attualità, cultura, politica italiana

"Un paese impoverito e l'erosione della legalità", di Nadia Urbinati

Chi governa un Paese non dovrebbe sottomettere le proprie scelte a nessun´altra autorità che non sia la legge: qui sta il seme della libertà e anche la condizione del benessere, individuale e collettivo. Su questa massima si sono trovati d´accordo conservatori e democratici, i seguaci di Edmund Burke e di Jean-Jacques Rousseau. Nonostante la sua generale condivisione, però, questa massima di prudenza e di buon senso ha trovato forti resistenze. Chi scriverà la storia del nostro Paese e la potrà raccontare senza incontrare diffidenze ideologiche si troverà probabilmente a dover dar conto degli effetti sociali che questa resistenza ha prodotto nel corso degli ultimi decenni, per esempio della correlazione tra impoverimento generale e deperimento del senso della legge, e poi, immancabilmente, tra essa e il declino del senso di giustizia sociale. L´escalation delle manovre economiche è in qualche modo un riflesso e un´indicazione di questa storia.
L´incontro nefasto di questi fattori ha accompagnato il graduale declino economico e sociale, un declino il cui inizio è databile agli anni ´80 e ai governi ispirati o guidati da Bettino Craxi. La sua politica economica a partire dal principio di quel decennio ha implicato l´espansione del debito pubblico con una proporzione rispetto al Pil che, scrivono gli economisti, passò dal 70% al 90% nel giro di pochi anni. Sul debito dello Stato sono cresciuti i guadagni privati ma anche la gestione fallimentare del bilancio pubblico generando quell´asimmetria che grava oggi su di noi e che non è solo economica: asimmetria tra ciò che è nell´interesse del singolo e ciò che è nell´interesse pubblico o della società larga. Innescare la contraddizione tra interesse generale e interesse individuale è stato determinante nel favorire un´altra vicenda collaterale, non meno infelice, quella dell´incremento dell´evasione fiscale, poiché agli squilibri accumulati dai conti pubblici ha corrisposto l´impennata di questo fenomeno per il quale l´Italia è tristemente ai primi posti nel mondo. L´evasione è un documento esplicito del contrasto tra individuo e società, un contrasto che in alcuni casi, anche di recente, è stato alimentato dalle stesse forze politiche per acquistare consensi o abbattere governi (ricordiamo per esempio gli attacchi dell´allora Forza Italia contro la campagna anti-evasione fiscale promossa dal ministro Visco).
Infine, a completare la storia del dissesto dell´interesse pubblico c´è da mettere in conto la pratica trasversale e ormai strutturale della corruzione. Corruzione che deve essere intesa in senso proprio, ovvero come una pratica che genera politiche intenzionalmente volte a favorire alcuni a discapito di altri e della legge – un esempio per tutti, quel “decreto Berlusconi” (un decreto si badi bene che porta il nome della persona che ne beneficia), varato nei primi anni ´80 dopo la decisione dei pretori di Torino, Roma e Pescara di oscurare i canali televisivi della Fininvest di proprietà dell´attuale presidente del Consiglio, allora un imprenditore legato da forte amicizia con Craxi. Al di là del significato di favore e in questo senso di corruzione di quel decreto, è importante osservare che con esso venne suggellato anche il contrasto tra le istituzioni dello Stato poiché con quel decreto la politica stabiliva una contrapposizione diretta con la magistratura e il dettato costituzionale. Se si vuole riassumere in una frase il senso, lo spirito, della storia politica di quegli anni si potrebbe dire che si ebbe un divorzio tra governo della legge e governo delle convenienze, dove per governo delle convenienze non deve intendersi ciò che è prudente o necessario per il bene del Paese, ma ciò che è utile al fine di consolidare o proteggere un determinato legame di potere tra individui o gruppi sociali.
Politica dell´arricchimento privato a spese della stabilità economica e sociale del Paese e politica dell´erosione della legalità sono andate insieme. E non è un caso che proprio negli anni ´80 sia stata praticata in grande stile la pratica fallimentare dei condoni edilizi e fiscali: una catena di sant´Antonio che ha riconosciuto e accettato la violazione della legge, fino a incentivarla. In questa politica del dissesto pubblico e della corruttela si situa la pratica delle “manovre” economiche, una ricorrente pratica che, istituita con i crismi dell´eccezionalità, è diventata quasi ordinaria, figlia anch´essa deli anni ´80 e che ha progressivamente impoverito la nostra società, la sua capacità di crescere e di rischiare per il futuro.
Impoverimento nei servizi prima di tutto con periodiche picconate alla loro efficienza, equa distribuzione e qualità; impoverimento per l´erosione dei risparmi e delle potenzialità delle famiglie e delle persone, soprattutto dei più giovani. La dissociazione tra interesse privato e interesse pubblico che è stata alimentata da quelle politiche di spreco e anche di illegalità ha avuto come conseguenza nemmeno troppo indiretta l´impoverimento generale della nostra società. La corruzione impoverisce, come ben sanno quei Paesi europei (il nostro tra questi) che sono più fragili anche perché più esposti agli effetti di bilanci dissestati e nei quali il bene pubblico è stato oggetto di saccheggio con irresponsabile sistematicità. L´idea balzana che ha dominato in questi decenni è stata quella per cui ciascuno si fa prima di tutto l´interesse proprio, senza comprendere che l´interesse proprio per essere sicuro deve in qualche modo incontrarsi con quello altrui – ma questa filosofia dell´utile richiede una prudenza che soltanto un senso ragionato di giustizia può illuminare. Per questo, i Paesi con i conti pubblici meno in regola sono anche quelli dalla più incerta etica pubblica. L´Italia è tra questi; ed è un Paese a rischio soprattutto per la mancanza di una classe politica di governo che si convinca ad accettare le proprie responsabilità e riconoscere i propri limiti e fallimenti; che insomma non anteponga il proprio interesse a quello generale. Per questo, nonostante tutto, quella italiana è in primo luogo una crisi politica la cui soluzione può venire solo da una svolta nella classe di governo.

La Repubblica 23.07.11