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"Il Pd: «Sono irresponsabili»", di Maria Zegarelli

Duro il giudizio del Pd: «Anticipare la manovra senza modifiche provocherà una mattanza sociale». Più soft i centristi: «Recepite le nostre richieste sulle modifiche alla Carta». Di Pietro: «Occorrono cambiamenti»

«Un segnale di discontinuità da cui emerge maggior senso di responsabilità», secondo Italo Bocchino che parla a nome di Fli per commentare l’improvvisa conferenza stampa di Silvio Berlusconi, Giulio Tremonti e Gianni Letta. Anche dall’Udc di Casini e dall’Api di Rutelli arrivano parziali crediti e riconoscimento per aver avviato già ora ad agosto l’iter dell’«inserimento in Costituzione dell’obbligo del pareggio di bilancio». Entrambi, però, rilanciano la commissione bicamerale per la crescita, con maggioranza, opposizioni e parti sociali, questo sarebbe il vero segnale di apertura.

Diametralmente opposto, bocciatura senza appello, il giudizio che arriva dal Nazareno ai quattro «pilastri» su cui il ministro dell’Economia poggia quella che dovrebbe essere la svolta italiana, la risposta alla crisi profonda in cui sta precipitando il Paese. Una retromarcia clamorosa che si consuma in 48 ore: si passa da un Berlusconi che garantisce nessun ritocco ai tempi della manovra, che rassicura sullo stato di salute del Paese, a un Berlusconi che annuncia l’anticipo di un anno della manovra e, soprattutto ammette che sì, stiamo messi male. Lo dice dopo aver sentito i capi di governo di mezza Europa, prima della telefonata con Obama, dopo la chiusura dei mercati. Solo che «senza correzioni è da irresponsabili», come commenta il segretario Pier Luigi Bersani: al di là delle fumisterie costituzionali, anticipare la manovra senza cambiare sarebbe un colpo gravissimo al Paese, sia dal lato economico sia dal lato sociale. E poco prima, riferendosi alle modifiche in Costituzione per il pareggio di bilancio: «Il pareggio di bilancio l’hanno garantito loro, no? Non ci credono neanche loro? C’hanno bisogno della Costituzione?».

LA MATTANZA
Francesco Boccia, coordinatore delle commissioni economiche del gruppo Pd alla Camera, al telefono: «Adesso sono più preoccupato dell’altro giorno, dopo il discorso del presidente del Consiglio alle Camere». Si prepara, dice, «una mattanza sociale se la manovra non viene modificata. Lo sostenemmo allora e lo ribadiamo oggi con maggiore forza: è iniqua e anticiparla di un anno così come è farà precipitare il Paese verso il baratro». Circostanza aggravata da una considerazione squisitamente politica e non di secondo piano: con la sua conferenza stampa di ieri sera Berlusconi ha smentito se stesso e quanto dichiarato prima davanti alle Camere e poi durante l’incontro con le parti sociali. Segnali di sbandamento che non sfuggono ai mercati. «È evidente – dice Boccia – che siamo nelle mani di un premier che non è in grado di gestire una situazione così grave e che ormai è stato chiaramente commissariato dall’Europa». Vero, Bersani si è detto disposto ad abbassare la propria bandiera davanti al tricolore, all’interesse del Paese, ma il segretario Pd resta convinto che qualunque intervento annunciato da questo premier è privo di efficacia perché è la sua stessa credibilità ad essere crollata in Europa.
Anticipare di un anno le correzioni secondo il Pd vuol dire aggiungere ai tagli al welfare già previsti quelli su deduzioni e detrazioni, «misure da far tremare i polsi ai dipendenti», oltre a decretare la morte del federalismo regionale perché «ormai è evidente che l’adeguamento delle risorse che si sarebbe dovuto discutere entro il 2012 salterà», come spiega Boccia.
Le contromisure del Nazareno sono note, dall’aumento della pressione sulle rendite finanziarie, all’inserimento di meccanismi redistribuitivi anche patrimoniali, «il Pd sarà la prossima settimana in Parlamento con le sue proposte, collaborerà se sarà possibile collaborare per cambiare una manovra che consideriamo iniqua e incapace di aiutare la crescita», aggiunge Enrico Letta. Il vero nodo «sono le riforme che ci chiedono l’Unione Europea e la Bce aggiunge il vicesegretario Pd – ma il governo non riesce a dare segnali concreti».
Durissimo Antonio Di Pietro, che definisce quella andata in onda poco prima «una conferenza stampa dei fichi secchi». A cosa serve, si chiede, cambiare la Costituzione? «Il pareggio di bilancio è un’esigenza immediata che non si ottiene inserendo due termini nella carta, tra l’altro con uniter legislativo piuttosto lungo».
Anche l’Idv, come il Pd, chiede modifiche sostanziali della manovra, «abbiamo le nostre controproposte, interventi per 70 miliardi di euro», ricorda Di Pietro.
Intanto al Terzo Polo si lavora – con grande attenzione anche di Beppe Fioroni dal Pd – all’ipotesi commissione bicamerale per la crescita. Progetto a cui tengono molto, di cui molto si è parlato con le parti sociali e che secondo alcuni nell’opposizione potrebbe essere l’unico modo – preso atto che il premier non intende dimettersi – per aprire una breccia nel Pdl. «Commissariare» Berlusconi. Con una commissione bipartisan.

da L’Unità

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Enrico Letta: “Prodi sbaglia ci vuole un governo di larghe intese”, di Carlo Bertini
Enrico Letta, economista ed ex ministro è il vice segretario del Pd

Letta, la casa brucia, le Camere riaprono e il governo come estintore usa l’anticipo della manovra al 2013. Basterà?
«Sicuramente è un fatto, ma perché non è stato annunciato mercoledì, quando è stata raccontata una favola da Mulino Bianco? Favola che ha fatto perdere miliardi di euro all’Italia, con danni che resteranno nel tempo e che ci è costata pure il sorpasso della Spagna. Ora tentano di raddrizzare ma servendo un bicchiere mezzo vuoto: una sola misura e tre segnali di riforme che non placano la fame dei mercati».

Cosa fareste voi al posto loro? Avete chiare tre cose da proporre al paese in alternativa?
«Le cose chieste dalle parti sociali: primo, riforma del fisco, niente patrimoniale, ma modificare la tassazione per penalizzare le rendite e avvantaggiare il lavoro, dura lotta all’evasione. Secondo, smetterla con i tagli lineari della spesa, intervenire subito sui costi della politica, tagliando province, e razionalizzando le spese della pubblica amministrazione. Terzo, liberalizzazioni vere, non l’articolo 41 che sarà Costituzione tra un anno: i fatti si ottengono toccando le banche, i mercati e le professioni dove ancora ci sono pesanti incrostazioni monopoliste. E sulle privatizzazioni, intervenire a livello nazionale e locale: ci sono in Italia 20 mila società partecipate dal pubblico, comuni, province e regioni, alcune fanno trasporti e così via. Chiuderle, accorparle..».

Anche questo richiede mesi. O no?
«No, si può fare tutto per decreto: basterebbe dire che i comuni sotto i 30 mila abitanti possono avere una sola società partecipata. Anche la riforma del fisco si può fare in due settimane. Ma il tema di fondo però è un altro…».

Quale?
«Che questa conferenza stampa di Berlusconi e Tremonti dimostra che siamo commissariati da Francoforte, dove ha sede la Bce e da Berlino, insomma l’hanno fatta perché obbligati da altri. E insieme al sorpasso della Spagna, è l’ultima umiliazione che ci regala Berlusconi. Lo stesso giorno in cui anche la nostra crescita viene retrocessa allo 0,7% contro il 4,9% della Germania, il che dimostra che il caso Italia è drammatico».

Lo voterete o no questo anticipo della manovra? Da quel che si intuisce è un prendere o lasciare.
«No, la vogliamo cambiare, intanto perché è iniqua. Poi perché non contiene misure per la crescita e le riforme che hanno chiesto le parti sociali. Ma non è un problema di tempi: molti di noi non si sono allontanati da Roma apposta e se si riesce a cambiarla, siamo disposti a discuterla in 48 ore. Altrimenti voteremo no, come abbiamo fatto con il decreto precedente».

Certo, a pensar male questo anticipo della stangata più pesante potrebbe risparmiarvi un brutto lavoro se vincerete voi nel 2013. O no?
«Ma continuando così, non ci arriveremo sani nel 2013. Fare tutti questi annunci senza alcuna strategia, solo perché qualcuno ti ha obbligato, dimostra che se non se ne va Berlusconi non ci salviamo».

Prodi dice il contrario, che deve restare lì altri due anni fino a quando saremo al riparo dalla tempesta.
«Abbiamo tesi diverse. Credo che in questo momento un governo di larghe intese, un governo “Super-Ciampi”, avrebbe molte più chances di fare le riforme. Comunque, la casa brucia e tutti dobbiamo prendere l’estintore, il nostro spirito è quello del Capo dello Stato e quindi collaborativo. E Fini fa bene a riaprire la Camera, segnale doveroso tanto più utile se si parla del pareggio di bilancio però, non dell’articolo 41».

da La Stampa

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“Questa manovra è depressiva serve un governo alla Ciampi e dimezziamo i parlamentari”, di Goffredo De Marchis

Veltroni: ok alla proposta di costituzionalizzare il pareggio di bilancio. Non si può fare come la Spagna che anticipa di 8 mesi le elezioni. Non si può votare con questa orrenda legge elettorale. Berlusconi non ce la fa. Basta vedere la reazione bambinesca alla tempesta. È distonico rispetto alla situazione

«Io credo che sarebbe un segnale forte e importante se il Parlamento entro agosto approvasse in prima lettura due modifiche della Costituzione: l´introduzione del vincolo di bilancio strutturale nella Carta e contestualmente il dimezzamento del numero dei parlamentari fin dalla prossima legislatura. Un voto solenne e unitario manderebbe un segnale forte di reazione del paese intero». Ma il Paese ha comunque bisogno in tempi brevissimi di nuovo governo di decantazione «perché Berlusconi non ce la fa. Politicamente e anche emotivamente, come si capisce dalle battute sulle sue aziende o sugli aforismi del padre». No al voto subito invece «perché la Spagna anticipa di soli 8 mesi le sue elezioni. E non si può tornare al voto con l´orrenda legge elettorale in vigore». Ma c´è qualcosa che si può e si deve fare subito, anche con il Cavaliere in sella. «Siamo in guerra. E in guerra il fattore tempo è decisivo. Per questo bisogna andare in aula e non solo in commissione», dice l´ex segretario del Pd Walter Veltroni.
Qualcosa però si muove dopo le parole del premier, di Tremonti e di Letta.
«Un Paese che ha un debito elevato e una crescita bassa, che da anni fa manovre e mai riforme, che conosce una crisi evidente del suo sistema istituzionale e che è ostaggio di un governo debole e instabile, ha bisogno non di parole ma di decisioni per fronteggiare un´emergenza di eccezionale portata. È sotto attacco l´Euro, e con esso l´Europa. Sono momenti della storia, non della cronaca. E si paga l´incompiutezza del processo europeo, l´assenza di strutture politiche e istituzionali capaci di guidare il continente. Ora c´è bisogno di più Europa. E, per l´Italia, di recuperare l´autorevolezza perduta. Rigore e crescita e la necessaria discontinuità nella fragilità del sistema politico istituzionale. Dimezzare il numero dei parlamentari darebbe un segnale verso una democrazia che decide, più capace di rispondere alla velocità della società e dei mercati».
Una concessione all´antipolitica?
«È l´assenza o la fragilità della politica che ha creato questa situazione in Italia e in Europa. Oggi l´antipolitica è frutto del disagio per una macchina che pesa e non decide, costa troppo e sceglie poco. Servono segnali forti perché solo una democrazia più lieve e più rapida riesce a decidere e dunque ad apparire utile agli italiani».
Sarebbero misure sufficienti ad arginare la piena?
«No. Il governo ha annunciato di voler anticipare il pareggio di bilancio al 2013. Occorre però che la manovra non deprima, con la stangata fiscale, una crescita vicina allo zero, che l´esecutivo ascolti l´opinione delle parti sociali e delle opposizioni e, nel tenere fermi i saldi, introduca forti correzioni. Allo stesso tempo l´Italia dovrebbe spingere in Europa perché la Ue assuma con tutt´altra determinazione il tema della difesa dell´euro».
Sta dicendo che questi interventi andrebbero fatti con il governo Berlusconi in carica? Il Pd ha un´altra linea.
«La mia opinione è chiara, l´ho messa nero su bianco mesi fa insieme con Giuseppe Pisanu. Ci vuole un governo nuovo, che restituisca al paese autorevolezza in Europa e credibilità in Italia. Berlusconi non ce la fa. Basta vedere la reazione bambinesca alla tempesta. Mi riferisco alle battute sugli investimenti a favore delle sue aziende o alle storielle paterne sull´orologio della Borsa o al battibecco con Tremonti davanti all´occhio di mercati. Il governo è del tutto distonico rispetto alla drammaticità della situazione e Berlusconi è obiettivamente uno dei fattori di aggravamento della situazione. Un cambio di fase non deve essere presentato come il tentativo furbesco dell´opposizione di approfittare del momento. È invece la necessità per il Paese di girare pagina e di avere una guida che possa essere riconosciuta in Europa come una guida autorevole e che possa godere del più ampio sostegno delle forze parlamentari».
Guidato da un tecnico e non da un dirigente politico.
«Dovrebbe essere una personalità, come è stato in altri momenti drammatici della nostra storia, capace di garantire un esecutivo che abbia un sostegno parlamentare di quell´ampiezza e sia capace di parlare con competenza e autorevolezza. Penso ai precedenti di Amato e Ciampi. Non sarebbe un ribaltone ma l´assunzione di responsabilità in tempi di minaccia. Vedo che due persone tanto diverse come Pisapia e l´economista Roubini convergono su un´ipotesi simile».
Prima o poi si andrà alle urne. Come sarà composta la vostra coalizione?
«Quello di cui l´Italia ha bisogno non è solo un nuovo governo. In futuro avremo bisogno di molto di più. Di una sfida riformista dura. Può l´Italia non preoccuparsi di riorganizzare il suo mercato del lavoro? Possiamo non preoccuparci di una riforma della politica che abbatta non la politica ma il pachiderma di cui parlavo criticamente quando immaginavo partiti più leggeri? Può l´Italia convivere con questi livelli di corruzione e criminalità? Ogni anno 150 miliardi finiscono nelle mani della mafia: dobbiamo considerarlo un fatto permanente e ineludibile? Per giocare queste partite occorre il riformismo. Per me lo incarna in primo luogo il Pd. Solo un grande Partito democratico aperto e in grado di toccare il 35-40 per cento può garantire all´Italia le riforme. Senza riforme il paese rischia il suo destino».

da La Repubblica