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"Un marziano a Roma. Ora la vendetta dei mercati?", di Francesco Lo Sardo

La Borsa arretra ancora. Marchionne: altrove il premier si sarebbe dimesso
Sotto il cerone niente. Uno sfrontato inno all’immobilismo, persino al di sotto delle più pessimistiche aspettative. Niente nuove misure per la crescita, niente accelerazione sui tempi di intervento a riduzione del debito, niente liberalizzazioni, niente di niente. «Il governo governa. Il paese è politicamente ed economicamente solido. I nostri fondamentali vanno bene. Sono i mercati che non capiscono». E adesso si salvi chi può.
In un’atmosfera surreale, col parlamento pronto ad andare in vacanza mentre si rincorrono i rumors di un assalto dei fondi internazionali che si scatenerebbe sull’Italia entro metà agosto e le voci non smentite di un consiglio dei ministri d’emergenza per tentare di fronteggiare la catastrofe, Berlusconi ieri ha messo in scena uno show disarmante: per un verso s’é definitivamente smaterializzato nel vuoto pneumatico di un discorso all’insegna della più inconcludente continuità, dall’altro ha ribadito di voler restare in sella fino al 2013.
Frattini assiso a destra che si tiene su la testa a mezzo del dito indice piantato sotto il naso, Berlusconi ritto in piedi al centro, un ineffabile Tremonti dalla criptica espressione facciale seduto a sinistra. Eccola la punta di lancia del «governo che c’è e governa», come dirà il Cavaliere nel suo lunare discorso alle camere, convocate per ascoltare analisi e ricette anticrisi del premier-imprenditore.
Eccola la trimurti che dovrebbe difendere l’Italia dalla crisi, dall’attacco tedesco ai titoli di stato e dall’assalto di famelici hedge funds pronti a recidere la giugulare del paese. Oggi si saprà se i mercati si sono sentiti rassicurati dall’aria fritta sparsa dal presidente del consiglio tra gli applausi d’ufficio dell’abborracciata e risicata maggioranza che lo tiene in piedi e che si tiene in piedi per la paura di essere rasa a zero da elezioni anticipate e i molti mugugni ufficiosi per un intervento desolante.
Un discorso spento, espressione emblematica di un governo ormai senza vita, incapace anche di un solo piccolo colpo d’ala, di una sorpresa, di un’ombra di discontinuità rispetto alla linea dell’immobilismo assoluto che lo imprigiona, per via dei paralizzanti giochi di potere tra Tremonti e Berlusconi, due ex giganti ormai irrimediabilmente azzoppati agli occhi di tutto il mondo che continuano ad affondare litigando. «Dovremmo fare quello che avevamo proposto nel programma presentato ai nostri elettori con più coraggio e determinazione», diceva ieri il ministro Giancarlo Galan, il solo esponente della maggioranza Berlusconi-Bossi-Scilipoti che ha avuto il coraggio di mettere nome e cognome sotto una dichiarazione di palese, trasparente delusione.
Perché non ha detto nulla che già non si sapesse, ieri, Berlusconi: il che, per un paese economicamente e finanziariamente nella bufera, costituisce il peggiore degli eventi possibili. Già perché mentre in parlamento andava in scena il surreale show del Cavaliere all’insegna dell’elogio di se stesso, della sua maggioranza parlamentare e della «forte determinazione» ad andare avanti «fino al 2013 per poi sottoporsi al giudizio degli elettori», da ore si rincorrevano le voci di un’offensiva dei fondi contro l’Italia prima di Ferragosto e di un consiglio dei ministri d’emergenza che sarebbe chiamato a quel punto a fronteggiare la catastrofe attraverso misure eccezionali, dello stesso tenore di quelle decise dal governo Amato nel 1992, dopo che l’allegra maggioranza pentapartito del “Caf” che ha fatto la fortuna di Sua Emittenza Berlusconi aveva portato l’Italia alle soglie della bancarotta.
Il Cavaliere, ieri, ha recitato in aula poco convincenti esorcismi, ripetendo che «l’incertezza è aumentata ovunque», non solo in Italia, che il paese è «in condizioni di assoluta sicurezza » e che la manovra tremontiana varata 6 luglio (considerata «un’occasione perduta» da tre quarti del mugugnante ma silente Pdl) «è stata giudicata adeguata e sufficiente dall’Europa e dagli osservatori internazionali anche per la sua tempistica ». Fingendo di non vedere ciò che anche i ciechi vedono: cioè che è stata proprio la furbizia di rimandare i tagli al 2014 per non pagare oggi un prezzo politico ad aver destato i sospetti dei mercati e ad aver scatenato gli appetiti della speculazione.
Macché. Il governo s’è mosso bene sul fronte del rientro dal debito e anche sul versante crescita ha già fatto molto. Piuttosto sono stati i mercati che «non hanno valutato correttamente» la solidità del sistema politico e bancario italiano e le condizioni patrimoniali delle famiglie. Ieri è andata com’è andata: un disastro. Oggi sarà ancor più dura presentarsi alle parti sociali sostenendo di aver già agito «con determinazione» per stimolare la crescita, l’occupazione, le imprese. Ma da consumato attore qual è Berlusconi lo farà. La fiction è fiction: sarà così, fino alla fine.

da www.europaquotidiano.it

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“Bersani ora apre il gioco”, di Rudy Francesco Calvo
A dare una risposta ai mercati ci pensa il Pd, disponibile ad un governo d’emergenza.
Pier Luigi Bersani ci arriva alla fine del proprio intervento, quando ormai l’aula di Montecitorio era stata trasformata in una bolgia dai deputati della maggioranza che protestavano per lo sforamento dei tempi. Non lo dice nemmeno troppo esplicitamente, ma quel «passo avanti» che si dichiara disposto a fare a nome del Pd è proprio quello che in molti gli avevano chiesto all’assemblea del gruppo che si era tenuta poche ore prima: una disponibilità a ritardare l’appuntamento con le urne, per dare vita a un governo d’emergenza con una larga maggioranza parlamentare.
La linea del voto subito rimane esplicitamente la prima opzione dei Democratici. Ma la priorità assoluta è quella «svolta politica» che per Bersani è ormai indispensabile di fronte a un paese «colpito, impaurito da una crisi che non ha precedenti», in cui «sta aumentando il disprezzo verso la politica e le istituzioni». E di fronte a «investitori e creditori che pensano di farci pagare di più i loro soldi perché non si fidano più».
Ecco, di fronte a tutto questo, per Bersani serve «tempo». Serve «una tregua con gli investitori e i mercati, con le istituzioni europee, con le opinioni pubbliche, bisogna darci un tempo e quel tempo lo può dare solo un gesto politico».
Berlusconi, insomma, deve andare al Quirinale e rassegnare le dimissioni. Dopodiché, i dem sono pronti a discutere. «Io non escludo nulla – chiarisce Bersani di fronte alle telecamere di La7 – più è nuovo il governo, più siamo disponibili a ingaggiarci, a prenderci la responsabilità e anche qualche rischio politico».
Partecipando a un «governo di transizione che faccia una nuova legge elettorale e affronti l’emergenza economica». La discontinuità con l’attuale esecutivo, però, deve essere chiara: nessuno dei ministri in carica può aspirare a una promozione a palazzo Chigi con il benestare del Pd (ma il Terzo polo su questo è meno rigido). È la risposta che i dem vogliono dare anche all’editoriale del Corriere della sera di ieri, che al Nazareno hanno letto come un invito alla responsabilità quasi del tutto gratuita, nella speranza delle dimissioni del premier che arriverebbero solo dopo aver messo al sicuro i conti.
A respingere questa possibilità in maniera chiara ieri è stata Rosy Bindi, intervenendo all’assemblea dei deputati, ma tutti sono d’accordo con lei: impossibile fidarsi di Berlusconi.
Il veto verso un governo guidato da una personalità dell’attuale maggioranza, semmai, potrebbe cadere di fronte a un esecutivo istituzionale affidato, ad esempio, alla seconda carica dello stato. L’opzione- Schifani circola già in alcuni ambienti della maggioranza. Al Nazareno, però, per il momento non si esprimono, rimandando qualsiasi scelta al Quirinale.
«Prima Berlusconi si dimetta – è il ritornello – poi ascolteremo cosa propone Napolitano e anche noi diremo la nostra». Ma Bersani non si aspettava certo un gesto di responsabilità già ieri da Berlusconi, tuttavia i «cieli azzurri» descritti dal premier e il discorso che «mi ha fatto paura» del neosegretario del Pdl Alfano sono rimasti perfino al di sotto delle sue aspettative. Il segretario del Pd in aula ha alzato i toni in alcuni tratti del suo intervento e questo ha deluso chi tra i Democratici si aspettava (e gli aveva anche chiesto) un discorso rivolto in maniera chiara al paese.
«Dobbiamo dimostrarci all’altezza della situazione – erano le aspettative di molti esponenti di MoDem, ma anche di qualcuno in AreaDem – abbandonare le vesti di semplici oppositori e vestire quelle di “salvatori della patria”». È la stessa logica che tiene Veltroni, Gentiloni, Letta e altri ancorati alla richiesta di un governo tecnico di alto profilo.

da www.europaquotidiano.it

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“Vaciago boccia il compitino di Silvio”, di Gianni Del Vecchio

Il discorso di Berlusconi in parlamento non delude solo l’opposizione ma anche gli economisti.
«Il discorso di Silvio Berlusconi alla camera è acqua fresca per i mercati. Se lo traduciamo in inglese, ci accorgiamo che non c’è niente di nuovo. È un testo noioso, senz’anima, anodino. Mi viene il dubbio che chi l’ha scritto non abbia letto i giornali in quest’ultimo periodo. Giornali che tutti i giorni raccontano dei problemi delle imprese e della politica che invece viene sommersa da scandali di tangenti e corruzione, da destra a sinistra».
La bocciatura senza appello non arriva da un politico dell’opposizione, ma da un economista molto ascoltato dalla politica, Giacomo Vaciago, professore di Politica economica e di Economia monetaria alla Cattolica di Milano.
È soprattutto la pochezza dell’analisi della crisi e delle contromisure proposte da Berlusconi a lasciare di stucco l’economista piacentino. «Il premier ha letto una difesa d’ufficio che sembra partorita dalla mente di Tremonti: la crisi è planetaria e non nazionale, in fin dei conti l’Italia ha retto bene, altri paesi stanno molto peggio di noi. Né più né meno ciò che da qualche anno va ripetendo il ministro dell’economia. Poi ha ribadito una serie di banalità: il nostro paese ha tanti punti di forza, il sistema è solido, la speculazione esagera nel colpirci. Ma se per definizione la speculazione esagera, esaspera le difficoltà di un paese!». Non è un mistero, infatti, che gli speculatori attaccano quei paesi che hanno contemporaneamente problemi di credibilità politica e di fondamentali economici.
E di difetti, l’Italia ne ha parecchi, a cominciare dalla scarsa crescita: «La crescita può venire da un miglioramento della produttività e dall’innovazione delle imprese, entrambe cose che purtroppo ci mancano».
E invece di riforme, Berlusconi ha preferito offrire un po’ di solita spesa pubblica per far fronte alla crisi, ossia 7 miliardi e rotti stanziati per le opere pubbliche al Mezzogiorno dal Cipe. «Una misura che tuttavia – evidenzia Vaciago – non risolve il problema dello scarso sviluppo, tanto meno la questione del divario Nord- Sud. Quei soldi sono una risposta keynesiana che non scioglie i nodi della criminalità organizzata e dell’inefficienza della pubblica amministrazione, fattori che più di tutti scoraggiano gli investitori stranieri a produrre nel meridione».
Il professore poi mette nel mirino anche l’altra misura anti-crisi strombazzata da Berlusconi in aula, il taglio alle auto blu. «Mi sembra una brutta scivolata, di cattivo gusto. In un discorso importante pensato per rassicurare i mercati, non puoi puntare tutto sulle misure anticasta. Non è questo il problema dell’Italia, al massimo così puoi accontentare quella parte di cittadini che ce l’hanno con i privilegi dei politici, ma ai fondi speculativi non è questo che interessa. Mi sembra che ancora una volta Berlusconi si sia lasciato andare a un inutile populismo, così come quando ha parlato delle sue aziende in difficoltà».
Insomma, il premier ancora una volta sembra aver fatto un buco nell’acqua, incapace di dare una scossa all’economia, ancor prima che ai mercati. Del resto, senza novità, quello che resta del discorso è il bilancio di tre anni di governo, che purtroppo è più che mai deludente. «Berlusconi ha fatto l’elenco di ben 27 provvedimenti presi dall’esecutivo per risollevare il paese. Un elenco tuttavia inutile, se questi sono i risultati. In questo modo, quindi, oltre a deludere per la mancanza di riforme, il suo discorso finisce per essere un primo bilancio di questa legislatura. Ed è un bilancio davvero scarso: non è stato fatto tanto per il sistema produttivo italiano».

da www.europaquotidiano.it