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"Con gli occhi dei bambini", di Giuseppe Caliceti

L’immigrazione vista dal basso, dai minori, è assai diversa da quella che vedono gli adulti.

Il mar Mediterraneo assomiglia sempre di più a una grande bara d’acqua a cielo aperto. I morti ormai non si contano più. Nell’ultima tragedia di Lampedusa sono stati 25, probabilmente uccisi dalla calca nella stiva della nave o forse anche dalle botte ricevute. Tutti innocenti. Con una sola colpa, che poi non è una colpa: sognare un futuro migliore per sé e per le loro famiglie. Tra i 271 sopravvissuti, 36 sono le donne e 21 sono i minori.

L’immigrazione vista dal basso, dai minori, è assai diversa da quella che vedono gli adulti. Me lo hanno spiegato in questi anni, nella scuola primaria italiana, i miei alunni di origine straniera. Provenienti per lo più dal Marocco, dalla Tunisia, dall’Egitto, dall’Albania. «I bambini non immigrano», mi ha detto Aziz, 8 anni, proveniente da un sobborgo di Casablanca. «Non vanno da nessuna parte – ha spiegato – Loro stanno fermi. Sono i grandi che immigrano, i genitori. E allora portano i figli con loro, è logico. Non possono lasciarli da soli. Ma i bambini e i ragazzi sono portati, non sono immigrati». Ha aggiunto Olga, 10 anni, albanese: «Secondo me ogni bambino, ogni ragazzo, vuole vivere e crescere nel paese in cui è nato, vicino ai suoi amici e alla sua famiglia. Ma se i suoi genitori non hanno il lavoro, dopo non hanno neppure i soldi per mangiare, allora è per questo che siamo immigrati: per lavorare, per cercare di fare una vita migliore che in Albania».

D’altra parte, è sempre stato così. Ma pochi se lo ricordano. E tanti fingono di non ricordarselo. A proposito di questa ennesima tragedia Domenico Mogavero, vescovo di Mazara del Vallo, ha detto che «evidenzia il senso dell’uomo che decade, che muore proprio nel momento in cui cerca una vita migliore». E auspicando «una riflessione profonda che riguarda tutti, cristiani e non», ha aggiunto: «Quei corpi morti ci devono far riflettere di cosa è un uomo e di quanto infinitamente vale». Già , quanto vale, oggi, in Italia, la vita di un migrante? Molto poco, a giudicare dalla frequenza con la quale si ripetono queste tragedie. La colpa? La fatalità, si sente dire. O la disperazione, che qualcuno cerca di tradurre come un sinonimo di fatalità .

In realtà le responsabilità di chi governa non sono poche. Per prime quelle del governo italiano, che ancora fa fatica a distinguere tra rifugiati, profughi, immigrati, migranti, clandestini, richiedenti asilo politico. Quando sembrava che gli convenisse, ha disatteso le osservazioni dell’Europa contraria ai respingimenti. Quando ci scappano i morti, chiede il suo aiuto. Ricordate quando Maroni, nei mesi scorsi, ha chiesto di smistare cinquantamila immigrati nelle regioni italiane? Contemporaneamente, Bossi consigliò le stesse Regioni italiane di gridare: «Stranieri fuori dalle balle». Le nostre politiche sull’immigrazione sono sbagliate e patetiche. Sono confuse, schizofreniche, contraddittorie, pasticcione. Chiediamo solidarietà all’Europa e, contemporaneamente, incitiamo a non aver alcuna solidarietà parlando di tolleranza sottozero. Con quale autorevolezza, per arginare il crescente fenomeno migratorio, pretendiamo solidarietà dai popoli europei, se noi per primi non ne mostriamo alcuna di fronte a chi oggi vive peggio di noi? E se poi l’Europa dovesse dire «fuori dalle balle» agli immigrati magrebini che arrivano in Francia o in Germania dall’Italia, Bossi e Berlusconi che faranno? Inviteranno i poveracci al casinò di Lampedusa? Quale? Quello in cui si gioca ogni giorno con la vita e la morte di centinaia e centinaia di uomini, donne e bambini?

da L’Unità