi occhi in un cumulo soffocante di detriti. In questi mesi, appena velata dall´onda delle celebrazioni unitarie, l´idea che il Paese abbia imboccato una irreversibile via di declino ha conquistato consensi sempre più vasti – talvolta persino inattesi. Si tratta, purtroppo, di una percezione per nulla infondata, che poggia su elementi al di là della stessa crisi economica, che pure sta assumendo sempre di più i tratti di una vera e propria svolta d´epoca.
Quando però si passa dalla constatazione della gravità dei fatti alla ricerca delle cause della nostra difficoltà, molti giudizi si fanno elusivi, e aggirano una questione di fondo: il peso determinante del berlusconismo nel declino italiano; il ruolo che esso ha ricoperto, in quasi un ventennio, nel portarci dove oggi siamo: e cioè, precisamente sull´orlo del baratro. Non è per un astratto bisogno di verità, che va sottolineato questo aspetto; per una pur legittima esigenza di non manipolare il giudizio storico, e di esatta individuazione delle responsabilità politiche. No. E´ questione d´altro. E cioè che senza un´analisi rigorosa e spietata della stagione che abbiamo alle spalle, senza una forte presa di coscienza – che deve riguardare anche la destra, il grande schieramento dei conservatori italiani – di quel che è stata veramente l´Italia in questi anni, non troveremo la forza di venir fuori davvero dal disastro che incombe su di noi.
Non bastano gli indicatori economici per descrivere la profondità della crisi italiana. Il dissesto di milioni di famiglie, la disoccupazione che sta devastando le vite di un´intera generazione, il carattere spudoratamente classista di misure di salvataggio varate con l´acqua alla gola dopo aver negato per anni l´esistenza stessa di qualunque problema, l´assenza, nelle nostre politiche pubbliche, di ogni progetto legato a una strategia di crescita e di sviluppo. Tutto questo c´è, ma non è sufficiente a capire. Perché la malattia del Paese è innanzitutto nel senso comune che si è cercato di far passare in questi anni, nella cultura della disgregazione individualistica (chiamiamola così) cui si è cercato di uniformare i nostri comportamenti pubblici e privati; nel modello sociale, successo senza qualità, che è stato proposto presentandolo come la chiave del futuro.
Prima che economiche e politiche, le responsabilità del berlusconismo sono innanzitutto responsabilità culturali. In un´età di smarrimento e di vuoto, il premier ha assecondato la deriva anomica del Paese, giocando istintivamente sull´antica vocazione al disordine dei nostri “animal spirits”, sull´ambiguità del nostro storico e sbilanciato rapporto tra le forme e la vita. Egli non è stato l´autobiografia della nazione. Ha piuttosto cercato di instillare negli umori della nazione la sua personale biografia, sfruttando una congiuntura mondiale favorevole, e facendo del proprio eccezionalismo proprietario il paradigma di una società illimitatamente acquisitiva, senza regole, senza legami, senza pensiero critico (altro che formazione, altro che scuola e ricerca!), e sostanzialmente senza politica, sostituita quest´ultima da un rapporto carismatico fra il leader e un popolo ridotto a “gente”. Ha cercato di moltiplicare il suo permanente stato d´eccezione nello specchio segreto in cui milioni di italiani provavano a ritrovare in piccolo, attraverso l´immagine del leader moltiplicata all´infinito, un riverbero di se stessi. Se Berlusconi ha finora retto, è perché ha costruito intorno a sé una (im) politica il più possibile a lui somigliante, e dunque in grado di ingoiare di tutto in nome dell´eccezionalità del Capo.
Da tutto questo non si uscirà facilmente. Certo, non si possono ridurre al solo berlusconismo le ragioni strutturali del declino italiano. Ma se non si scioglie questo nodo, ora e subito, se non si fa saltare il tappo e si separano le storie, sarà difficile per l´Italia ritrovare la strada della speranza.

La Repubblica 22.07.11

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“Il PREMIER asserragliato”, di Franco Cordero

Nove settimane confermano che l´avventura berlusconiana sia storia naturale. Lo paragonavamo al caimano (Iddio spaventa Giobbe magnificando Leviathan, capolavoro d´ingegneria): ogni impresa gli riusciva come lo scatto delle lunghe mandibole o i colpi d´una coda squamosa, mentre l´animale pensante spende energia in dubbi, calcoli, fatica mnemonica; vi perde tempo e gli complica la vita un´autorità interna, i cui comandi o divieti costano, lasciando sedimenti dolorosi nell´inadempiente. Immune da logica, morale, sensibilità estetica, Berlusco felix disponeva d´una macchina d´alto rendimento: stomaco vorace, riflessi sicuri, una tecnica fraudolenta elementare garantivano vantaggi determinanti; erano partite truccate. L´equazione econometrica presuppone organismi perfetti e ambienti favorevoli (su terreno secco gli alligatori rischiano la morte d´inedia). Ma sopravvengono difficoltà appena i riflessi s´allentino o il contesto muti. Nella guerra giudiziaria, fallito il colpo risolutivo (immunità), ha molto da temere con quel passato. Aveva invaso la ribalta in pose da vaudeville, mago d´una vita comoda godibile da tutti. I fatti suonano musiche terribilmente diverse: abbiamo l´acqua alla gola; forse perde denaro persino lui, affarista supremo, nonostante rendite monopolistiche, mille grovigli societari, paradisi fiscali, uno Stato nel quale mette le mani; e milioni d´italiani distano due dita dalla povertà. La miseria acuisce gli occhi. Lo vedono imbroglione, guitto, falso statista, abile solo nell´accumulare soldi barando.
Qui emergono i punti deboli: a mani vuote, recita vecchie manfrine come fosse martedì sera 8 maggio 2001, quando in «Porta a Porta» firmava il contratto con gli italiani, impegnandosi a desistere se le meraviglie fossero rimaste sulla carta; dopo dieci anni, ormai vecchio, ispessito, cupo, ripete lo stesso motivo. L´arnese ha una sola corda e stride. Biologicamente questo caimano non vale i maiali dell´Animal Farm, così evoluti da eguagliare l´uomo: nel decimo capitolo assumono posa eretta sulle zampe posteriori; impongono alle bestie suddite una disciplina dura, obbligandole a lavorare di più e mangiare meno; ricevono Mr Pilkington e agricoltori dei dintorni; in tale compagnia tengono discorsi, brindano, giocano a carte, litigano (l´ospite e Napoleone, verro dominante, spacciavano simultaneamente due assi di picche). Dissonare dall´ambiente è difetto grave in uno che batta le piazze. La parabola infausta comincia dalla campagna elettorale milanese: sapeva d´essere in calo ma salta nella mischia; il voto amministrativo diventa ordalia politica. Lancia sfide estreme sentendosi irresistibile: sensazioni fallibili; infatti, cade male al primo turno, rovinosamente nel secondo. Due settimane dopo sperava una rivincita dai quattro referendum abrogativi d´altrettante leggi sue. Terzo collasso. È svanito il fluido d´enchanteur, e dev´essersene reso conto perché non nomina più «il popolo», dal quale vantava un´investitura plebiscitaria. Nelle fotografie ha lo sguardo torbido e vacuo.
Le sventure non vengono mai sole su chi le cerca. Era notorio che, quanto a corruzione e analoghi delitti, stiamo sei o sette volte peggio rispetto all´anno cruciale 1992. La Procura napoletana scova del malaffare nei santuari governativi, in lingua giornalistica P4. Provvedimenti cautelari indicano Luigi Bisignani, illo tempore piduista junior, e Alfonso Papa, dirigente nel gabinetto del ministro Alfano, ora deputato Pdl. Malaccorto anche qui, nega i fatti ma la connection consta da dialoghi registrati: e la privacy?, ulula, annunciando riforme radicali; lo lascino fare e gli italiani converseranno sicuri che nessuno li spii. Sia concessa una parentesi sui tentacoli nella Rai: Deborah Bergamini, fattoressa berlusconiana, lo chiamava «der Führer»; «tu sei Eva Braun», risponde Clemente Mimum; Francesco Pionati raccomanda misure epurative coniugando i verbi “impiccare”, “friggere” e simili. Sappiamo con quanta disinvoltura usi le antifrasi, invertendo il senso delle parole. Era attesa la decisione d´appello nella causa sui danni d´una sentenza venduta. Res iudicata: i barattieri scontano o hanno scontato una condanna penale; nei confronti suoi il delitto risultava estinto dal tempo, grazie alle attenuanti generiche benevolmente concesse. Ormai era discutibile solo il quantum. La Corte abbassa a 560 i 750 milioni liquidati dal Tribunale; e lui baccaglia: «rapina a mano armata»; «forsennata aggressione al patrimonio», «vogliono farmi fuori». La sesta gaffe straripa dall´immaginabile. Dopo otto anni d´ipnosi euforica, l´Italia affonda sotto l´enorme debito pubblico: il ministro dell´economia avvia una manovra di almeno 40 miliardi tra tagli e fisco; all´ultimo istante un comma nella coda dell´ultimo articolo ritocca la norma vigente ab immemorabili, stabilendo che le condanne in appello a somme oltre i 20 milioni diventino esecutorie solo in quanto la Cassazione respinga il ricorso. Ennesima fattura, talmente sordida da non passare. La terapia è debole, bisognerà rinforzarla, ma secondo lui, era troppo severa, settima bestialità. Non stupisce che i mercati rispondano picche: a Palazzo Chigi siede un joker impresentabile e finché vi resti, nessuno accorderà fiducia alla sciagurata Italia; il risanamento richiede mani e visi seri.
Votassimo domani, perderebbe male: sapendolo, s´arrocca nelle Camere, forte dei voti venali; notavamo come dalle parole d´ordine sia scomparso «il popolo», mentre risuona lo slogan «parlamento sovrano». L´idea è tenere artificialmente vivo l´ormai inesistente esecutivo fino alla primavera 2013; «non mollo»; nel suo lessico manca la parola “dimissioni”. Bel programma, ricorda macabri fenomeni vegetativi imposti dal dogma ecclesiastico. Infine, mercoledì 20 luglio Montecitorio vota sull´arresto di Alfonso Papa. Esperti d´arie parlamentari davano probabile il rifiuto; i quadri luminosi li smentiscono: 319 sì, 298 no (non accadeva da 27 anni). Inutile dire chi sia il soccombente: fosse uomo politico, domani presenterebbe le dimissioni, ma è prevedibile che s´asserragli nel palazzo; «hic manebimus optime» e sarebbe nel suo stile sbagliare le desinenze.

La Repubblica 22.07.11

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