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"Di padre in figlio", di Lucia Annunziata

Inviando i carri armati contro la popolazione della città di Hama, la famiglia Assad si conferma la più capace genia regnante oggi nel Medioriente della Mezzaluna, se per capacità si intende saper conservare il proprio potere con crudeltà e sprezzo di ogni interesse umano che non sia il proprio.

Papà Hafez al Assad, detto anche il Leone di Siria, guarda probabilmente oggi dall’alto con orgoglio la sua progenie, Bashir che è Presidente, e Maher, capo dei gruppi di élite della Guardia repubblicana che guida da mesi la repressione delle proteste. I due rampolli, arrivati sulla scena politica del Paese con la reputazione dei rammolliti (Bashir è dentista e ha conquistato il titolo con molti anni di studi a Londra), si sono rivelati in effetti in questi mesi degni eredi del Leone: la scelta di spianare Hama è del resto un perfetto omaggio a lui, il papà. Fu Assad padre infatti, nel 1982, il primo ad avere l’idea di radere al suolo, novello Attila, la città di Hama, che aveva osato ribellarsi, per farne il monumento alla stabilità e alla forza del suo potere, uccidendo 30 mila islamici. Si capisce bene dunque che oggi i suoi figli inviando i carri armati intendano ripetere l’operazione simbolica di fare di Hama il luogo in cui anche stavolta si è insegnata una lezione a tutto il dissenso siriano che da mesi scuote il Paese.

Il momento, del resto, è perfetto – e tutto si può dire degli Assad meno che non sappiano far di conto e di politica.

Questo inizio di agosto è il festival della distrazione internazionale. Obama è profondamente indebolito dal rischio default, e nel clima che si respira in America è improbabile che Washington si impegni su questioni internazionali. Il presidente turco Erdogan, cui l’Occidente ha affidato il compito di tirare (ogni tanto) le orecchie ai focosi giovani Assad, è in piena crisi da conflitto con i suoi generali dimessisi in massa venerdì per protestare contro l’arresto di 250 ufficiali da parte del governo con l’accusa di cospirazione. Al Cairo fra due giorni dovrebbe iniziare il processo a Mubarak, che rischia di essere la piazza mediatica internazionale su cui si ufficializzerà che i Fratelli musulmani sono quasi riusciti a dirottare e rapire la rivoluzione di Piazza Tahrir. Infine inizia oggi, primo agosto, il Ramadan, il mese di celebrazioni del calendario musulmano, in cui il mondo islamico digiuna, prega e festeggia se stesso – con un antico rito che nel decennio scorso è diventato data simbolica anche per l’Islam radicale di un diverso tipo di festeggiamento, quello delle armi. Proprio ieri l’ammiraglio Usa Mullen, che guida lo staff dei capi di stato maggiore americani, ha proclamato la massima allerta delle truppe in Afghanistan per timori di attacchi taleban durante il Ramadan. E se lo fanno i taleban, perché non farlo in Siria, devono aver pensato gli Assad. Va detto che tutto quello fin qui scritto è solo frutto di osservazioni – tra le altre cose, infatti, il tanto «westernizzato» governo di Damasco, con la sua splendida first lady cresciuta a Londra, le sue portavoce donne, e la sua elegante borghesia che ha ristrutturato il centro storico della capitale, non ha avuto esitazione a buttar fuori (e a tenerli fuori) i giornalisti occidentali.

Riusciranno dunque i fratelli Assad nel loro progetto di radere al suolo Hama? Non abbiamo dubbi. Si è scritto e riscritto (e a questo punto è inutile ripetere) del doppio standard che l’Occidente ha adottato nei confronti della Siria: decisionismo militare per la Libia e chiacchiere di vuote proteste per Damasco. Le ragioni di questa disparità sono state esse stesse descritte numerose volte. La Siria è il cortile di casa di due grandi potenze mediorientali – la Turchia e Israele, ed è dunque area di gioco di quasi tutti i conflitti locali. Attraverso la Siria passa l’aiuto iraniano agli Hezbollah e ad Hamas (che agiscono rispettivamente contro Israele in Libano e a Gaza). La Siria è inoltre una nazione a base etnica molto variegata, con una importante presenza, tra le altre, sia di cattolici che di curdi. Si aggiunga che in Siria non c’è petrolio, e la somma finale è semplice: il timore di una destabilizzazione di questa nazione è più forte di ogni preoccupazione umanitaria.

da www.lastampa.it

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Cannonate sulla folla, strage ad Hama. Gli attivisti: “Almeno cento morti”
Il regime attacca la città martire Sdegno del mondo: “Fermatevi”. Da Frattini un appello all’Onu. Ma Cina e Russa restano fredde

Ha i numeri di un vero e proprio massacro il bilancio dell’offensiva contro i manifestanti anti-governo lanciata oggi dalle forze di Damasco, proprio alla vigilia dell’inizio del mese di Ramadan. I gruppi per i diritti umani parlano di oltre 136 morti, principalmente ad Hama, la città martire contro cui oggi all’alba l’esercito siriano ha lanciato l’attacco con i tank e l’artiglieria pesante, uccidendo almeno 100 persone.

Ma vittime dell’offensiva sono state registrate anche a Harak, nella provincia di Daraa, dove sono state uccise diverse persone, tra le quali una bambina di tre anni. Mentre sono almeno 19 le persone rimaste uccise, e decine i feriti, nella città orientale di Deir el Zour. Due persone sono state uccise nella città di Idlib, nel nord del paese.

I tank di Damasco sono entrati in azione anche nel quartiere periferico di Damasco di Moadamiyya, e le forze di sicurezza hanno lanciato gas lacrimogeni in un altro quartiere della capitale, quello di Daraya, dove un migliaio di persone sono scese in piazza per protestare contro il regime e dimostrare il sostegno alle città sotto attacco militare. E in un altro quartiere di Damasco, Zabadany, otto soldati hanno defezionato dall’esercito.

Davanti al massacro sono arrivate reazioni indignate da tutto il mondo. L’offensiva militare iniziata all’alba ad Hama, secondo gli Stati Uniti, è un segno che il regime è «disperato». Le autorità siriane, ha detto un funzionario dell’ambasciata Usa di Damasco, «pensano di poter prolungare la loro esistenza ingaggiando una guerra aperta contro i loro stessi cittadini». Quella messa in atto dai tank siriani è un’ «orribile repressione», secondo il ministro degli Esteri Franco Frattini che sollecita una «riunione urgente del Consiglio di sicurezza dell’Onu» . «Rivolgo un forte appello per la cessazione immediata delle violenze contro i civili», ha aggiunto il titolare della Farnesina, augurandosi che in Siria «si possa giungere ad una soluzione della crisi», attraverso «l’attuazione delle riforme» e «l’avvio di un dialogo inclusivo». Frattini ha chiesto alle Nazioni Unite «una riunione d’urgenza del Consiglio di Sicurezza per prendere una posizione molto ferma» sulla Siria.

Si dice «inorridito» il ministro degli esteri britannico William Hague, secondo il quale tanta violenza «non ha giustificazione», mentre tornano a chiedere un «deciso intervento del consiglio di sicurezza dell’Onu», che fino ad ora non si è mai espresso, Parigi e Berlino. Il ministro degli esteri francese Alain Juppè ha definito «particolarmente inaccettabile alla vigilia del Ramadan», ciò che è accaduto in Siria. «Ora più che mai – ha aggiunto – la Francia si augura che il Consiglio di sicurezza dell’Onu si assuma le sue responsabilità esprimendosi con forza e sicurezza, coma ha fatto a più riprese il Segretario generale».

Ancora più diretto l’intervento della Germania, che ha avvertito il regime: «se la violenza non si fermerà immediatamente – ha detto il ministro degli esteri Guido Westerwelle – adotteremo nuove sanzioni con i nostri partner europei». Il governo tedesco, ha aggiunto, chiede ad Assad di porre immediatamente fine alle violenze contro i manifestanti pacifici e «resta assolutamente convinto che il consiglio di sicurezza dell’Onu dovrà reagire a questa violenza». Di più: «non fermeremo mai i nostri sforzi – ha assicurato – per convincere gli stati refrattari».

Il riferimento è a Russia e Cina entrambe piuttosto fredde all’idea di misure contro la Siria: Mosca nei mesi scorsi ha ribadito più volte che intende ricorrere al diritto di veto contro ogni risoluzione Onu nei confronti della Siria. Dall’Unione europea invece nuove sanzioni sono già in arrivo. Bruxelles ha annunciato appena due giorni fa che rafforzerà le misure contro la Siria, dopo aver approvato già tre pacchetti di sanzioni contro il regime di Assad. Con il prossimo – il quarto – i 27 allungheranno la lista delle persone colpite dal congelamento dei beni e dei visti.

da www.lastampa.it